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Governo Meloni: solo questione di parole e numeri?

Sanità, norma anti-rave e crisi migratoria: le prime mosse del nuovo governo fanno discutere

12 minuti di lettura

Inizia una nuova legislatura e si insedia il Governo presieduto da Giorgia Meloni composto da veterani recuperati dalle ultime esperienze di governo e dai volti nuovi dell’unico partito che è sempre stato all’opposizione ed esprime la Presidente del Consiglio. Le parole pesano come macigni e, contro ogni previsione, si torna a parlare di migranti, sanitari no vax e di rave.

Ogni parola ha un suo peso e utilizzare le parole giuste in specifici contesti consente di farsi capire e chiarire ciò che concretamente si vuol dire. Per fare un esempio concreto, la parola “Nazione”, tanto cara alla compagine di governo, non può essere utilizzata per tutto: non può sostituire le parole Stato o territorio. Si rischia lo scivolone o, peggio, la figuraccia in contesti ufficiali.

Allo stesso modo, i numeri ci permettono di comprendere l’entità di un fenomeno. Piccolo dettaglio, bisogna leggerli bene, perché è facilissimo sovrastimarne o sottostimarne gli effetti.

Parole e numeri nel linguaggio politico permettono di chiarire, ma anche di porre l’accento su un fenomeno e non su altri.

Dal suo insediamento, il Governo Meloni avrebbe dovuto occuparsi dei problemi che attanagliano il nostro Paese e che hanno caratterizzato la campagna elettorale chiusasi con la vittoria del centro-destra. Una giusta politica energetica che affronti gli aumenti del costo dell’energia e gli effetti del cambiamento climatico, i numerosi tavoli di crisi aziendale, il lavoro, una gestione corretta dei fondi del PNRR che eviti spechi e ingerenze della criminalità organizzata. Al contrario, si sceglie di dare spazio a battaglie identitarie e a proposte che ripagano il supporto di specifiche fette del proprio elettorato.

Il primo CdM

Il primo Consiglio dei ministri si è chiuso con due proposte chiare. La prima, in tema di sanità, anticipa i reinserimenti dei sanitari sospesi perché non vaccinati. Da qui, la polemica sulla credibilità dei medici che decidono di non vaccinarsi, ma anche sull’opportunità di reintegrare questi sanitari. Per molti si tratta di una chiara forma di discriminazione nei confronti di chi ha rispettato gli obblighi vaccinali rimanendo in prima linea nella lotta contro il Covid-19 e continuando a curare esseri umani. I numeri sono bassi e ininfluenti (0,7% del totale) e la giustificazione legata al bisogno di medici nei nostri ospedali scricchiola. Probabilmente, sarebbe più opportuno occuparsi delle assunzioni dei nuovi medici attraverso il superamento dei numeri chiusi nelle facoltà di medicina e del collo di bottiglia formatosi in anni di scarsità di borse di specializzazione.

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La seconda proposta, la cosiddetta Norma Anti-Rave, dovrebbe porre un limite ai rave illegali seguendo i fatti di Modena delle settimane scorse. Anche qui, le parole sono importanti e le polemiche nate in seguito all’emanazione del decreto ne sono una chiara dimostrazione.

L’inserimento dell’Art. 434bis del Codice penale in materia di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” non fa specifico riferimento ai rave, ma a qualsiasi forma di “invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” prevedendo per gli organizzatori/promotori la reclusione da tre a sei anni e una multa da 1.000 a 10.000 euro. Tornando ai numeri, cosa cambia tra un evento di 49 partecipanti e uno di 51? Il pericolo si lega a quelle due persone in più?

È necessario sottolineare che, se non si specifica a quali eventi si fa riferimento, non si può biasimare chi definisce la norma come liberticida. Si rischia di punire qualsiasi forma di assembramento e dissenso lasciando ampia discrezionalità alle autorità in questione. Interpretando la norma in senso estensivo potrebbe farvisi rientrare qualsiasi forma di occupazione, manifestazione, dimostrazione che coinvolga lavoratori, studenti o gruppi sociali che decidono di manifestare per i propri diritti in linea con l’Art. 17 della Costituzione della Repubblica italiana che garantisce ai cittadini il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi.

Il carico residuale

Piccoli movimenti che rispondono a chiare richieste di una piccola parte di elettorato. Secondo alcuni analisti si tratta di mosse di mera propaganda e di armi di distrazione di massa che nascondono i reali problemi del Paese. Per altri, si sta facendo semplicemente quello che si è sempre detto.

Da qui, il terzo tema. La crisi migratoria che attanaglierebbe l’Italia. Oltre al fatto che i numeri dicono tutt’altro e che un fenomeno che dura da decenni non può materialmente essere considerato emergenziale, ci si concentra sugli sbarchi legati all’attività delle ONG che presidiano il Mediterraneo, pari a circa il 10% degli sbarchi totali.

Ricordate i taxi del mare? Gli amici degli scafisti? Quelli le cui navi andavano affondate? Ecco, sì, di nuovo loro.

In Italia, gli sbarchi avvengono tramite imbarcazioni di fortuna, tramite salvataggi della Guardia costiera o tramite l’intervento delle navi delle ONG presenti nel Mediterraneo. Da giorni, diverse imbarcazioni si trovavano in acque internazionali chiedendo un porto sicuro in cui approdare facendo scendere sulla terra ferma le centinaia di migranti salvate in mare. Per le due imbarcazioni, Humanity 1 di SOS Humanity e Geo Barents di Medici senza frontiere, è stato assegnato il porto di Catania.

Può scendere solo chi è fragile. Scendono donne e bambini, minori non accompagnati, nuclei familiari ed esseri umani in condizioni fisiche precarie o critiche. Gli altri rimangono in mare, su quella imbarcazione che, seguendo le direttive dei Ministri di interni, difesa e infrastrutture, sono invitate a lasciare le acque territoriali con ciò che il Ministro degli interni Piantedosi ha definito “carico residuale”.

Oltre alla barbarie dello sbarco selettivo che riporta alla mente pagine buie della nostra storia, si aggiunge il fatto di definire “carico residuale” un gruppo di esseri umani fuggiti dalla loro terra, sottoposti a violenze e vessazioni nella Libia con la quale abbiamo rinnovato l’accordo che la pone come ostacolo all’immigrazione verso l’Europa, e che hanno affrontato un’attraversata in mare, un salvataggio e più di dieci giorni in attesa dell’assegnazione di un porto sicuro.

Le imbarcazioni delle ONG non sono adatte alla permanenza prolungata di un numero così alto di persone. Sono solo navi di salvataggio. Tuttavia, la compagine di governo non sembra essere destabilizzata da quanto accaduto. Dal classico “è finita la pacchia”, siamo arrivati alle “condizioni ottimali” dei migranti ai quali non è stato consentito lo sbarco, al “traffico organizzato” di esseri umani che sarebbe organizzato dagli scafisti in collaborazione con le ONG, fino al cambio di rotta del Governo Meloni che permetterebbe di pressare l’Europa e di indicare la via per una politica di accoglienza comune. Tutto questo si fa sulla pelle di esseri umani e non percorrendo i canali ufficiali di dialogo di cui dispone ogni Stato membro dell’UE.  

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La cosa peggiore, però, è l’utilizzo prettamente populista del dubbio e delle mezze parole che sollevano questioni atroci che nulla hanno a che vedere con i numeri, ma che giocano tutto sulla percezione. Riparte la narrativa delle ONG come pull-factor e si sentono dire frasi del tipo: «Chissà come mai con i precedenti Governi non ci sono mai stati sbarchi e riprendono proprio ora che ha vinto il centro-destra» o addirittura «Eh, chissà chi sono gli armatori di queste navi che salvano i migranti».

Fortunatamente, una seconda perizia medica e psicologica ha riconosciuto la fragilità di tutti i migranti presenti ancora a bordo dopo il primo sbarco, consentendo ai 35 delle Humanity 1 e ai 213 della Geo Barents di scendere a terra.

Il dialogo politico piace, anche la bagarre giornalistica e televisiva è fondamentale per la politica italiana, ma in questo momento stiamo parlando di qualcosa di più importante. Di qualcosa che non può essere politicizzato e non può essere utilizzato per guadagnare qualche punto percentuale nei sondaggi. Stiamo parlando di esseri umani chiusi in una imbarcazione che si vogliono respingere in violazioni del diritto europeo ed internazionale. Allo stesso modo, stiamo evitando di parlare di una crisi economica ed energetica che colpisce le famiglie e le imprese e che sta mettendo in ginocchio un intero Paese.

Le parole sono importanti, i numeri fondamentali, ma serve chiarezza e dignità per occuparsi davvero di ciò che conta.

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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!

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