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L’assalto alle istituzioni in Brasile, spiegato bene

Pochi giorni fa, migliaia di sostenitori dell'ex presidente Jair Bolsonaro hanno preso d'assalto i palazzi delle istituzioni brasiliane. Ma, di preciso, come sono andate le cose?

8 minuti di lettura

La “Capitol Hill” in Brasile, che tanto era stata pronosticata e temuta già durante la campagna elettorale e dopo la vittoria di Ignacio Lula da Silva del 30 ottobre 2022, è avvenuta. Domenica 8 gennaio i sostenitori dell’ex-presidente di destra Jair Bolsonaro hanno marciato per le strade di Brasilia, dal loro accampamento che da settimane era stato eretto di fronte alle caserme militari della città fino all’area in cui sono situati il Congresso, il Palazzo Presidenziale e la Corte suprema. Gli edifici delle istituzioni del Brasile sono stati presi d’assalto da circa quattromila violenti, i quali considerano fraudolente le elezioni che hanno sancito il ritorno di Lula, rientrato in politica dopo l’annullamento della condanna per cui aveva speso diciotto mesi in carcere per corruzione.

L’assalto di domenica alle istituzioni del Brasile

La folla di sovversivi si è infoltita grazie agli autobus che da sabato 7 gennaio hanno cominciato ad arrivare a Brasilia, carichi di persone che volevano giungere nella capitale per, a detta loro, «ristabilire l’ordine nel paese dopo l’elezione rubata». Il raduno era fissato davanti alle sedi dell’esercito a Brasilia e dopo una marcia di circa un’ora, in cui hanno percorso i pochi chilometri che li separavano dal Congresso, i fan di Bolsonaro sono arrivati a destinazione nel primo pomeriggio. Hanno oltrepassato le barriere che li dividevano dall’entrata del Congresso e hanno sfondato le finestre della Corte Suprema, in maniera altrettanto violenta sono entrati nel Palazzo presidenziale. Sono seguite ore di caos in cui gli edifici istituzionali della capitale brasiliana sono stati danneggiati, le opere d’arte in esso presenti vandalizzate e la democrazia brasiliana è stata duramente attaccata. Le forze di sicurezza hanno infine ripreso il controllo degli edifici in giornata, cacciando gli aspiranti golpisti ed eseguendo numerosi arresti.

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Responsabilità

Nel frattempo, il presidente Lula da Araquara nello Stato di San Paolo, dove si trovava in visita dopo le copiose alluvioni che hanno colpito il territorio, si è precipitato a Brasilia e ha dichiarato lo stato di emergenza per ventiquattro ore. Arrivato nella serata di domenica 8 gennaio, Lula ha visitato le sedi istituzionali da cui i rivoltosi erano appena stati cacciati per verificare i danni. Nei giorni successivi ha giurato che i responsabili sarebbero stati puniti e che si sarebbero svolte indagini per identificarli: a tre giorni dall’accaduto gli arresti hanno superato le quattro centinaia.

Non mancano però le critiche nei confronti della stessa polizia e dell’intelligence di Brasilia, anche da parte del presidente. Nel “migliore” dei casi le forze armate avrebbero sottostimato la minaccia rappresentata dai sostenitori di Bolsonaro accampati nella capitale, nel peggiore dei casi una parte di agenti tra le loro fila invece avrebbero dimostrato di simpatizzare con i rivoltosi. Le immagini della polizia che chiacchiera amichevolmente con i sostenitori di Bolsonaro mentre li accompagna nella marcia verso il Congresso impediscono di escludere la seconda ipotesi.

Del resto, in un paese che da nemmeno quarant’anni ha posto fine a una sanguinosa dittatura militare, in cui l’ultimo presidente si è più volte dimostrato nostalgico nei confronti di quei tempi e in cui una parte della popolazione invoca esplicitamente proprio l’intervento dell’esercito per sovvertire i risultati di una elezione democratica, il tema del ruolo e della lealtà verso le istituzioni delle forze armate è decisamente caldo. Il motivo per cui da settimane in diverse città brasiliane i raduni dei sostenitori di Bolsonaro si svolgono proprio vicino alle sedi delle forze armate infatti è proprio che sono loro il punto di riferimento di coloro che non solo non accettano il ritorno di Lula e lo vorrebbero vedere nuovamente in prigione, ma auspicano in tutto e per tutto una svolta autoritaria nel paese.

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Anche le figure politiche non scampano a scontare la punizione per le negligenze di cui si sono rese colpevoli e che, secondo Lula e i suoi sostenitori, hanno permesso la riuscita del saccheggio delle sedi istituzionali da parte dei sovversivi. La Corte Suprema ha infatti sospeso il governatore del distretto federale di Brasilia Ibaneis Rocha, accusato insieme al suo team di “complicità” con i colpevoli dell’assalto alle sedi delle istituzioni del Brasile.

E Jair Bolsonaro?

Non mancano le accuse nei confronti di Jair Bolsonaro per incitamento alla violenza, il quale però ovviamente si dice innocente ed estraneo alla vicenda. L’ex presidente si era recato in Florida a fine dicembre e si è sottoposto a una cura in un ospedale per problemi intestinali. Ha preso in affitto una casa a Orlando per un mese e non sembrerebbe intenzionato a tornare in Brasile a stretto giro, visto il rischio di essere perseguito penalmente per le responsabilità attribuitegli dopo gli eventi di domenica 8 gennaio. Media brasiliani riportano addirittura che Bolsonaro stia cercando di ottenere, per lui e la sua famiglia, la cittadinanza italiana come incerta via di scampo in caso di eventuale mandato di arresto nei suoi confronti. Non basta quindi la cittadinanza onoraria ricevuta nel novembre 2021 dal Comune di Anguillara Veneta, paese d’origine dei suoi avi emigrati poi in Brasile. Nel frattempo alla Regione Veneto è stata avanzata una richiesta di revoca della cittadinanza onoraria a Bolsonaro da parte di politici di M5S e Alleanza Verdi-Sinistra, ma il Comune di Anguillara temporeggia.

Le minacce delle scorse settimane in Brasile

È evidente che si illudeva chi aveva sperato che i pericoli di violenza politica fossero scampati, nel Paese sudamericano, dopo lo svolgersi in maniera tutto sommato ordinata dell’insediamento di Lula l’1 gennaio. Il rischio era comunque palpabile: appena una settimana prima del giuramento dell’attuale presidente, il 26 dicembre, un sostenitore di Bolsonaro – arrestato perché sospettato di star pianificando un attacco terroristico, che avrebbe dovuto far esplodere un camion di carburante all’aeroporto di Brasilia – aveva dichiarato che il suo intento era provocare l’intervento dei militari per ristabilire l’ordine. Le misure di sicurezza erano quindi state ulteriormente intensificate per la giornata dell’importante cerimonia.

Ad oggi, dopo l’assalto di domenica, gli accampamenti dei pro-militari e pro-Bolsonaro sono stati smantellati, ma la strada per proteggere la democrazia brasiliana dalle minacce autoritarie e dagli estremismi deliranti sembra ancora lunga.

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Immagine in copertina: Photo by Matheus Bertelli on Pexels.com

Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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