Parlare di mafia non è mai semplice. È un fenomeno complesso fatto di rapporti, interconnessioni e relazioni economiche, sociali, culturali e politiche. È il marcio della società, puzza, ma per troppo tempo si è preferito guardare altrove o turarsi il naso.
L’arresto di Matteo Messina Denaro non è che uno dei tasselli di un disegno ben più complesso. Una rondine non fa primavera e per questo un arresto non segna la fine di un fenomeno che, con diversi cambiamenti, esiste da secoli, attanagliando un territorio, la Sicilia, ed allungando i suoi tentacoli all’intero territorio nazionale. Messina Denaro è un criminale, un sanguinario, ma purtroppo il suo arresto si limita solo ad indebolire il fenomeno mafioso, niente più. Proprio per questo non bisogna fare un ragionamento che sia limitato nel tempo e nello spazio. Bisogna agire con un disegno chiaro e concreto di lotta alla mafia. È una battaglia che non ha età, non ha colore politico e soprattutto non ha delimitazione territoriale.
Le numerose discussioni, i battibecchi e i retroscena hanno poco a che vedere con la soluzione concreta del fenomeno. Non bastano i film sulla mafia, non bastano i talk show e non bastano le prese di posizione più o meno di facciata dei tanti che in questi anni si sono macchiati di ignavia, che hanno lasciato soli coloro che la mafia la combattevano giorno dopo giorno e dimenticato una terra i cui cittadini da decenni combattono contro un male che colpisce uomini e donne, colpisce l’economia e soprattutto il futuro di tanti e tante che si vedono costretti ad abbandonare una terra abbandonata.
La mafia uccide, il silenzio pure
Nessuno si aspettava l’arresto di Messina Denaro. In tanti siamo nati e cresciuti pensando a Matteo Messina Denaro come il più pericoloso latitante. Era un’ombra, qualcosa che c’è, ma la cui immagine è confusa e offuscata dai troppi silenzi. In verità, si è scoperto che quell’ombra era più che presente, tanto da sembrare libera. La sua è una latitanza diversa da quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi anni perché vive il nostro tempo, una normalità apparente, e arriva addirittura a curarsi per mesi sotto falso nome in una delle cliniche più importanti di Palermo.
Non lo si vedeva da troppo tempo. Forse per questo era difficile riconoscerlo, ma possiamo realmente dire che chi in tutti questi anni ha visto Messina Denaro, lo ha visto circolare nel suo paese o nei paesi limitrofi, non lo riconoscesse? Come si può non riconoscere un boss mafioso nato e cresciuto nel tuo territorio, macchiatosi di crimini efferati, fino a diventare quello che nell’immaginario collettivo era il vertice di una macchina complessa come quella di Cosa Nostra?
Il primo fattore è la paura di qualcosa che è troppo grande, che è meglio lasciare stare e sul quale è meglio tacere. Per troppo tempo alla gente è stato insegnato che è meglio stare in silenzio, perché di certe cose è meglio non parlare. Il problema è che la mafia uccide, ma il silenzio pure. Poi sono arrivati gli esempi di chi quella mafia l’ha combattuta a costo della propria vita.
Ci sono nomi più importanti di quello del criminale che è stato appena arrestato. Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Mario Francese, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Piersanti Mattarella, Pio la Torre, don Pino Puglisi, Rosario Livatino, Mauro Rostagno, Carlo Alberto Dalla Chiesa e tanti altri che in silenzio, facendo il loro lavoro, hanno perso la vita combattendo una guerra che dura da troppo tempo.
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Si muore quando si è lasciati soli, quando non si viene creduti, quando la calunnia è più forte degli argomenti di chi vuole buttare giù un sistema fatto di relazioni e malaffare che ha sporcato di sangue le strade, distrutto famiglie e costretto un’intera regione alla crisi perenne.
Ora facciamo l’antimafia
Per descrivere il fenomeno mafioso, bisogna partire dall’assunto che chi ha bisogno cerca aiuto e, proprio sulla base di questo, un fenomeno come quello mafioso trova terreno fertile. Quando non c’è lo Stato o lo Stato è troppo lontano, si crea un “antistato” che soddisfa bisogni, dà lavoro e crea un sistema che si autoregola. Ci sono degli oppressori e degli oppressi, ma la situazione assume un’apparente stabilità. La storia ci insegna che la mafia è stata più volte utilizzata come stabilizzatore, sia durante il fascismo che in seguito alla liberazione e all’intervento anglo-americano.
Le passerelle e gli applausi ai coraggiosi che combattono la mafia servono a poco. Ora serve fare l’antimafia ed è necessario farla veramente.
Ovviamente, ci sono gli aspetti giudiziari, fondamentali per combattere questa guerra. Serve che l’operato della magistratura sia trasparente, vigile e veloce.
Allo stesso tempo, la lotta alla mafia è prima di tutto lotta alla povertà e alla subordinazione. Viene soggiogato chi è povero o chi ha meno mezzi per liberarsi. Proprio per questo bisogna intervenire su tre binari: un binario economico, un binario socioculturale e un binario politico.
Se in un territorio manca il lavoro e le sole attività economiche e commerciali sono quelle che hanno legami più o meno diretti con la criminalità organizzata, vale l’equazione secondo cui “saranno non proprio puliti, ma ci danno il lavoro”. In numerose aree crescono attività commerciali diverse, spesso puntando a un sistema semi-monopolistico raggiungibile attraverso l’abbassamento dei prezzi al consumo. Se l’obiettivo non è il profitto, ma ripulire proventi di attività illecite, si possono abbassare i prezzi anche sotto il livello di costo, distruggendo la concorrenza. Il rischio è quindi che gli unici ad assumere siano loro. Se chiudono quelle attività, però, a pagarne le conseguenze maggiori saranno le famiglie dei lavoratori e delle lavoratrici.
La mafia si combatte quindi con il lavoro buono e con uno sviluppo economico legale che si basa anche sul sostegno ai tanti imprenditori e imprenditrici onesti nella loro personale lotta alla mafia e al pizzo.
A questo si aggiunge un’azione socioculturale. Colpisci la mafia se intervieni con un cambio di mentalità in Sicilia e con una formazione sul fenomeno mafioso nelle altre aree del Paese. La mafia è ovunque. Se pensare alla mafia in Sicilia è una cosa normale, lo stesso non accade quando si fa riferimento ad altre aree. In trent’anni di lotta alla mafia fatta in Sicilia, è aumentata l’attenzione di cittadini ed istituzioni nella lotta alla mafia e si interviene con azioni giudiziarie così come di consumo critico. La Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna non sono altrettanto pronte ad affrontare questo fenomeno perché manca la consapevolezza nelle istituzioni e nella cittadinanza.
Ultima azione che ci può permettere di ricostruire l’antimafia ha connotazioni più politiche. Oggi esiste ancora una domanda di mafia da parte della politica. Senza scomodare la trattativa Stato-Mafia o il caso Dell’Utri, è notizia di qualche mese l’arresto di un candidato consigliere comunale di Palermo che chiedeva supporto alle famiglie mafiose dicendo che sarebbero stati tutti più forti lavorando insieme. La mafia è un buon portatore di voti che sposta i propri voti secondo interessi specifici, ma l’antimafia passa anche dalle elezioni. Serve agire politicamente per fare massa critica e rendere inaccettabili questi fenomeni. Serve votare chi, in modo specchiato e trasparente, si schiera contro la mafia portando avanti la lotta alla mafia anche nelle istituzioni.
Solo allora faremo onore a chi non c’è più, solo allora salveremo i nostri territori, solo allora potremo guardare al futuro a testa alta.
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