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«Al Promenoir del Moulin Rouge»: lo sguardo disincantato di Henri de Toulouse-Lautrec

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6 minuti di lettura


Henri de Toulouse-Lautrec
lo si immagina sempre come le fotografie del tempo ce lo descrivono: sguardo torvo, consapevolezza del proprio genio, bastone a sorreggere il peso del nanismo causato dalla picnodisostosi. In tempi più recenti, ancora, si tende a identificarlo con l’immagine fugace e un po’ macchiettistica che di lui ha dato Woody Allen in Midnight in Paris. Ma il modo più genuino di pensare a Henri è quello che emerge dalle pagine di Brama di vivere di Irving Stone, il romanzo sulla vita di Vincent Van Gogh che ha fatto storia nell’ambito della narrativa biografica. Qui, nello studio di Ferdinand Cormon, il piccolo Henri disegna e impara il mestiere della vita. Sfugge al volere paterno, frequenta le sale da ballo, i cabaret, i locali malfamati, le case d’appuntamento. Dalle parole di Stone lo si immagina arrancare zoppicante dalla tela al letto, dichiarando all’amico olandese di aver preso la residenza nei bordelli. È geniale, folle, spregiudicatamente bohèmien.

Al Promenoir del Moulin Rouge, henri de Toulouse-Lautrec, 1892, 123 x 140,5 cm, olio su tela, Art Institute of Chicago
Al Promenoir del Moulin Rouge, Henri de Toulouse-Lautrec, 1892, 123 x 140,5 cm, olio su tela, Art Institute of Chicago

Il mondo della notte, delle feste e della danza è per lui fonte d’ispirazione e godimento estetico. Conosce le ballerine, ne diviene amante, le rappresenta su tela nell’atto di alzare la gonna in un frenetico can-can. La sua casa diventa l’Elysée Monmatre, poi ancora le Moulin de la Galette e infine il celeberrimo Moulin Rouge; qui, tra tavoli con bicchieri semivuoti e gentiluomini accompagnati da donzelle sorridenti, Toulouse-Lautrec dà vita a quella distruzione del mito borghese che assurge, paradossalmente, a esempio di dignità esistenziale. Volti annoiati, conversazioni vuote, occhi imbellettati che nascondono tristezza: gli attori della pièce di Montmartre sono donne e uomini in attesa di qualcosa, pronti a colmare il vuoto della solitudine stordendosi di musica, alcolici e partner facoltosi. Henri ne è coinvolto, sa riconoscere i meccanismi di un fenomeno sociale in atto e, con naturalezza assoluta, riversa su tela il mondo che frequenta ogni notte. Se Pierre-Auguste Renoir rappresenta con colori tenui il pacifico esterno del Moulin de la Galette, il pittore di Albi si sposta all’interno, dove i balli vorticosi restituiscono l’immagine di un universo in lento disfacimento. E come il Moulin Rouge trasmette l’idea di spettacolo e intrattenimento peccaminoso, Toulouse-Lautrec ne indaga la frivolezza degli avventori, la solitudine di fondo, il tran tran annoiato di chi vive di apparenze.

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Qui, dal suo tavolo riservato, l’artista osserva e rielabora per poi dar vita, nella sua stanza spoglia, a capolavori come Al Promenoir del Moulin Rouge, spaccato di una società chiusa nel suo autocompiacimento. L’opera, realizzata con tecnica ad olio, presenta un cromatismo armonioso ed è, come tipico di Henri, la perfetta rappresentazione di attimo di frivolezza strappato alla frenesia del locale. La scena è tagliata, con un bancone a far da linea di confine oltre cui si colloca lo spazio abitato dai protagonisti del dipinto. Questi, uomini e donne, sono seduti a conversare, ciascuno con un cipiglio alquanto enigmatico. A spiccare, per la smorfia sul volto, è la donna ritratta di tre quarti, compiaciuta o annoiata della compagnia in cui si è inserita. Secondo la critica, ben informata della vita dello spregiudicato pittore, i personaggi sarebbero il critico d’arte Edouard Dujardin, la ballerina spagnola “la Macarona”, Paul Sescau, Maurice Guibert e Jane Avril (amica di Henri) ripresa di spalle; sullo sfondo de Al Promenoir del Moulin Rouge poi si intravvederebbero la Goulue intenta a sistemarsi i capelli allo specchio e, più a sinistra, Toulouse-Lautrec camminante insieme al cugino Gabriel Tapié de Céleyran. In primo piano, come un “lampione” di colore giallo azzurro, una donna bionda da molti identificata in Nelly C., avventrice e conoscente del locale più alla moda di sempre. Ciò che colpisce, complice il verde dominante nella composizione, è l’assoluta compostezza di una scena strappata a un contesto frenetico. Negli occhi dei protagonisti si intravede il vuoto di idee e valori che accompagna tristemente il declino dell’alta società parigina; le donne aspettano un ricco facoltoso, gli uomini giocano a carte e godono delle grazie delle ballerine ancheggianti. Lautrec lo sa, e indaga tale mondo con tutto il disincanto possibile. Nei suoi dipinti non c’è moralismo, né compassione per le miserie umane ma semplice desiderio di imprimere su tela una società che, lentamente, va cambiando il suo volto.

Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

1 Comment

  1. Mi piacerebbe che potesse esaminare un’opera dell’artista Henri de Toulouse-Lautrec….già esaminata a Parigi…con pareri contrastanti

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