Scritto in appena due mesi, tra settembre e novembre del 1949, nel 1950 viene pubblicato l’opera della maturità di Cesare Pavese, con la quale vinse nello stesso anno il premio Strega: La luna e i falò.
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La vicenda, narrata in prima persona, è quella di Anguilla, un trovatello che, allevato in una casa di poveri contadini in cambio di un assegno dall’ospedale di Alessandria, in giovane età lascia la terra d’origine per vedere il mondo e fare fortuna in America.
Dopo la Liberazione, quarantenne ricco ma malinconico, ritorna dall’America nei luoghi in cui ha trascorso l’infanzia, dalle colline delle Langhe alle cascine che lo hanno visto fanciullo e ragazzo: in tutto il romanzo vengono ripercorse con la memoria le vicende dell’ infanzia del protagonista, vengono riscoperti odori, sapori, luoghi, abitudini e volti, nel tentativo di trovare un senso all’esistenza.
Fa da guida e da controcanto Nuto, un vecchio amico di Anguilla, che non si è mai spostato dalle colline, un falegname dedito al lavoro e ai ragionamenti filosofici, che in gioventù suonava il clarino in una banda e faceva musica nei paesi in occasione di feste e matrimoni. Egli è convinto della profonda ingiustizia del mondo e della necessità di un riscatto, impersonando così l’impegno socio-politico dello scrittore. La sua figura è ritagliata su un amico d’infanzia dell’autore, Pinolo Scaglione, che Pavese ha interpellato più volte durante la stesura dell’opera.
Uno snodo fondamentale dell’opera è il rapporto tra il protagonista e il piccolo Cinto – zoppo e rachitico, ma pieno di curiosità e voglia di vivere – per il quale il primo prova compassione e invidia, ma soprattutto un sentimento paterno: il ragazzo è per lui il figlio che non ha mai avuto. Suo padre, il Valino – un mezzadro vessato dai padroni – sfoga la propria rabbia in una violenza insensata, battendo il figlio, le donne di casa e il cane. Un giorno, uccide la sua convivente, brucia la casa e si impicca: Cinto riesce a salvarsi e raggiunge Nuto e Anguilla, il quale decide di farsi carico della sua educazione. Attraverso il suo sguardo ancora incantato, l’adulto cerca di ritrovare una nuova e fresca visione del mondo, per lui ormai inaccessibile.
Di grande intensità lirica, nei 32 capitoli di La luna e i falò, l’autore utilizza un linguaggio scarno, quasi privo di aggettivi (quelli impiegati sono sempre ben scelti), e un periodare breve, prediligendo le coordinate che conferiscono semplicità e colloquialità alla prosa. La lingua si avvicina molto al parlato, ricorrendo a costruzioni e a modi di dire tipici del dialetto.
La nostalgia, i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, la memoria, la solitudine, lo sradicamento, la Resistenza, la paternità mancata, la civiltà contadina con i propri riti, l’ingiustizia del mondo, l’amicizia e il rapporto con le donne sono solo alcuni dei temi principali affrontati da Pavese nel suo ultimo romanzo, intriso di elementi autobiografici, carico di valenze simboliche, infatti scritto poco tempo prima che l’autore si togliesse la vita.
Nicole Erbetti
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Immagine in copertina da Pinterest
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