Passeggiando per via Merulana risuona l’orgoglioso accento molisano di don Ciccio Ingravallo. Il numero 219 del signorile palazzo dove si è consumato il Pasticciaccio ci guarda superbo, quasi avesse incastonato nelle mura la grandezza di colui che ha partorito le argute architetture sintattico-semantiche di un romanzo dal titolo diventato antonomasia. Una targa onesta ricorda al passante che laddove ora vi è un locale alla moda nel 1957 Carlo Emilio Gadda aveva immaginato un giallo dal sapore tutt’altro che classico. Lui, Gran Lombardo di Milano, allievo brillante del Parini e poi ingegnere uscito dal Politecnico aveva scelto Roma come scenario di quello che diventerà il romanzo destinato ad aprirgli le porte della posterità.
Scrittore per vocazione ma costretto ad abbandonare ogni velleità letteraria per volere materno, Gadda è una delle figure più complesse del panorama letterario novecentesco. Per lui non esistono vie di mezzo, o lo sia ama o lo si odia; eppure, se si impara a conoscerlo, ad entrare nei meandri del suo pastiche, negli arzigogoli della mente, quello che ne risulterà sarà un complesso sistema di adorazione quasi mistica, potente fino allo stremo al pari del suo modo di procedere. Per un gaddiano camminare per via Merulana è un’esperienza di comunione interiore con un dio che si suole indicare con la lettera minuscola per semplice rispetto di coloro che credono davvero in un’entità superiore. Leggere Accoppiamenti giudiziosi o L’Adalgisa dopo una giornata di lavoro è – per chi ha creato con il Gaddus uno stato di comunione – come riconciliarsi con il mondo. Giornale di guerra e di prigionia è la cronaca del primo conflitto mondiale più intima e sofferta che sia mai stata scritta; La cognizione del dolore ha in sé la potenza di un’onda di disagi interiori che si abbatte con forza sulla chiglia della nave del lettore.
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Proprio tale testo, quello forse maggiormente messo in ombra dal successo del Pasticciaccio, ci aiuta a comprendere nel profondo l’anima inquieta dell’ingegner Gadda. Un uomo geniale, intimamente solo, scisso e nevrotico come quel personaggio inquieto che tratteggia nelle pagine del romanzo. La psicoanalisi – sapere talvolta tirato in ballo senza ragione apparente – si pone come la chiave di lettura più appropriata per penetrare l’essenza della Cognizione, squarciando il velo dell’apparenza che a lungo ha circondato la figura di questo scrittore burbero e misogino, forse mai intimamente compreso. Una parte di critica illuminata (Ferdinando Amigoni ed Elio Gioanola in primis) ha in realtà saggiamente approcciato Gadda cercando di far luce in quel «male oscuro» mai guarito, tenendo conto di quella che lo stesso autore in un’intervista ha definito «cicatrice della nascita».
Lo stesso Carlo Emilio, del resto, si è mostrato in più occasioni arguto lettore di Sigmund Freud, ostentando non poco disprezzo per «la crassa ignoranza di molti grossi tromboni della moraloneria e della cultura dell’epoca» (anni ’26-’30) che piegandosi al Mussolini-pensiero rigettavano tutto ciò che di esterofilo c’era. La consapevolezza di essere segnato da tale cicatrice («Veramente le prove sostenute dalla mia infanzia sono state tali, per circostanze famigliari, da scuotere qualunque sistema nervoso») non poteva non spingere l’autore a trovare in una teoria che riportava tutto alla componente infantile un abile strumento di comprensione del proprio vissuto, nel quale era già scritto, come affermò lui stesso, «tutto il repertorio del futuro romanzo». Per un uomo dalla cultura sconfinata come Gadda, la formula migliore per condensare tale salda consapevolezza veniva dalla quarta egloga virgiliana, il cui ammonimento finale è un deciso «cui non risere parentes» («colui al quale i genitori non sorrisero»), per indicare come un figlio, da sempre sentitosi «prova difettiva di natura», non possa crescere sano se non riceve, da subito, l’amore dei genitori. Se questi mostreranno un eccesso di severità e una crudeltà nei metodi educativi, gli istinti del bambino (il perverso polimorfo freudiano) conosceranno una storia di repressione forzata e di «dura custodia inconscia», tale da segnare profondamente la vita adulta.
Il riferimento è, chiaramente, alla severa madre Adele, colei che nelle pagine della Cognizione del dolore è rappresentata dal semplice nome comune indicante il grado di parentela, una signora austera tutta cura e ricordo del figlio minore morto in guerra. Se si accetta l’identità – peraltro totale – di Gadda con il protagonista Gonzalo, è impossibile non notare i punti di contatto tra la figura del figlio caduto nel conflitto e il fratello Enrico, aviatore deceduto di ritorno da una missione. Un fratello amato e odiato, secondo quel sistema di ambivalenza affettiva che il Gaddus (e Gonzalo) prova anche nei confronti della genitrice e che, insegna Freud, rappresenta uno degli elementi chiave della nevrosi ossessiva. E gli altri tratti caratteristici di questa (ossessioni di pulizia, accuratezza e ordine che altro non sono che una formazione reattiva per ciò che è “sporco”) sono tutti compendiati nella figura dell’hidalgo della Cognizione del dolore, espressione più alta dell’autobiografismo gaddiano; si pensi all’avarizia (tra l’altro elemento tipico del carattere sadico-anale), agli scatti d’ira frequenti, all’ossessione di non volersi accoppiare disprezzando persino il sesso a pagamento. Conflitto edipico o meno, ciò che conta è l’assoluta coincidenza del personaggio con l’autore, in quel continuo rimando tra autobiografia e finzione che caratterizza da sempre l’universo gaddiano. «La pedagogia di Pastrufazio che non ammette limiti» (n.b. Pastrufazio indica Milano, giacché La cognizione del dolore è interamente ambientata in una Brianza camuffata da America Latina fittizia) ha segnato sia l’uno che l’altro, tanto da costringerli, in età adulta, a combattere con i loro fantasmi.
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Per non parlare della “malattia dei pensieri”, quella continua ossessione di avere il cervello pieno di numeri e pagine da leggere che caratterizza il Gonzalo amante di Cervantes e il Gadda studente da nove in latino e dieci in matematica e fisica. Ancora una volta autore e personaggio si sovrappongono nel complesso di un’immensa opera in cui ogni fatto, ogni simbolo ha qualcosa a che vedere con le zone oscure della mente, con quell’inconscio che alimenta e che forse è alla base di tutto il «male oscuro» gaddiano.
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[…] della letteratura moderna italiana che è meditativa e tocca fra gli altri Giacomo Leopardi e Carlo Emilio Gadda, a chiedersi il perché del dolore e del disordine delle cose. Una prospettiva aggrappata sempre al […]