Un’affascinante alternativa
Pensato e fondato da Max Miecchi, Christian Pouligo e Eva Ramirez, Il CinqueTerre FilmFest si è presentato nella sua prima edizione come un vincente connubio tra bellezza naturale e vetrina artistica. Una novità necessaria e fresca, forte non solo di una location ammaliante ma anche della giusta poetica, capace finalmente di far avanzare assieme riflessione territoriale, estetica ed umana.
Nei tre giorni di programmazione che hanno visto il CinqueTerre FilmFest tra i protagonisti della divulgazione artistica internazionale si sono intervallate riflessioni culturali e cortometraggi sperimentali, passando per la mai così ben ambientata realtà documentaristica e qualche piccola perla autoriale.
L’ottima cornice ligure propone così un’alternativa ai numerosi eventi culturali a stampo cinematografico, il cui avvicendarsi di stagione in stagione parrebbe cominciare a creare un vuoto contenutistico ed una vacua idea estetica.
Novità tutt’altro che frivole
Non è però il caso di questa nuova Kermesse, abile nel far dialogare le pellicole (40 tra lungometraggi e corti) con il territorio, attraverso una divisione per tematiche che si è soffermata sulla complessità della natura, sulla metafora dei confini, dei diritti e di una particolareggiata visione dello spirito.
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Proprio quest’ultimo è apparso il centro più profondo del riflettere l’arte e l’ambiente, il cinema e la realtà. Una ricerca dello Zeitgeist
(qui chiamato a dare forma ad un’intera sezione del Festival) , ovvero lo spirito culturale incarnato nel tempo attraverso le espressioni artistiche, in dicotomie espanse sino al contatto tra le inavvicinabili dimensioni quotidiane ed estetiche.
Incontro-scontro tra paesaggio e pellicole
Il castello di Rio Maggiore si è così costituito luogo privilegiato della riflessione, riuscendo a porre il cinema come medium pienamente contestualizzato.
Le numerose suggestioni visive hanno però spesso seguito una via quasi antitetica rispetto al paesaggio e accavallando immagini disturbanti sono giunte a narrazioni scisse tra i temi della solitudine, del futuro umano e dell’apocalisse.
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L’ottima qualità dell’insieme non è dunque l’unica ragione per cui congratularsi con l’organizzazione, bensì è giusto notare come si sia abilmente giocato anche sui contenuti in relazione al luogo ospitante. Lo schermo e la realtà hanno potuto dialogare, tenendo costantemente in alto i due mondi possibili; quello presente, quello narrato.
Da un lato la bellezza ligure, patrimonio dell’UNESCO, dall’altro il futuro post nucleare di splendide opere fantascientifiche, tra cui citiamo il corto Impression XPS 160, di Tiyam Yabandeh Jahroumi, di altre più verosimili, quando non documentaristiche, come Mama di Eduardo Vieitez, e infine impressionanti quanto il racconto del vincitore del CinqueTerre Award: The Zone, di Alessandro Tesei.
Pellicole labirintiche
Proprio quest’ultimo concede la cifra qualitativa dei partecipanti. Con le sue quaranta opere, selezionate tra le cento inviate da quattro diversi continenti, il CinqueTerre FilmFest ha proposto la più intricate delle vie filosofiche, optando per opere che, come nel caso del documentario di Tesei, scelgono di mostrare una temporalità mista, un’estetica non artefatta ed una prospettiva inaspettata.
The Zone, documentario dedicato agli Stalkers, ovvero le guide che conducono coraggiosi e folli avventurieri tra le rovine di Chernobyl, non si presenta dunque come l’isola felice, bensì l’esempio lampante di una cinematografia corale, anche nostrana, che persegue una verità meno patinata.
Le possibilità linguistiche dell’arte visiva in movimento si definiscono così nel loro evitare ogni spiegazione, anteponendo l’immagine alla parola e sfumando la più antica della narrazione, che nello splendido Chacra di Ruben Lagattola si fa pura natura, qui premiato come miglior cortometraggio documentario, con le possibilità tecnologiche.
Il risultato è quanto mai soddisfacente, capace di illustrare la poesia di un bosco dai suoni immutati, sorvolando con droni la bellezza della natura ed ammiccando al suo veloce depauperamento.
L’armonia dell’insieme
Pochi sono dunque i dubbi sorti durante questa prima edizione, curata nei dettagli persino per quanto riguarda i premi dei vincitori. Carneviola Art Project, start up la cui presenza sottolinea ancora una volta la sensibilità artistica dell’organizzazione, si è infatti occupata della realizzazione delle opere pittoriche ora in mano ai registi delle migliori pellicole presentate.
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Un insieme rifinito, accerchiato da una bellezza su cui si è deciso di non adagiarsi, spingendo oltre la vista, la mente e, da ora, anche le aspettative dei più assidui frequentatori di festival.
Il Genius Loci avrà aiutato, certo, ma come il cinema non può essere bello di per sé, e richiede sforzi, così manifestazioni ad esso dedicato devono trovare un perché della loro esistenza, un cuore che faccia da poetica e che come nel caso di questo piccolo focolare ligure guidi lo spettatore al di là dell’esile e moderna quotidianità.
Immagine in copertina: Vernazza (www.cinqueterrefilmfest.com)