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Charles Baudelaire e le poesie della discordia

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9 minuti di lettura

Chiunque abbia studiato la letteratura francese sa senz’altro che anno nero fu il 1857: due opere che si sarebbero rivelate dei veri capolavori vennero accusate di immoralità. La prima era il romanzo Madame Bovary di Gustave Flaubert, la seconda la raccolta di poesie Les Fleurs du Mal di Charles Baudelaire. Grazie a delle buone amicizie, Flaubert riuscì a salvare il suo romanzo. Un destino diverso toccò all’opera di Baudelaire, o meglio, a sei poesie in particolare.

I componimenti incriminati sono Lesbos, Femmes damnées, Le Léthé, À celle qui est trop gaie, Les Bijoux e Les Métamorphoses du vampire. Nell’atto di accusa del Tribunal de la Seine, garante dell’ordine morale durante il Secondo Impero, si legge che «vi sono momenti in cui si dubita della salute mentale del signor Baudelaire… L’odioso è gomito a gomito con l’ignobile, il ripugnante si allea con l’infetto. Mai si sono visti mordere, e perfino masticare, tanti seni in così poche pagine; mai si è assistito a una simile rassegna di demoni, feti, diavoli, clorosi, gatti e parassiti».

Di che cosa parlavano di preciso queste “poesie proibite”? Nel 1857 fecero così tanto scalpore che Baudelaire fu costretto a eliminarle dalla sua raccolta; sarebbero state pubblicate solo nel 1866 a Bruxelles in un libriccino intitolato Les Épaves. Ma soprattutto: siamo proprio sicuri che non farebbero scalpore anche oggi?

L’omosessualità in versi

Come si può immaginare dai titoli, le prime due poesie trattano la tematica – sicuramente scabrosa a metà Ottocento – dell’omosessualità femminile, tema caro a Baudelaire che, poiché la vedeva come una condizione “contro natura”, credeva fosse una via per raggiungere l’Ideale, per definizione opposto a tutto ciò che era naturale. La prima ha un’ambientazione che strizza l’occhio al Classicismo: l’isola greca di Lesbo, dimora della celebre poetessa Saffo. La seconda poesia si presenta come un dialogo tra due donne dopo l’amore: Hippolyte, timorosa all’idea di aver appena commesso un peccato, e Delphine, che la mette a tacere con una frase che suona attuale anche nel 2018: «Qui donc devant l’amour ose parler d’enfer?», chi dunque davanti all’amore osa parlare dell’inferno?

Baudelaire
Un’illustrazione ispirata a Les Fleurs du Mal del tedesco Carlos Schwabe. Foto da Wikipedia

Tra eros e morte

Le altre quattro poesie, invece, parlano di amore – questa volta eterosessuale – mescolando una forte sensualità al tema della morte, talmente centrale per Baudelaire che a questa dedica tutta la sezione finale di Les Fleurs du Mal. Le immagini presentate, a tratti molto esplicite, a tratti violente, fecero gridare allo scandalo il Tribunal de la Seine.

Le Léthé rimanda alla tradizione greca: il Leté è infatti il mitico fiume (di cui parlò anche Dante nel Purgatorio) che fa perdere la memoria a chiunque vi si immerga. Nelle poesie di Baudelaire, com’è prevedibile, non si parla di dimenticare i propri peccati per poter accedere al Paradiso: il riferimento è invece allo stato di amnesia nei confronti di tutte le brutture della vita che il poeta spera di raggiungere mentre si unisce alla donna amata, prima di morire. La situazione rappresentata è diametralmente opposta a quella tradizionale, secondo la quale da un amplesso può nascere una nuova vita. Nei versi di Baudelaire questo è visto solo come il trampolino di lancio per un’agognata morte.

Particolarissima è À celle qui est trop gaie, che comincia come una normalissima esaltazione in versi della bellezza della donna amata. Perché censurarla, allora? La risposta è a metà della poesia, in cui Baudelaire, rivolgendosi alla donna, le dice: «Folle dont je suis affolé, je te hais autant que je t’aime!», pazza di cui sono pazzo, ti odio tanto quanto ti amo! A partire da quel punto, da dichiarazione d’amore, la poesia si trasforma in dichiarazione d’odio. Baudelaire sogna di tramutarsi in una serpe e avvelenare la donna mordendole il seno e i fianchi.

Se Les Bijoux ha la sola colpa di descrivere un atto sessuale in modo fin troppo esplicito per i canoni dell’epoca, la questione è diversa per Les Métamorphoses du vampire, che in un certo senso si colloca a metà fra Le Léthé e Les Bijoux. Non solo anche quest’ultima poesia è fortemente esplicita, ma nell’ultima strofa si assiste anche a una trasformazione, da parte della donna, che ricorda molto il dittico amore/morte già visto in Le Léthé. Il poeta si volta per baciare la donna, ma d’un tratto si scontra, anziché con il suo corpo caldo, con «pezzi di uno scheletro», come se lei fosse già in avanzato stato di decomposizione. L’accostamento della bellezza (per quanto esageratamente sensuale per gli standard di 160 anni fa) e di ciò che viene considerato ripugnante in qualunque epoca e a qualunque latitudine geografica fu causa di censura anche per questa poesia.

Questioni tutt’altro che risolte

La vicenda di Baudelaire lascia aperte diverse questioni, per le quali nemmeno oggi è stata trovata una risposta univoca. È giusto che la poesia narri anche il ripugnante, ossia l’inenarrabile per eccellenza? Che posto dare all’eros in letteratura? Se rappresenta in modo esplicito delle scene di sesso, l’Arte è ancora meritevole della maiuscola? A diciotto anni dall’inizio del XXI secolo la questione dell’eros è davvero tutt’altro che risolta, visto che per alcuni è una sfaccettatura come un’altra della vita di una persona, mentre per altri resta un argomento tabù.

Stesso discorso per le poesie sull’omosessualità. D’istinto verrebbe da pensare che in pieno 2018, con tutti i libri e film a tematica LGBT che esistono, questo argomento non sia assolutamente più un problema. Vero, ma solo in parte. La recente vicenda delle poesie dell’autrice transgender Giovanna Vivinetto contestate da ProVita fa capire che, anche se non siamo più nel 1857, c’è ancora parecchia strada da fare.

Forse la chiave per comprendere la questione delle poesie proibite o immorali viene dalle parole di un mostro sacro della letteratura ottocentesca, Oscar Wilde: «Non esistono libri morali o immorali: i libri sono scritti bene o male». Censurare è stupido; conoscere l’opera di un Poeta come Baudelaire doveroso; decidere liberamente se i contenuti ci piacciono o no più che legittimo. Senza imporre o proibire nulla.

 

Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l'impresa e specializzata in Traduzione. Sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Nel 2020 è stato pubblicato il suo romanzo d'esordio, «Noi quattro nel mondo».

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