E ora che si fa?

dalla newsletter n. 30 - luglio/agosto 2023 di Frammenti Rivista

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Avevamo bisogno di scandire il passare dei giorni senza un calendario a portata di mano, forse perché non l’aveva ancora inventato nessuno; ci saremmo potuti accontentare di uno strumento molto comodo, che attraversava il cielo tutti i giorni e che è rimasta una delle poche certezze dell’umanità: il sole. Spunta sempre più o meno dalla stessa parte e tramonta dall’altra; quando c’è è giorno, quando non c’è è notte. Semplice, no?

Ma non tutto è bianco o nero, agli umani un codice binario non bastava, siamo una specie che ha bisogno di una certa precisione per alcune cose, e il tempo è una di queste.

Ci serviva un altro strumento, che non fosse fastidiosamente immutabile come lui, e che anzi ci parlasse della ciclicità di ogni cosa della vita e della natura. Che, insomma, ci assomigliasse un po’. Uomini e donne della Preistoria amavano già guardare il cielo di notte, e notavano un astro bianco o giallastro che ci seguiva sempre nascosto nel buio, e che si trasformava in modo strabiliante di settimana in settimana. La luna si rimpicciolisce fino a diventare una falce e addirittura a sparire, prima di tornare a ingrossarsi come un ventre gravido e ricominciare il ciclo. E se il sole stava indiscusso sul trono delle divinità, con il merito di riscaldare la pelle e i campi coltivati, allontanando gli inverni e il gelo, la luna già da tempo veniva ammirata con il fascino e l’ammirazione che tributiamo da decine di migliaia di anni a tutto ciò che è misterioso.

Risalgono a 40.000 anni fa le prime pitture rupestri in cui alcuni soggetti sono riconducibili alle fasi lunari; sappiamo che l’astronomia era un’attività molto importante in tutte le culture umane, legata strettamente alla concezione del mondo e alla religione. Uno dei motivi era proprio la regolarità con cui alcune cose accadevano nel cielo, e la possibilità di usarle come riferimenti piuttosto precisi, meno variabili delle stagioni e meno monotoni del sole.