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Colori: e se non fossero
gli stessi per tutti?

4 minuti di lettura

Bianco, nero, rosso, giallo, verde. Qualche volta ci hanno detto che i cani vedono in bianco e nero, che le mucche ci vedono più grossi, che alcuni animali vedono attraverso un effetto ultravioletto. Ma forse mai ci siamo chiesti se, tra noi stessi esseri umani, vediamo colori diversi in base al contesto a cui apparteniamo. Esistono infatti popolazioni come i Dani, in Papua Nuova Guinea, che hanno soltanto due nomi per i colori (mili per tutti i colori chiari, mola per tutti i colori scuri), che mostrano di prendere in considerazione più la luminosità rispetto alla tonalità, nel nominare i colori. Molte altre lingue contano solo tre, quattro, o cinque nomi per i colori. La lingua Warlpiri, parlata dagli aborigeni di un territorio nel nord dell’Australia, non ha nemmeno un modo per chiedere “Di che colore è?”; i suoi parlanti possono chiedere al massimo “Come appare?”. Diventa difficile accettare con certezza indiscutibile che tutti gli esseri umani abbiano lo stesso nostro occidentale concetto di “colore”.

Ma vorrebbe dire che abbiamo modi diversi di percepire i colori? Se una lingua manca di un termine per un colore, lo percepisce anche in modo diverso? Per un lungo tempo i ricercatori hanno pensato che forse le nostre percezioni dei colori potessero essere diverse. Eppure alla fine degli anni ’70, un esperimento che doveva essere di supporto al relativismo, mise in luce in realtà che ci sono degli stadi di sviluppo dei termini per i colori che possono essere considerati in qualche modo universali. Facendo uno studio su più di cento lingue, i linguisti Brent Berlin e Paul Kay scoprirono che c’è un rapporto di necessità tra il numero di termini per i colori sviluppati e l’area dello spettro dei colori corrispondente.

colori

Per dirla in parole più semplici, se una lingua ha tre nomi per i colori, allora saranno sicuramente “bianco”, “nero”, e “rosso”. Se ne ha quattro, saranno “bianco”, “nero”, “rosso” e uno tra “giallo” e “verde”. E così via, arrivando a mostrare il percorso di inserimento di tutti i termini “basici” dei colori, fino alle lingue che hanno sviluppato in modo più avanzato il loro vocabolario. Chiaramente una lingua che ha come termini per i colori “bianco”, “nero”, e “rosso”, definirà con questi tre termini anche tutte le varie gradazioni di colore a cui noi daremmo un nome diverso, rendendo quindi anche diversi rispetto ai nostri i concetti di “bianco”, “nero”, e “rosso” stessi.

La categorizzazione dei colori potrebbe avere quindi in qualche modo una base universale, e i ricercatori oggi tendono ad essere d’accordo sul fatto che la percezione dei colori è uguale per tutti gli esseri umani.

Tuttavia, l’attenzione che poniamo su certi aspetti della realtà, e la nostra capacità di vedere differenze più accentuate tra una tonalità ed un’altra, potrebbe essere diversa da contesto a contesto. Del resto, noi apparteniamo ad una società in cui i colori sono un aspetto molto rilevante nella nostra stessa quotidianità. Usiamo il nostro background occidentale per definire che cos’è il colore, e non siamo nemmeno sicuri che la parola “colore” esista in lingue parlate da esseri umani che vivono realtà molto diverse dalle nostre. Nella nostra società incontriamo spesso oggetti che sono esattamente gli stessi, ma differiscono soltanto per quanto riguarda, appunto, il colore. Pensiamo alle macchine, ai vestiti, alle pareti, alle lenzuola, alle penne. Ogni giorno ci sentiamo definiti dalle nostre scelte anche in base ai colori che scegliamo. Entriamo in un negozio e compriamo una maglietta rossa che, identica ma nella versione grigia non avremmo mai comprato perché non ci si addice. Per non parlare del fatto che i colori sono anche associati alle emozioni, il rosso ci ricorda l’amore e la passione, il rosa e l’azzurro sono i fiocchi che esponiamo quando nascono femmine o maschi, il verde su un semaforo significa “vai”.

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Siamo sempre di più circondati dai colori, e questo è probabilmente dovuto agli avanzamenti nell’uso dei materiali e nella grafica, che ci consentono letteralmente di creare nuove gradazioni di colore che in natura non si distinguerebbero in maniera così netta. Possiamo creare e mescolare colori usando un semplice programma sul nostro computer. Forse proprio per questo il nostro vocabolario è più raffinato, e forse anche le nostre capacità di distinguere i colori stessi.

E’ interessante che però, al tempo stesso, siamo molto inferiori ad altre lingue (come la lingua della popolazione Jahai della Malesia) per quanto riguarda il nostro vocabolario relativo agli odori e alle nostre capacità olfattive. E’ stato mostrato che quando si tratta di farci riconoscere gli odori o dare nomi “basici” agli odori siamo veramente scarsi. “Sa di limone, sa di rosa, è dolce, è acido, sa di pane”. Non esistono un “rosso”, “verde”, “giallo” degli odori. Almeno per noi. Per la lingua Jahai, sì.

Alcuni si chiederanno a cosa possa servire parlare di queste cose. L’importanza sta forse nel fatto che spesso ci dimentichiamo che ci possono essere tanti modi di vivere come esseri umani. Che non solo le nostre mentalità e le nostre buone maniere possono essere diverse, non solo i nostri ideali, le nostre idee di giustizia e libertà. Il nostro modo stesso di rapportarci con i nostri sensi può essere diverso. Per una società può essere molto più rilevante saper distinguere gli odori piuttosto che i colori. Realizzare che siamo tutti esseri umani allo stesso modo eppure in modi così diversi, potrebbe aiutarci a capire che le nostre categorie di pensiero sono relative.

Ma non nel senso in cui spesso noi occidentali parliamo di relatività. Una certa ipocrisia ci fa dire spesso che sì, le nostre categorie di pensiero sono diverse, ma nella diversità si possono trovare categorie migliori. E che guarda caso solitamente sono le nostre, perché il nostro modo di vedere il mondo è più avanzato. Quello di cui non ci rendiamo conto è che ce lo diciamo da soli.

Relatività significa la relatività delle nostre stesse categorie, peculiare modo di guardare il mondo, tra tanti modi diversi. Relatività delle categorie di una società che sa distinguere i colori, ma non gli odori. Di una società che capisce tante cose della realtà, ma chissà quante altre non ne capisce.

Silvia Lazzaris

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Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

1 Comment

  1. […] Bianco, nero, rosso, giallo, verde. Qualche volta ci hanno detto che i cani vedono inbianco e nero, che le mucche ci vedono più grossi, che alcuni animali vedono attraverso un effetto ultravioletto. Ma forse mai ci siamo chiesti se, tra noi stessi esseri umani, vediamo colori diversi in base al contesto a cui apparteniamo. Continua a leggere… […]

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