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Capire il caso Stéphane Lissner

E come si intreccia con la partita delle nomine governative in RAI

10 minuti di lettura

Nel pieno della crisi diplomatica tra Francia e Italia, sul filo del rasoio sul tema dell’immigrazione e in generale sull’approccio alla politica comunitaria, l’offensiva del governo di Giorgia Meloni sul mondo della cultura e dei media pubblici italiani fa una vittima collaterale. O almeno così parrebbe, perché la vicenda non è ancora conclusa.

Il caso

Stéphane Lissner è il sovrintendente e direttore artistico del Teatro San Carlo di NapoliLissner, francese, settant’anni appena compiuti, si trova direttamente nel mirino di un decreto adottato lo scorso giovedì 4 aprile dal Consiglio dei Ministri che dovrebbe arrivare a breve in Gazzetta Ufficiale, e che fissa proprio a settant’anni l’età pensionabile per i direttori stranieri di teatri d’opera. Un limite, chiariamo, che vale già per i colleghi italiani. Ma Stéphane Lissner – che aperta e chiusa parentesi di esperienza ne ha ed è stato già direttore dell’Opera di Parigi – non ci sta: il suo contratto arriva fino al 2025 e lì lotterà per stare. Lo sta facendo in più modi: in primis mettendoci in mezzo i suoi avvocati (sostenendo di essere già nel mirino da tempo) e poi cercando di rendere il fatto il più mediatico possibile. Questo accade soprattutto in Francia, dove la notizia della (per ora tentata) epurazione di Stéphane Lissner ha già riempito le pagine dei principali quotidiani francesi, rendendo fiamma la miccia che è scoccata tra Parigi e Roma, anche sul fronte culturale. Ma anche nella sua Napoli dove gli abbonati stanno raccogliendo le firme in difesa del sovrintendente.

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Lissner e lo scacchiere delle nomine Rai

Nel nostro paese il racconto sulla stampa dell’affaire Lissner sta prendendo una piega tutta italiana che va al di là dell’emanazione di un semplice decreto. I principali organi di stampa stanno sottolineando, infatti, come dietro all’allontanamento di alcuni sovrintendenti si inserisca la partita delle nomine Rai, cioè tutte quelle operazioni politiche svolte dal Parlamento e dal Governo per indicare i nuovi consiglieri e un nuovo direttore generale dell’azienda pubblica radiotelevisiva. Ovviamente si tratta di un momento tanto delicato quanto strategico: scelte più o meno filo-governative vanno a incidere sul palinsesto e sui programmi in onda, informazione compresa

Quasi sempre le nomine sono state guidate dal cosiddetto principio della lottizzazione: Rai Uno in quota filo-governativa, cambiando quindi volta per volta; Rai Due in quota centrodestra; Rai Tre in quota centrosinistra. Inoltre, di solito, il consiglio di amministrazione è composto da persone designate da tutte le forze parlamentari. Non si sa se questo principio varrà anche per questa tornata di nomine; quello che si apprende è un forte fermento e il sussurrato ritorno di figure da tempo lontane dalla rete pubblica, uno fra tutti il giornalista Nicola Porro

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La premier, Giorgia Meloni

Ma Stéphane Lissner che c’entra in tutto ciò? “Liberando” il posto del San Carlo di Napoli da Lissner, questo potrebbe essere occupato da un attuale dirigente Rai in uscita. Il nome che sta circolando in queste ore è quello di Carlo Fuortes, amministratore delegato di Rai che proprio a inizio settimana ha comunicato le sue dimissioni al ministro dell’Economia e delle Finanze. Carlo Fuortes – che sul decreto e sulle conseguenze che potrebbe avere sulla sua carriera non ha rilasciato ad oggi alcun commento specifico – ha un lungo passato nella pubblica amministrazione. Fu nominato AD Rai dal Governo Draghi dopo aver guidato con fermezza il Teatro dell’Opera di Roma. Le sue dimissioni aprono a loro volta un portone per un successore in Rai, certamente più in linea con l’attuale esecutivo. 

Dall’inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico. […] Non posso, pur di arrivare all’approvazione in CdA dei nuovi piani di produzione, accettare il compromesso di condividere cambiamenti – sebbene ovviamente legittimi – di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai. Ho sempre ritenuto la libertà delle scelte e dell’operato di un amministratore un elemento imprescindibile dell’etica di un’azienda pubblica.

Le parole che accompagnano le dimissioni di Carlo Fuortes

Un pericoloso precedente

Da Stéphane Lissner a qualcun altro il passo è breve. La decisione presa sull’età massima dei sovrintendenti non italiani potrebbe infatti colpire anche un altro francese, Dominique Meyer, direttore della Scala di Milano, che ha sessantotto anni e potrebbe essere costretto a lasciare il suo posto tra diciotto mesi. Ed è paradossale dal momento che la Scala sta vivendo un importante momento di crescita e ha bilanci più che in positivo, oltre che una stagione di ottimo livello premiata da critica e pubblico. 

Non mi sono mai sentito uno straniero. E mi sento a casa laddove si fa cultura.

7 dicembre 2022: Meyer commenta le affermazioni di Vittorio Sgarbi, che a seguito della prima della Scala aveva detto che a Milano ci sarebbe voluto un sovrintendente italiano

E a difendersi proprio con i risultati alla mano è Stéphane Lissner che pochi giorni fa ha inviato una lettera ai soci fondatori pubblici della Fondazione San Carlo (Mic, Regione Campania, Comune di Napoli), affermando che «abbiamo un teatro che va molto bene, abbiamo un sindaco (Gaetano Manfredi, presidente della Fondazione, ndr) e un Consiglio di Indirizzo che stanno supportando il nostro lavoro ed è questo che conta».

Francesca Leali © Il fascino degli intellettuali

Tutto quello che sta succedendo nel mondo della cultura italiano in questi giorni, commenta il corrispondente Allan Kaval dalle colonne di Le Monde, «fa parte di una mossa molto più ampia per aumentare il controllo del governo di estrema destra sull’emittente pubblica italiana». Non è l’unico a pensarla così: in un articolo per il quotidiano Domani Corrado Formigli ha definito il decreto (che intanto è giornalisticamente il Decreto Fuortes) come l’atto politico più sfacciato mai compiuto per occupare lo schermo. E se direttore generale della nuova Rai diverrà Giampaolo Rossi, come si mormora da giorni, Corrado Formigli ci tiene a rinfrescarci la memoria con alcune delle sue uscite migliori (seppur datate), tipo che «Vladimir Putin è l’unica speranza per scongiurare una crisi internazionale senza ritorno», che Barack Obama era «un afro di Honolulu» e Alexei Navalny «una spia della Cia». 

Il vento sta cambiando e si inizia a sentire. Se fino a qualche mese fa Dominique Meyer doveva sopportare “solo” di essere identificato come lo straniero per Vittorio Sgarbi (sì, c’è un precedente infelice e potete leggerlo qui), oggi c’è il problema concreto che dopo Stéphane Lissner sul piede di guerra e con avvocati al seguito potrebbe esserci lui. E forse altri dopo. 

Galleria Farini, Palazzo Fantuzzi, Bologna, aprile 2018: in occasione della collettiva internazionale di pittura, Vittorio Sgarbi firma la critica dell’artista Tiziana Tardito

Scossoni Rai, invece, sembrano essere già più vicini: proprio in queste ore circola la voce per cui a cambiare potrebbe essere anche la direzione artistica del Festival di Sanremo, la cui ultima edizione è stata fortemente criticata da diversi esponenti della destra di governo.   

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Agnese Zappalà

Classe 1993. Ho studiato musica classica, storia e scienze politiche. Oggi sono giornalista pubblicista a Monza. Vicedirettrice di Frammenti Rivista. Aspirante Nora Ephron.

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