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Calvino conquista la Statale:
grande successo per la giornata
dedicata allo scrittore ligure

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13 minuti di lettura
Bruno Falcetto e Paolo Spinicci
Bruno Falcetto e Paolo Spinicci

Un’intera e intensa giornata di discussione sul genio di Italo Calvino si è svolta lunedì 21 dicembre presso l’Università degli Studi di Milano dalle ore 10.00 alle 17.00 con la collaborazione tra docenti e studenti dell’Università. Grazie infatti ad alcune sollecitazioni da parte di laureandi e dottorandi della Facoltà di Studi Umanistici, accolte a braccia aperte dai docenti, ha preso vita la proposta di un momento di approfondimento e dibattito letterario e filosofico sulla figura del grande autore contemporaneo, nella speranza che sia stata solo la prima di una lunga serie da percorrere nell’ateneo milanese.

Alla giornata, aperta al pubblico, hanno partecipato in molti tra studenti della Statale, studenti provenienti da altre università, giovani estranei al mondo universitario e studenti di licei e scuole superiori: dimostrazione di quanto attiri la possibilità di apprendere e partecipare alla vita universitaria anche al di fuori degli orari delle lezioni, in un contesto più flessibile e meno ex cathedra. Nel corso della mattinata si sono intrecciati gli interventi dei due docenti dell’Università che sono stati coinvolti nelle proposte di lavoro degli studenti: Bruno Falcetto, professore di Letteratura Italiana Contemporanea presso la Statale nonché uno dei curatori per i Meridiani Mondadori dei Romanzi e racconti di Italo Calvino, e Paolo Spinicci, professore di Filosofia Teoretica, le cui ricerche si concentrano soprattutto sul rapporto tra le forme dell’esperienza e le diverse modalità della sua trascrizione linguistica.

Il professor Falcetto ha proposto una riflessione sugli esordi di Calvino, soffermandosi in particolare sulla produzione tra il ’43 il ’45, i cosiddetti Apologhi esistenzialistici o Raccontini del dopodomani, evidenziando come proprio in questa fase, coincidente a livello storico con la Resistenza, abbia avuto origine l’idea di letteratura e di stile propria dell’autore. Sin da subito emerge infatti la predilezione di Calvino per una scrittura asciutta, antiemotiva, che si serve dell’ironia, del paradosso e della comicità e concentra la sua attenzione sul problema del soggetto, della sua identità e della sua relazione con il mondo.

Accade, tra gli altri, nel racconto Solidarietà dove il singolo, senza nome, si mescola di continuo con la massa perdendo la propria individualità e la coscienza della propria volontà, trascinato senza sosta nel corso di un furto dalla parte dei ladri a quella dei poliziotti. Elemento da non sottovalutare, ha sottolineato Falcetto tramite alcuni documenti tratti dall’epistolario calviniano, il rapporto dell’autore con il contesto storico resistenziale: molti anni più tardi infatti, nel 1985, sulle pagine di Repubblica Calvino scrive

«Sono stati mesi che hanno contato come anni e se riuscissi davvero a ricordarmi com’ero mese per mese dovrei dare tanti ritratti di me completamente diversi: un giovane è duttile e in mesi di forte tensione procede a sbalzi: nelle reazioni emotive, negli atteggiamenti, nelle idee».

Da questa esperienza storica e individuale nasce, del resto, Ultimo viene il corvo, la raccolta di racconti più importante, una grande occasione di sperimentazione di tematiche e stili narrativi: dal racconto resistenziale storico di stampo drammatico, alla storia picaresca comico-grottesca; dalle narrazioni rusticali di campagna ai raccontini politici carichi di ironia.

Qui l’elemento autobiografico è rielaborato da Calvino attraverso il richiamo all’infanzia e al mondo naturale e insieme attraverso la scelta di figure di giovani studenti-partigiani. Quello che è evidente è che l’identità rappresentata da Calvino in questa fase è un’identità problematica, in continua evoluzione, non autosufficiente ma risultato delle interazioni con il mondo esterno e, soprattutto, dotata di un principio razionale-guida piuttosto contrastato. Si tratta del binomio intelligenza-volontà che riassume in sé sia le esigenze di comprensione sia le zone d’ombra di non comprensione di sé e dell’altro.

Una difesa dell’io quindi non individualistica ma critica: l’io è uno in un mondo di molti, niente di più. Falcetto ha poi sottolineato l’importanza della formula narrativa del racconto, scelta più adatta a mettere in pratica le convinzioni letterarie dell’autore: l’importanza della variazione e della sperimentazione, la funzione dello scrittore come tramite nella relazione con i fatti del mondo, la necessità di fornire al lettore un ruolo attivo e libero, fatto di immedesimazione ma anche di lucidità critica.

Alla base della formazione calviniana le letture di Elio Vittorini, Cesare Zavattini, Robert Louis Stevenson e la letteratura inglese di avventura, Eugenio Montale per la poesia e Cesare Pavese, da cui l’idea di stile come insieme di coordinate che definiscono il rapporto di un autore con il mondo e non solo come scelta di forma o tecnica. Ma cosa scriverebbe Calvino oggi? Probabilmente, secondo il professore, qualcosa che faccia riflettere su quale sia il posto degli oggetti letterari in un mondo che avanza con la comunicazione digitale, dove il libro non tocca più i sensi del lettore, quei sensi tanto importanti per Calvino, ma le parole passano attraverso lo schermo.

Aula 211, Università degli Studi di Milano
Aula 211, Università degli Studi di Milano

Il professor Spinicci, invece, si è concentrato su un altro testo di Calvino, Le città invisibili, mettendo in luce i meccanismi immaginativi utilizzati dall’autore nella creazione della sua opera, per evidenziare quali siano i tratti fondamentali che costituiscono l’immaginazione stessa e il discorso immaginativo. La città di Calvino, la città in generale, risulta essere come una forma di vita possibile, una vita possibile diversa da quella dell’individuo. Come una conchiglia anche la città apre al pensiero immaginativo: un guscio con qualcosa di possibile al suo interno, un guscio di vite possibili. L’immaginazione in effetti sorge solo da oggetti che la sollecitano e che se ne avvicinano.

Come si raccolgono le conchiglie così Calvino raccoglie città nel suo testo: l’immaginazione non fa altro che raccogliere possibilità, ogni città descritta è una variabile che individua un campo di possibilità di vita diverse. La città è un oggetto che risponde inoltre al procedimento di variazione sul tema, tanto caro all’autore: la città ha a che fare con la memoria e pre-esiste all’individuo, la città ha a che fare con il futuro nella dimensione dei desideri e delle opportunità dell’individuo, la città è anche uno spazio di relazione e scambio tra gli individui. Da una sola matrice generale Calvino crea e intreccia tante variazioni, tante possibilità: l’immaginazione del resto è la costruzione di una tendenza totalizzante che ben si nota nel testo calviniano.

Ma l’immaginazione ha anche una struttura narrativa, per cui deve poter creare oggetti che possano essere narrati e non può spingersi oltre questo limite di verosimiglianza. Marco Polo, il personaggio dell’opera di Calvino, parte da Venezia, dalla sua città, per raccontare al Gran Khan di città reali, fantastiche, inesistenti: dal proprio contesto esistenziale immagina altro, perché l’immaginazione si radica sempre in qualcosa di altro dal reale che però con il reale mantiene una qualche connessione. Ogni oggetto di finzione presuppone in un certo senso una cornice, un modo per evidenziare che quello che c’è oltre è frutto dell’immaginazione.

In Calvino sin da subito si chiarisce questa natura immaginaria dei contenuti e il lettore stesso è chiamato a partecipare alla costruzione del gioco. Ma la cornice è anche la soglia che permette al lettore di capire quali siano i motivi di questo fantasticare di Marco Polo:

«Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo e esploratore. Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri (…) è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti».

La narrazione quindi come specchio in negativo della realtà, come mezzo per vedere chi siamo attraverso quello che non siamo. Marco non parla mai di Venezia, in realtà ne parla sempre attraverso le altre città di cui racconta e la conosce solo attraverso di esse. Ma se la vita è una partita a scacchi, come spiegano i due personaggi, perché si gioca? Cosa si vince, cosa si perde? La risposta di Calvino, secondo Spinicci, è che «si gioca il gioco dell’immaginazione» e l’immaginazione non propone una risposta conoscitiva sull’esistenza, ma performativa, suggerisce un modo di prendere l’esistenza.

Prendere l’esistenza narrando, suggerendo immagini, moltiplicando le esperienze immaginative. Ecco quindi che ne Le città invisibili ritorna il tema dell’identità del singolo, identità che nasce solo superandone i tratti, vedendone tutte le possibilità, quelle realizzate e quelle immaginate, completandosi con l’immaginazione. Solo con gli intrecci di vite possibili si arriva infatti a comprendere la vita reale.

Nel pomeriggio infine gli studenti si sono distribuiti in tre diversi laboratori tematici tenuti da alcuni dottorandi del Dipartimento di Studi Umanistici, Alessandra Frison, Alessandra Farina e Alessandro Freno: si è parlato di Palomar, di Ultimo viene il corvo e della lezione sulla Leggerezza tratta dalle Lezione Americane del 1985.

calvino statale

Foto di Giulia Malighetti

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Alessia Carsana

Sono nata ad agosto nel 1992. Vivo tra le montagne in provincia di Lecco, ma scappo spesso in città. Ho studiato Lettere Moderne all'Università Statale di Milano e mi incuriosisce la Linguistica. Cerco di scrivere, di leggere e di vedere quante più cose possibili. Cerco storie. Amo i racconti, la scultura, la poesia, la fotografia. Mi piacciono i dettagli, le simmetrie, i momenti di passaggio.

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