È noto che la filosofia inizia con l’acqua. I manuali scolastici ce lo insegnano, che il passaggio dalle forme mitiche di sapere, legate al culto e alla religione, alle fondamenta della moderna concezione del mondo – derivata essenzialmente dalla filosofia – cominci con un uomo, Talete, una di quelle figure archetipiche di saggio, che diceva che «tutto è acqua». Ciò che cambia, in estrema sintesi, è la ricerca di un principio che possa spiegare, razionalmente, ciò che vediamo ed esperiamo – e anche ciò che non vediamo né esperiamo.
Talete, certamente non l’”uomo” Talete, in carne ed ossa, ma la tradizione che si agglomera intorno a questo nome, fatta del vociare silenzioso di un sapere accumulatosi lungo il corso dei secoli – Talete, di nuovo, diceva che l’acqua è il principio di tutte le cose. Il che è come dire che, nella loro sostanza, nella loro carne più intima, tutte le cose sono fatte di acqua.
Può apparire un’assurdità ma, lo spiegano ancora i manuali, il salto dal racconto mitico che trova negli dèi la causa di ciò che esiste, e l’idea che, razionalmente, possiamo “vedere” – la parola “teoria” ha questo, il vedere, nel suo etimo più profondo – le cose per come sono veramente, ossia nella loro essenza, e a partire da questa spiegarne il posto nel mondo, è enorme.
Eppure, tutto ciò continua a sembrare un poco riduttivo, come se in ogni caso facessimo fatica a riconoscere la grandezza del gesto di Talete, come se ci fosse qualcosa d’altro dietro questa prima parola del pensiero filosofico.