Il brutalismo nasce come una promessa. È un’architettura solida, accessibile, popolare. Calcestruzzo armato, forme essenziali e volumi grezzi danno vita a strutture pensate per rispondere ai traumi del dopoguerra e costruire una città nuova per tutti. Attualmente, la percezione di questi spazi è cambiata: quel cemento appare oggi freddo, alienante e ostile. Eppure, il brutalismo è tornato al centro del dibattito architettonico: se ne parla, si riscopre, si rivaluta.
All’opposto di queste architetture pensate e pianificate, ci sono spazi in cui il progetto urbanistico non esiste affatto. Sono gli insediamenti informali, le cosiddette bidonville, che sorgono ai margini delle metropoli o in territori segnati da conflitti e povertà. Luoghi nati da un’urgenza primaria: costruire un rifugio dove non c’è più una casa.
La tensione di fondo è simile, ossia rispondere al bisogno di abitare in città che, per motivi diversi, hanno smesso di essere accessibili, ma il punto di partenza è opposto. Il brutalismo è stato un tentativo (fallito o riuscito) di architettura per il popolo. Le bidonville, invece, esistono dove al popolo non è mai stato concesso alcun diritto alla progettazione.
Brutalismo e bidonville: in entrambi i casi, ciò che resta è la traccia di un desiderio di trasformare lo spazio in un luogo in cui esistere.
Promessa di rinascita collettiva
Progettare o sopravvivere
Accanto all’architettura “pensata” (anche se spesso criticata), esistono realtà in cui lo spazio urbano viene plasmato dall’urgenza, anziché dal progetto. Le cosiddette bidonville sono insediamenti informali nati in condizioni di abbandono, oppure nelle aree colpite da conflitti e povertà. Qui, il cemento non è il materiale ideale: a tornare utili sono piuttosto oggetti di recupero, che si prestano a costruire un riparo. Si tratta di spazi collettivi nati dal bisogno, senza pianificazione, senza diritti, senza un’ estetica ufficiale. In questi luoghi, dunque, il popolo non ha diritto al progetto: si adatta con ciò che trova, stratificando materiali, forme e spazi, costruendo intimità in contesti non pensati per essere abitati. L’urgenza di sopravvivere diventa il vero architetto.
A collegare brutalismo e bidonville, dunque, è l’origine comune: rispondere a un’esigenza collettiva. Se il brutalismo è uno stile architettonico pensato per dare forma alla ricostruzione dopo una crisi, le bidonville sono insediamenti spontanei che nascono per riappropriarsi di ciò che è andato perduto. Dunque, in entrambi i casi, la casa è una conquista. Se nel primo caso si parla di comunità resistenti, il secondo ci obbliga a riflettere su urbanistica e diritti. In fondo, anche ciò che nasce fuori dal progetto merita ascolto, perché l’architettura informale spesso anticipa risposte urbane tanto attese che tardano ad arrivare.

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