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Perché visitare il Castello di Sammezzano

Un capolavoro senza pari in Italia e al mondo

12 minuti di lettura

Immaginate di trovarvi con la testa per aria, a rimirare centinaia di arabeschi che ornano stanze ariose, effigiate con colori moreschi che richiamano le stagioni e la cultura orientalista. Sembra una favola: ci si sente invischiati e fluttuanti come in un quadro di Matisse, accompagnati da fiori e accarezzati dai veli delle odalische. Però non è un sogno, e un posto così esiste veramente: parliamo del Castello di Sammezzano, a Reggello, in provincia di Firenze. Un luogo fiabesco circondato da 190 ettari di verde.

 Castello di Sammezzano
Esterni del Castello di Sammezzano. Fonte: fondoambiente.it

E questo posto, insieme al The Student Hotel in viale Spartaco Lavagnini a Firenze e Villa Castelletti a Signa, è uno dei protagonisti delle aperture straordinarie programmate per il 15 e il 16 maggio nell’ambito delle Giornate FAI di primavera. Purtroppo (o per fortuna), le prenotazioni delle visite sono andate sold out nel giro di un paio d’ore.

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Vincitore dell’edizione del 2016 del censimento FAI “I Luoghi del Cuore” e arrivato secondo nel 2020, il Castello è tra i sette Most endangered sites in Europa – luoghi speciali a rischio di estinzione.

Il Castello piacque così tanto a Matteo Garrone, che lo scelse come location del suo Racconto dei Racconti, con protagonisti Salma Hayek e Vincent Cassel.

La storia del Castello di Sammezzano

Il Castello di Sammezzano, dopo varie vicissitudini, è chiuso al pubblico dal 2016. Le sue origini pare risalgano all’epoca romana: lo storico Robert Davidsohn, nella sua opera Storia di Firenze, afferma che nel 780 Carlo Magno, di ritorno da Roma, vi soggiornò per un breve periodo. Successivamente pare che il Castello divenne proprietà della famiglia Medici, e a seguire di Ximenes d’Aragona, nobile spagnolo che acquisto la proprietà nel 1605.

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Raggiunse infine il suo ultimo erede: Ferdinando Panciatichi Ximenes. Questi, grande appassionato di architettura e protagonista della fervida vita culturale fiorentina dell’epoca, ispirandosi all’Orientalismo – corrente che a fine Ottocento si diffuse largamente in Europa e che trovò in Toscana gran seguito – riprogettò il Castello tra il 1853 e il 1889 e lo rese un edificio senza pari in Italia e con pochi confronti a livello internazionale. Nelle sue 13 sale principali possiamo ammirare un lavoro architettonico che può esser definito senza dubbio un vero e proprio capolavoro, che si accompagna a intarsi che evocano l’arte indiana e moresca.

 Castello di Sammezzano
Interni del Castello di Sammezzano. Fonte: sammezzano.info

Nel 1970 fu convertito in hotel di lusso. Oggi, dopo una serie di vicissitudini e di aste giudiziarie mai aggiudicate, è da poco tornato di proprietà della Sammezzano Castle srl ed è in cerca di una nuova vocazione.

Nel 2013, al bicentenario della nascita di Ferdinando Panciatichi Ximenes, è stato fondato il Comitato FPXA (senza fine di lucro), un’associazione che promuove la conoscenza della storia di Ferdinando e del Castello, oltre a organizzare visite all’interno del parco e dell’edificio, con lo scopo di non abbandonare questo luogo e la sua preziosa storia.

Inoltre da qualche anno, Francesco d’Esposito ha creato il movimento Save Sammezzano, che si propone di salvare il castello dal triste destino a cui istituzioni e interessi privati lo hanno abbandonato.

Uno sguardo più da vicino al Castello di Sammezzano

Il restauro ad opera del Marchese Panciatichi Ximenes ha trasformato il castello in un palazzo delle favole, uno dei pochi esempi di stile moresco in Italia. Ferdinando lo ristrutturò facendo decorare le sue 365 stanze – una per ogni giorno dell’anno –suddivise su tre piani, usando i colori accesi e cangianti dello stile moresco.

La facciata richiama immediatamente i maharaja e i racconti de Le Mille e una Notte, mentre le sale non possono non ricordarci la Spagna e gli interni della splendida Alhambra di Granada. Tra le stanze più belle ricordiamo la Sala dei Pavoni, con le sue piastrelle colorate e uno dei dieci soffitti più belli del mondo secondo una classifica della Bbc; e la Sala Bianca, con la sua pavimentazione in mosaico marocchino e i soffitti decorati da imponenti lampadari.

Sala dei Pavoni. Fonte: sammezzano.info

Fatto estremamente curioso è che le sale del piano nobile sono tutte comunicanti fra loro in modo da disegnare una sorta di labirinto, il cui significato è ancora in parte sconosciuto, ma che tuttavia serviva a lasciare liberi di vagare e di interpretare ai pochi eletti visitatori a cui il Marchese concedeva di entrare. Al di sotto degli archi o delle finestre, l’occhio attento del visitatore può carpire delle strane iscrizioni, ancora oggi in parte difficili da interpretare.

Il parco della tenuta

Anche all’esterno tutto sembra riverberarsi delle influenze arabe: ci sono piscine, fontane, ornamenti in terracotta. È importante tuttavia sapere che il giardino del Castello di Sammezzano rappresenta anche la più grande collezione italiana di alberi di sequoia gigante, che Ferdinando importò dalla California.

Non solo: il Marchese, nel momento del massimo splendore del Castello, fece piantare nel vasto parco ben 134 specie botaniche diverse. Purtroppo, oggi ne sono rimaste solo 37, sebbene recentemente sia iniziato un processo di rimessa in dimora di alcune delle piante originarie. Oggi, girando per il parco, si possono ammirare sia specie autoctone (come lecci, querce, farnie, rovelle) e specie rare (come le sughere e le bellissime sequoie californiane superstiti che costituiscono il gruppo di sequoie giganti più numeroso di Italia ­– tra queste ricordiamo la “sequoia gemella”, alta 50 metri con una circonferenza di 8,4 metri, entrata a far parte dei “150 alberi di eccezionale valore ambientale o monumentale” in Italia).

Chi era Ferdinando Panciatichi Ximenes

La figura del Marchese Panciatichi Ximenes merita sicuramente un piccolo approfondimento, perché è grazie a lui che oggi possiamo godere di un gioiello come il Castello di Sammezzano. Ferdinando era un politico molto impegnato e un anticlericale convinto. Consigliere presso il Municipio di Reggello e di Firenze e in seguito del Consiglio Compartimentale (l’equivalente del Consiglio Provinciale), venne eletto deputato del Regno ma, a poca distanza dalla sua seconda elezione, si dimise per protesta contro la legge sull’asse ecclesiastico che non rispettava quanto promesso agli elettori.

Questo fatto deluse talmente il Marchese che egli lasciò traccia del suo pensiero proprio all’interno del Castello (precisamente nel Corridoio delle Stalattiti), dove possiamo leggere:

“Mi vergogno a dirlo, ma è vero: l’Italia è in mano a ladri, esattori, meretrici e sensali che la controllano e la divorano. Ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce lo siamo meritato.”

Personalità di grande spessore, il Marchese fu influenzato (come molti altri in quel periodo) dall’onda dell’Orientalismo, che vide proprio in una città come Firenze la sua massima espressione: il Castello è la piena espressione di questo amore per l’eclettismo, per l’esotismo e la passione di terre lontane che, tuttavia, non aveva mai visitato dal vivo – ma delle quali era un profondo conoscitore. Infatti, proprio basandosi sulle sue letture Ferdinando decise l’architettura del piano nobile che riprende ispirazioni arabo-maghrebine (che ritroviamo nella Sala Bianca) e indo-persiane (che trovano la massima espansione nella Sala dei Pavoni), con esperimenti stilistici e giochi di luce studiati appositamente grazie a un sapiente uso degli intarsi e dell’utilizzo dei colori.

 Castello di Sammezzano
Sala Bianca. Fonte: sammezzano.info

Tutti i materiali impiegati nella costruzione del Castello, così come i disegni di ogni singola sala, passavano al vaglio e a una disamina attenta del Marchese stesso, che – con il passare degli anni – divenne committente, architetto, ingegnere, e finanziatore, arrivando lui stesso a insegnare ai falegnami, agli artigiani, ai muratori e agli altri addetti ai lavori tutto quello che sapeva. Fece addirittura allestire nel Parco degli appositi forni in cui cuocere le particolari ceramiche usate per le piastrellature delle sale, in modo da mantenere l’esclusività dei manufatti.

Al termine della visita nel Castello si riesce meglio a comprendere come la visione di una personalità che potremmo definire a tratti geniale, trovi la sua massima espressione in questa manifestazione architettonica così poliedrica che sembra racchiudere in sé il nefasto dell’epoca e del pensiero occidentale, così come lo sfolgorio e l’amore per una cultura lontana ma al tempo stesso prossima; una personalità che ha avuto il coraggio di denunciare i mali del suo tempo con una forza e una rabbia che però trova la quiete tanto agognata nella professione di una religione che le racchiude tutte e che avvicini gli uomini indipendentemente dalla loro fede o dal paese di appartenenza.

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Ester Franzin

Lettrice incallita, amante della letteratura e della lingua italiana in tutte le sue declinazioni. Classe 1989, è nata in un paesino della Pianura Padana. Si è laureata in Storia dell’Arte a Venezia e poi si è trasferita a Rimini, nel cuore della Romagna. Ha frequentato la scuola Holden di Torino e pubblicato il suo primo romanzo «Il bagno di mezzanotte».

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