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Il benessere psicologico nel XXI secolo

dalla newsletter n. 14 - 2/2022 di Frammenti Rivista

di Francesca Campanini Andrea Potossi
01/02/2022
Newsletter
7 minuti di lettura

L’Istituto Superiore di Sanità definisce il benessere psicologico come «una condizione dinamica che riguarda molteplici aspetti della vita». Definizione molto generale che restituisce la complessità di un aspetto delicato dell’esistenza di ogni individuo. Aspetto complesso e delicato ma anche estremamente centrale: qualcosa a cui abbiamo iniziato a prestare sempre maggiore attenzione, anche nel dibattito pubblico, soprattutto da quando l’abbiamo visto incrinarsi sensibilmente. Colpevoli in questo senso sono state di certo le condizioni imposte dai lockdown, le restrizioni, l’azzeramento dell’interazione sociale per mesi e mesi durante i due anni di pandemia che abbiamo affrontato, ma non solo.

Se è vero che malessere psicologico e malattia psichiatrica non sono coincidenti, quindi una situazione di non-benessere non può e non deve essere patologizzata, è altresì vero che il benessere psicologico è condizione necessaria per il raggiungimento e il mantenimento della salute mentale, definita dall’OMS come:

Uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni.

Definizione Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

Tutti aspetti che, in un modo o nell’altro, con la pandemia sono diventati difficili se non impossibili da perseguire e coltivare. Quando si parla di pandemia, si parla di crisi: sanitaria, economica, energetica. Ma bisognerebbe prestare attenzione anche alla crisi psico-sociale in atto. Sul numero di settembre 2021 del Journal of Affective Disorders si legge che nel corso del 2020 oltre il 40% degli italiani ha visto un peggioramento di sintomi riconducibili ad ansia e depressione, oltre il 60% ha riscontrato in generale un peggioramento della qualità della vita e più del 30% ha segnalato problemi di insonnia. Da due anni a questa parte psicologi, pedagogisti e studenti in prima persona denunciano i danni che lo svolgimento delle attività scolastiche in DAD sta provocando alle nuove generazioni, i lavoratori sottolineano le condizioni snervanti che lo smart working produce, complice l’annullamento della divisione di tempi e spazi lavorativi e non nella vita degli individui.

Ad oggi, l’Italia vive il paradosso di essere uno dei paesi con il tasso più alto di psicologi in Europa – 156 per 100mila abitanti (in Francia sono 84, in Germania 109) – e di essere allo stesso tempo uno di quelli dove si iniziano meno percorsi di terapia. Eppure, sono sempre di più gli italiani che affermano di aver bisogno di uno psicologo per gestire situazioni di stress sempre più numerose. Ad aumentare, tra i pazienti, sono soprattutto i più colpiti dalla pandemia: donne, disoccupati, persone disabili e giovanissimi.

Ma, se il bisogno è così vasto e l’offerta così ampia, perché in Italia gli studi degli psicologi rimangono terribilmente vuoti? Le barriere sono fondamentalmente due: una culturale, di costume, e una di natura economica.

Se, secondo il Men’s Health Forum, il 34% delle persone si sentirebbe a disagio a chiedere un permesso dal lavoro per andare dallo psicologo (problema che normalmente non ci si pone per a…

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

    Andrea Potossi

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