Le città che costruiamo (e quelle che nascono da sole)

Articolo della newsletter n. 52 - Luglio/agosto 2025

3 minuti di lettura

Il brutalismo nasce come una promessa. È un’architettura solida, accessibile, popolare. Calcestruzzo armato, forme essenziali e volumi grezzi danno vita a strutture pensate per rispondere ai traumi del dopoguerra e costruire una città nuova per tutti. Attualmente, la percezione di questi spazi è cambiata: quel cemento appare oggi freddo, alienante e ostile. Eppure, il brutalismo è tornato al centro del dibattito architettonico: se ne parla, si riscopre, si rivaluta.

All’opposto di queste architetture pensate e pianificate, ci sono spazi in cui il progetto urbanistico non esiste affatto. Sono gli insediamenti informali, le cosiddette bidonville, che sorgono ai margini delle metropoli o in territori segnati da conflitti e povertà. Luoghi nati da un’urgenza primaria: costruire un rifugio dove non c’è più una casa.

La tensione di fondo è simile, ossia rispondere al bisogno di abitare in città che, per motivi diversi, hanno smesso di essere accessibili, ma il punto di partenza è opposto. Il brutalismo è stato un tentativo (fallito o riuscito) di architettura per il popolo. Le bidonville, invece, esistono dove al popolo non è mai stato concesso alcun diritto alla progettazione.

Brutalismo e bidonville: in entrambi i casi, ciò che resta è la traccia di un desiderio di trasformare lo spazio in un luogo in cui esistere.

Promessa di rinascita collettiva

Nato nel secondo dopoguerra, il brutalismo si impone come linguaggio architettonico di rottura e rinascita. Il termine stesso richiama il béton brut, ovvero “cemento grezzo” e punta all’ essenzialità, senza fronzoli decorativi.

Pensato per ricostruire città devastate, con la forza materica del calcestruzzo armato e volumi massicci, ha incarnato i valori di solidarietà, funzionalità e accessibilità universale. In primo luogo inteso come riscatto sociale, è quindi un manifesto urbano in cui i protagonisti sono edifici resistenti, riconoscibili, costruiti per durare e per servire tutti. In Italia vi sono diversi esempi emblematici che rappresentano la chiara evoluzione dell’impatto che uno stile così tanto controverso ha scaturito: se in un primo momento è stato solo una risposta alla necessità di risolvere una grave crisi abitativa post bellica, come nel caso del Corviale a Roma, in un secondo momento è divento allegoria di rinascita ed espressione di un nuovo gusto lontano dalla monumentale architettura fascista e indipendente dallo stile internazionale europeo, come per la Torre Velasca di Milano. Inoltre, le esperienze di Le Corbusier (Unité d’Habitation a Marsiglia) hanno posto le radici per quelli che sono in seguito diventati i cardini della riflessione brutalista, che ha visto la sua massima espressione in abito europeo con architetti come Alison e Peter Smithson che lo hanno reso simbolo di progresso e trasformazione sociale.

Brutalismo e bidonville
Torre Velasca, Milano-fonte

Tuttavia, negli ultimi decenni, l’architettura brutalista è stata associata a degrado, freddezza e alienazione e molti edifici, privi di manutenzione, sono finiti nel mirino di demolizioni o scandali pubblici. 

Progettare o sopravvivere

Accanto all’architettura “pensata” (anche se spesso criticata), esistono realtà in cui lo spazio urbano viene plasmato dall’urgenza, anziché dal progetto. Le cosiddette bidonville sono insediamenti informali nati in condizioni di abbandono, oppure nelle aree colpite da conflitti e povertà. Qui, il cemento non è il materiale ideale: a tornare utili sono piuttosto oggetti di recupero, che si prestano a costruire un riparo. Si tratta di spazi collettivi nati dal bisogno, senza pianificazione, senza diritti, senza un’ estetica ufficiale. In questi luoghi, dunque, il popolo non ha diritto al progetto: si adatta con ciò che trova, stratificando materiali, forme e spazi, costruendo intimità in contesti non pensati per essere abitati. L’urgenza di sopravvivere diventa il vero architetto.

A collegare brutalismo e bidonville, dunque, è l’origine comune: rispondere a un’esigenza collettiva. Se il brutalismo è uno stile architettonico pensato per dare forma alla ricostruzione dopo una crisi, le bidonville sono insediamenti spontanei che nascono per riappropriarsi di ciò che è andato perduto. Dunque, in entrambi i casi, la casa è una conquista. Se nel primo caso si parla di comunità resistenti, il secondo ci obbliga a riflettere su urbanistica e diritti. In fondo, anche ciò che nasce fuori dal progetto merita ascolto, perché l’architettura informale spesso anticipa risposte urbane tanto attese che tardano ad arrivare. 


Illustrazione di Giada Collauto

Questo articolo fa parte della newsletter n. 52 – luglio/agosto 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Dorasia Ippolito

Curiosa, iperattiva e appassionata d'arte, classe 2002, studentessa fuorisede di scenografia all'Accademia di Belle Arti di Venezia giornalmente tormentata dalla domanda "ma sei pugliese?".

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.