città letteratura

La città ci guarda: vivere tra sorveglianza e illusione

Articolo della newsletter n. 52 - Luglio/agosto 2025

3 minuti di lettura

La città è un concetto estremamente diffuso oggi perché già solo a pronunciarne il nome ci sentiamo coinvolti in un contesto specifico: quello del benessere, delle opportunità, ma anche del pericolo. Basta pensare alla periferia di una grande città di notte oppure all’idea di arrivare molto tardi presso una qualsiasi stazione di città.

Questo luogo si muove quindi tra opportunità e inquietudine, fra città concepite come un paradiso e molte altre reputate invece invivibili.

La città invivibile e controllante di Orwell

Sono tanti gli autori che, nella letteratura, hanno parlato delle città, anche in modo negativo, quasi deprimente e non foriero di opportunità. A tal proposito, non si può non citare 1984 di George Orwell, dove la città è simbolo di controllo totalitario: uno spazio sorvegliato, dove ogni gesto è registrato. La città può ostacolare la libertà con controlli molto ferrei, ma l’ambiente urbano può opprimere anche in altri modi, quelli burocratici, come avviene nel romanzo Il processo di Franz Kafka.

La città orwelliana non ha un vero e proprio nome anche se molti ci vedono una Londra distopica, è la capitale della Provincia Aerea 1, che corrisponde più o meno alla Gran Bretagna. Tale città è descritta come invivibile: degradata, grigia, senza nessuna possibilità di evoluzione soprattutto per i prolet (proletari) che vivono nella totale miseria. Non solo, gli abitanti sono perennemente controllati, con l’ormai celeberrimo “Grande fratello” che li osserva in continuazione, in quanto la città è permeata da telecamere. Il controllo esercitato non è solamente fisico ma anche psicologico. Persino i pensieri possono essere interpretati come tradimento grazie alla psicopolizia.

La città rappresenta rappresenta per George Orwell – non solo a livello architettonico, grazie a un’architettura sovradimensionata che ricorda i regimi totalitari del Novecento, ma anche simbolicamente – il cuore del potere totalitario. La stessa decadenza urbana, come avviene sovente, è un’allegoria del declino morale e la miseria spirituale della popolazione e simbolo della disuguaglianza.

Leggi anche:
Sesso, amore e repressione in «1984» di George Orwell

Le città invisibili e inaccessibili di Italo Calvino

È vero però che le città sono anche bellissime e affascinanti, come succede in una delle opere più importanti della letteratura italiana, Le città invisibili di Italo Calvino, che propone città mentali, proiezioni di desideri, dove lo scenario urbano è immaginifico. Tuttavia, anche questa simbologia a volte cela nella sua bellezza anche il timore dell’ignoto. Ogni città descritta da Marco Polo all’imperatore Kublai Khan è una variazione non solo di un luogo fisico ma anche dell’animo umano.

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: – Perché la costruzione di Tecla continua così a lungo? – gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e giù lunghi pennelli. – Perché non cominci la distruzione, – rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta.

Una delle città più inquietanti descritta da Italo Calvino è Tecla. Essa rappresenta il concetto di urbanizzazione infinita, in quanto è una città che resta in perenne costruzione a ricerca di un senso che però non trova mai. Questo è solo uno degli esempi che vedono le città di Calvino come simbolo dell’alienazione dell’uomo e della vita come labirinto, confusione e caos.


Illustrazione di Giada Collauto

Questo articolo fa parte della newsletter n. 52 – luglio/agosto 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. È autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti "Dipinti, brevi storie di fragilità"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.