Tra i grandi nomi che hanno contribuito alla diffusione della cultura figurativa gotica in Italia spicca, insieme a Nicola Pisano, lo scultore e architetto Benedetto Antelami, uno dei pochi artisti attivi tra il XII e il XIII secolo di cui si conosce l’identità e parzialmente anche la biografia, autore della Deposizione presente nel Duomo di Parma.
Originario della Val d’Intelvi, situata nella provincia di Como e al confine con la Svizzera, Antelami, fortemente influenzato dalla scuola del Romanico padano, di cui Wiligelmo fu raffinato interprete, ha saputo rinnovare il linguaggio wiligelmiano mediante l’accurato studio della coeva architettura transalpina, pervenendo a forme meno rigide e più naturalistiche. Ebbe infatti modo di studiare il nuovo stile gotico delle cattedrali di Chartres e di Notre-Dame di Parigi durante un viaggio nell’Ile-de-France, compiuto agli inizi degli anni ’70.
Dal 1178 al 1200 fu attivo a Parma dove operò nel cantiere dei lavori del Duomo.
Analisi dell’opera: la lastra della Deposizione di Antelami del Duomo di Parma
Prima opera datata dello scultore, come riportato nell’iscrizione contenente la data del 1178 «Antelami dictus sculptor fuit hic Benedictus», il rilievo della Deposizione è l’unico frammento pervenutoci di una più ampia decorazione del pulpito del Duomo di Parma, oggi collocata nel transetto destro. Realizzata in marmo rosa di Verona, lo stesso impiegato per il battistero, la scena della Deposizione di Cristo morto dalla Croce è rappresentata secondo l’iconografia desunta dal Vangelo di Giovanni; non mancano tuttavia riferimenti all’arte classica, come i tondi con le personificazioni del sole e della luna e la decorazione a rosette e viticci che inquadra l’opera.
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La composizione è dominata dalla presenza della croce che divide simmetricamente il rilievo in due parti, con il corpo morto del Cristo come fulcro compositivo. Ai lati del Cristo, ancora parzialmente inchiodato, le figure di Giuseppe d’Arimatea che abbraccia il corpo inerte di Cristo e Nicodemo su una scala, che toglie il secondo chiodo; sul lato sinistro (alla destra del Cristo) l’arcangelo Gabriele nell’atto di guidare teneramente la mano di Gesù verso il al volto di Maria, affiancata da San Giovanni e dalle tre Marie, Maria Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salomè (teoria delle pie donne), mentre sul lato destro sono riconoscibili i soldati romani preceduti da un centurione, alcuni in piedi, altri intenti a spartirsi la veste di Cristo tirandola a sorte con i dadi.
È stato rilevato come l’imago Christi funga da spartiacque simbolico tra il Cristianesimo e i culti precedenti, ovvero il paganesimo e l’ebraismo, connotati negativamente. Il lato sinistro, con Maria e le pie donne, è infatti dominato dalla personificazione dell’Ecclesia con il vessillo del trionfo e il calice col sangue di Cristo e dall’imago clipeata del sole, inteso come Sol Invictus, associato dall’imperatore Costantino alla natività di Gesù, mentre nel lato destro, accanto ai soldati romani è presente la Sinagoga, personificazione della religione ebraica, la cui testa è imperiosamente piegata da un angelo in un chiaro gesto di sottomissione e, al di sopra dei soldati, l’imago clipeata della luna, emblema dell’oscurità e del male.
È stata altresì rilevata la presenza di figure che appaiono incongruenti nella scena della deposizione, ovvero i soldati che giocano a dadi le vesti di Gesù, presenti nei Vangeli solamente nel momento della Crocifissione, e delle tre Marie, associate al momento della Resurrezione di Cristo all’alba della domenica di Pasqua. Al riguardo è stato ipotizzato che l’Antelami abbia voluto sintetizzare in un’unica opera momenti diversi del calvario di Cristo, sovvertendo le regole canoniche di rappresentazione.
Lo stile
Dal punto di vista prettamente stilistico l’opera risente ancora dell’influenza bizantina, come emerge chiaramente dalla bidimensionalità delle figure, con i piedi dei personaggi posti tutti sullo stesso piano e con forti elementi di stilizzazione nei gesti ripetuti e convenzionali, e dalla caratterizzazione non individualizzata delle singole figure.
L’opera mostra tuttavia anche un tentativo di ricercatezza nei dettagli, a riprova del legame con il linguaggio figurativo d’oltralpe, evidente nelle barbe e nelle capigliature definite da fitti solchi e nel motivo decorativo a piccoli fori delle vesti, attestato nella scultura francese, soprattutto provenzale.
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Citazione letterale alla scultura francese è la personificazione della Sinagoga a cui l’angelo piega la testa, attestata anche in un’altra celebre deposizione d’oltralpe, nella chiesa di Saint Gilles ad Arles.
I riferimenti all’arte classica sono invece prettamente formali, in quanto l’arte classica era considerata un serbatoio da cui attingere per conferire alle rappresentazioni armonia nelle proporzioni e nobiltà nelle figure. L’opera si colloca dunque in una delicata fase di transizione tra il modo wiligelmico di intendere la scultura, e una rappresentazione più naturalistica e ricercata, proiettata verso la grande stagione del Gotico Internazionale.
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