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Ci servono davvero spazi per sole donne?

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Marzo è il mese della donna e le iniziative a tema fioriscono giorno dopo l’altro, culminando l’8 marzo, spesso giornata non solo di festa e commemorazione, ma di scioperi, manifestazioni e cortei al femminile. Ma quante delle trovate a favore delle donne hanno davvero senso? Ultimamente, pare davvero poche.

Sui parcheggi rosa

Cominciamo dalla notizia di qualche settimana fa sui parcheggi gratuiti per sole donne nel comune di Vimercate: posti auto rosa riservati alle donne in occasione dell’8 marzo, che hanno suscitato però più di una polemica. La giustificazione data dal sindaco riguardo a una scelta non proprio paritaria conferma la superficialità dell’iniziativa:

«È la presa di coscienza di una situazione oggettiva, ovvero che le donne, ancora oggi, si fanno carico di maggiori difficoltà per conciliare vita professionale, privata e familiare.»

Da un lato, questa motivazione dimostra che la donna è ancora considerata come strettamente legata al ruolo di madre, moglie e quindi custode familiare – esisteranno donne non sommerse da sacchetti della spesa, biberon e passeggini? Probabilmente sì, dato che metter su famiglia è sempre più una scelta, e non un dovere; dall’altro, se è vero che ancora molte madri e mogli (una fetta cospicua che non ricopre però l’intera categoria donne) svolgono una doppia presenza a casa e al lavoro, facendosi carico di molti più impegni dei loro compagni, fornire loro parcheggi gratuiti sembra voler solo assecondare il problema, e non risolverlo.

Il lavoro da fare è molto più complesso e profondo, e prevede di cambiare la mentalità di base. Generazione dopo generazione, è necessario ribaltare gli stereotipi e riconsiderare cosa è da maschio e cosa è da femmine già dalla tenera età, così da far comprendere che aspirapolvere e ferro da stiro non stanno a donna, così come tagliaerba e chiave inglese non stanno a uomo. I lavori fuori e dentro la casa dovrebbero essere per tutti. Così come i parcheggi.

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Palestre per sole donne

Ma non finisce qui. Un’altra iniziativa sembra voler creare spazi esclusivamente femminili: a Bergamo si parla della prima palestra per sole donne, Mrs Sporty, dove poter fare sport senza sguardi maschili indiscreti. L’idea è stata importata dalla Germania e conta oggi 600 palestre in Europa e già 24 in Italia. Anche in questo caso, le motivazioni appaiono surreali:

«Ogni anno il tasso di abbandono delle palestre è del 7-8% e di questi l’80% è composto da donne. Alcune clienti mi hanno raccontato che desiderano un po’ di privacy, sono a disagio andando in un luogo in cui si sentono osservate e ricevono sguardi indesiderati. Oppure vanno in palestra per allenarsi e non apprezzano le avances del vicino di tapis roulant. O semplicemente non sono lì per fare conoscenze, ma solo per distrarsi.»

Mrs Sporty consolida il cliché della palestra come luogo necessariamente di incontro e di flirt, oltre a rafforzare lo stereotipo dell’uomo palestrato che importuna le donne tra un esercizio e l’altro. Isolare le donne, ghettizzarle in una palestra vietata agli uomini, è davvero la soluzione? In più, anche tra donne evitare di fare conoscenze o di essere disturbate dalla vicina chiacchierona resterà un’impresa, il problema infatti non è esclusivamente di genere. Il fatto di non volersi sentire osservate e di sentirsi a disagio – ma solo a causa di uno sguardo maschile – la dice poi lunga sulla fragilità di molte donne nel relazionarsi con l’altro sesso. Un problema comune, ma non di certo risolvibile dividendo maschi e femmine.

Per finire, un’ulteriore dichiarazione del responsabile appare ancor più agghiacciante e sessista: «Altre donne sono state iscritte dai rispettivi fidanzati, che le accompagnano proprio perché sanno che qui non incontreranno altri uomini». Tra l’uomo padrone e la donna succube, questa iniziativa non mette in buona luce nessuno dei due sessi e non propone soluzioni costruttive.

Quando anche la letteratura è per sole donne

Tra gli spazi per sole donne che potrebbero far riflettere sul tema abbiamo poi i festival letterari che si focalizzano soltanto su libri scritti da autrici o su questioni di genere esclusivamente al femminile. Per esempio, a marzo aprirà a Londra una libreria temporanea a tema chiamata Like a Woman, ma anche in Italia i festival o gli eventi di questo stampo fioriscono nel mese di marzo.

Queste iniziative sono evidentemente più lodevoli di una palestra dove racchiudere (o rinchiudere?) sole donne, ma anche qui si annida l’idea che il femminile debba essere qualcosa a sé, un polo opposto al maschile con cui non è necessario raffrontarsi, un ghetto culturale dove confrontarsi e prendere potere contro un’alterità che sta fuori. Noi diverse da loro. Noi contro loro.

Donne

E infatti, festival così fortemente improntati sulla femminilità a partire dal nome (feminism, women, donne e rosa sono parole immancabili in questi contesti), attireranno soprattutto – se non esclusivamente – donne, e raramente uomini, pur affrontando argomenti che, al di là della veste appunto rosa, andrebbero oltre il genere (si parla spesso di migrazioni, sessualità, religione, diritti, storie di vita o editoria, temi quindi di interesse comune).

E se da un lato leggere e studiare scrittrici del passato e del presente può certamente aiutare a conoscersi meglio, ad essere più consapevoli della propria femminilità e delle proprie potenzialità oltre, indubbiamente, ad acculturarsi leggendo un buon libro, il maschile è anche in questo caso tenuto fuori, considerato l’altro, l’ostacolo da superare da sole.

Se questi festival sono fondamentali per trovare spunti di riflessione o volumi a tema che non emergerebbero in altri contesti, la divisione netta tra maschile e femminile che si viene indirettamente a creare porta a un mancato confronto costruttivo. Parlare di donne tra sole donne, come si trattasse di una condizione slegata dal resto del mondo, sarà davvero proficuo? Del resto, gli studi sulla mascolinità e sul punto di vista maschile risultano in alcuni casi estremamente interessanti e utili, tanto che gli studi di genere, oggi, non corrispondono più necessariamente agli studi femminili, ma si focalizzano tanto sugli uomini quanto sulle donne – oltre al filone queer – per un’uguaglianza che vada oltre il genere. Per essere davvero d’aiuto alle donne, un festival dovrebbe racchiudere storie di donne che hanno cambiato il mondo, ma anche di uomini che, decostruendo la mascolinità, hanno ridotto lo storico divario tra i due sessi. Banalmente, un casalingo porta all’uguaglianza tanto quanto una sindaca. Perché non lavorare quindi su entrambi i fronti?

L’esempio da non seguire: Storie della buonanotte per bambine ribelli

Il ragionamento è lo stesso alla base delle molte critiche – oltre alle molte lodi – al celebre libro Storie della buonanotte per bambine ribelli. Per quanto l’iniziativa abbia un fine ammirevole, molti hanno sottolineato che racchiudere in un libro rivolto esclusivamente a bambine biografie di donne che hanno fatto la storia è limitante. Perché anche i lettori maschi non possono leggere e sognare imparando le avventure e le scoperte delle donne più influenti? E perché, a questo punto, non inserire le biografie di queste donne in un libro che racconti di donne e uomini che insieme hanno cambiato la nostra società e la nostra cultura? Anche in questo caso, l’isolamento non porta a nulla di proficuo e sembra voler insegnare alle bambine che per imparare storie di donne sia necessario un libro apposito che non riguardi gli uomini.

Donne

E se stessimo insieme?

L’ora della divisione netta dei sessi, del potere alle donne o potere agli uomini, dovrebbe essere finita da un pezzo. Se è vero che ancora molto va fatto per raggiungere l’uguaglianza e che donne e uomini sono percepiti dalla nostra società in modo molto diverso, non servono però spazi per sole donne e spazi per solo uomini, come in un bigotto oratorio del secolo scorso. Serve contatto, confronto, dialogo, una revisione dei ruoli tanto maschili quanto femminili. E tutto questo in un solo spazio, per convivere, confrontarsi e comprendersi al meglio.

Donne

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