1972, 1999, 2033
Tre annate accolgono gli spettatori al Piccolo Teatro Grassi; tre scritte sovrastanti una scena molto essenziale: tre porte, diverse ma uguali, tre aste mediche e tre mura vissute. La casa accoglie gli spettatori nella storia delle tre generazioni che l’hanno abitata.
Alice Birch, autrice del testo, attua però una scelta cruciale: le generazioni abitano lo spazio scenico tutte nello stesso momento. Le storie delle tre donne, Carol (Tania Garribba), Anna (Petra Valentini) e Bonnie (Federica Rosellini) diventano una singola storia, una singola analisi di come un atto estremo come il suicidio possa influenzare la vita di chi resta.
Assemblare i frammenti
In un primo momento risulta difficile comprendere tutto il testo, non si è abituati a una narrazione così accavallata tra passato, presente e futuro. Una volta entrati nel vero e proprio meccanismo, gli ingranaggi si mostrano e piano piano vanno a definirsi, creando dialoghi che si chiudono nella loro temporalità, ma si aprono e si intersecano con gli altri due.
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Come in un puzzle i pezzi si incastrano uno a uno: partendo da un angolo, la nonna, si passa poi al centro, Anna, senza però completare tutti i bordi ancora; infine Bonnie che è all’angolo opposto, dà un’idea di quanto sia grande questo rebus. Ciò che aiuta davvero a non perdere i pezzi è la drammaturgia, la quale non lascia nulla al caso. Nonostante in alcuni momenti si perdano effettivamente delle battute perché sono dette in contemporanea o in modo estemporaneo, il testo sostiene gli attori e gli spettatori con un ritmo scandito, preciso, studiato.
L’ascolto
Dodici personaggi abitano il palcoscenico, divisi nelle varie generazioni rappresentate. Ogni volta almeno sei attori devono condividere una casa – un palco – nello stesso istante, ma vivendo tre momenti diversi. Ogni tanto le parole di madre, figlia e nipote si sovrappongono, diventando testimonianza della loro somiglianza. Altre volte sono gli altri personaggi che le interpellano con le stesse parole, sentite e risentite per generazioni.
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In Anatomia di un suicidio agli attori è richiesto un lavoro duplice: ascoltare i propri compagni in modo da poter rispettare gli appuntamenti del testo, e allo stesso tempo non lasciarsi interrogare da quello che il loro personaggio non può vedere o sentire. La dinamica tra gli interpreti crea essa stessa la sospensione temporale che il testo richiede, tanto che quando un personaggio sembra guardare oltre il proprio tempo, l’importanza di quella tensione è evidente.
Siamo negli altri
La vita, nel testo di Alice Birch, diventa atemporale: non importa il prima o il dopo, esiste l’adesso, il qui e ora di chi c’è, di chi porta il ricordo e il peso di chi non c’è più. Le vite si intrecciano, si sfaldano e si assemblano nuovamente attraverso gli altri, presenti e futuri.
Anatomia di un suicidio è uno spettacolo complesso, che osserva la vita come compresenza di passato, presente e futuro; una fenomenologia della morte come influenza alla vita altrui.
Anatomia di un suicidio
dal 23 Febbraio al 19 Marzo
Piccolo Teatro Grassi
di Alice Birch
un progetto di lacasadargilla
regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni
traduzione Margherita Mauro
con (in ordine alfabetico) Caterina Carpio, Marco Cavalcoli, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Alice Palazzi, Federica Rosellini, Camilla Semino Favro, Petra Valentini, Francesco Villano e con Anita Leon Franceschi
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