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Il conflitto tra Israele e Palestina nella letteratura araba

Paura, rabbia, nostalgia ed abbandono. Sono questi i temi relativi al conflitto tra Israele e Palestina che emergono dalla letteratura araba

11 minuti di lettura

Il 7 ottobre 2023 il mondo si è svegliato con gli occhi puntati sul conflitto israelo-palestinese. A distanza di più di un mese, ci si chiede ancora dove porterà tanta crudeltà. Oltre all’aspetto meramente politico, il conflitto tra Israele e Palestina che ha sconvolto il mondo ha travolto anche arte e letteratura.

La letteratura araba è ricca di poesie, romanticismo e folklore. Basta pensare ad Alf lailat wa lailat (Le mille e una notte) per comprendere la profondità e la magia di un patrimonio immenso di storie e cultura. A cavallo tra il Diciannovesimo e Ventesimo secolo, il mondo letterario arabo ha subito una rivoluzione a trecentosessanta gradi denominata Nahda. Questo termine arabo è tradotto con “risorgimento, rinascita” e rappresenta il punto di svolta per tutto il mondo arabo.

Negli anni della Nahda si è assistito ad una rivoluzione letteraria, intellettuale, politica, sociale e industriale che cambia totalmente il pensiero di tutti. Diventata famosa per l’apertura al giornalismo e la stampa ma soprattutto per la libertà di espressione. Ha avuto un impatto così totalitario da influenzare società, religione, scienze e politica. Uno dei fenomeni sviluppati durante questa rivoluzione è il nazionalismo arabo, nato a seguito della volontà di dissociarsi dall’Impero Ottomano. In questo periodo nascono i primi poeti arabi che si occupano di migrazione dando vita alla letteratura della Diaspora. Tra i rappresentanti più rilevanti ricordiamo Khalil Gibran: libanese emigrato in America che ha fondato la sua scrittura sul sentimento di una terra lontana alternando raccolte in inglese ed arabo.

La letteratura Palestinese dopo l’inizio del Conflitto

Con la proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, la letteratura palestinese ha subito molteplici scissioni. I rappresentanti della narrativa palestinese si possono dividere in più gruppi: quelli che sono emigrati e che hanno dato vita alla Diaspora palestinese, quelli che sono rimasti e sono diventati cittadini israeliani e quelli dei territori occupati.

Nel primo gruppo abbiamo rappresentanti come Kanafani e Mahmood Darwish. Al secondo Emile Habibi, già deputato del partito comunista israeliano, racconta la vita di un arabo in Israele. Infine, al terzo gruppo citiamo Sahar Khalifa che nel suo romanzo più famoso Terra dei fichi d’India racconta la perdita e l’umiliazione di una terra disfatta e di un popolo che non perde la propria dignità.

Attraverso la scrittura a cuore aperto dei letterati, la storia del conflitto diventa romanzata, precisa e sottile. Uomini sotto il sole di Kanafani, del 1963, parla della fuga di tre uomini dai campi profughi della Cisgiordania alla ricerca di una nuova vita. I tre uomini, con la complicità di un autista, si nascondono dentro ad una cisterna vuota alla disperata voglia di raggiungere il Kuwait. Durante il tragitto, ognuno di loro ricorda il luogo dove è nato, la vita come era prima e la nostalgia di un luogo perduto. Analizzando le righe del romanzo e comprendendo i temi trattati, come la fuga, la speranza di una vita migliore, l’abbandono di case, abitudini e famiglia, si comprende quanto attuale sia questa storia. Durante la lettura, il lettore è completamente travolto dalla storia che gli sembra che parli del mondo moderno e della questione dell’immigrazione odierna.

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La letteratura della Diaspora palestinese

Ad ogni modo, molti autori hanno scelto l’autobiografia per raccontare al meglio la sensazione della perdita delle terre palestinesi. Murid Al-Barghuthi, nel suo romanzo Ho visto Ramallah, parla della ghurba: termine arabo che indica la separazione dalla terra di origine che questo caso rimanda alla nostalgia di un esule palestinese. Dopo trent’anni di esilio, lo scrittore torna a Ramallah e si accorge della cruda verità: il posto dove viveva da bambino non esiste più. Sul ponte che lo collega alla città, Murid Al-Barghuthi è un turista, uno straniero, un vagabondo che deve presentare i documenti per poter entrare in una terra che non è più sua. Da lì, inizia a ricordare la sua infanzia, la mamma, il Ramadan e la raccolta delle olive. Fra le righe, si può comprendere l’amarezza e il dolore che avvolgono lo scrittore che paragona le strade della città tra passato e presente.

Mahmood Darwish, invece, parla del suo rapporto con la Palestina e il conflitto israelo-palestinese tra passione e rabbia. Nella sua raccolta di poesie La mia amata si desta dal sonno è presente la poesia Gawaz al-Safar (Il passaporto) tra le più celebri dell’autore. In questa poesia racconta della mancata accettazione dell’identità palestinese sul passaporto, costretto così, a richiederne uno israeliano.

Tutti gli uccelli che hanno seguito la mia mano sulla porta del lontano aeroporto, tutti i campi di grano, tutte le prigioni, tutte le tombe bianche, tutte le frontiere, tutti i fazzoletti sventolati, tutti gli occhi erano con me ma loro li hanno cancellati dal mio passaporto!

Così scrive, in una lunga riflessione nel 1970 dopo essere tornato in patria da clandestino e dopo aver rifiutato i documenti legali in un paese che non fosse la Palestina.

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I temi trattati nella letteratura post-Conflitto

La guerra, la tristezza, la solitudine, la nostalgia e la storia sono i protagonisti assoluti nella letteratura palestinese dal 1948 ad oggi. Non che prima non ci fosse una letteratura, ma quella che ha segnato la vita dopo la proclamazione dello Stato ebraico ha annichilito il precedente. Gli eventi hanno confuso passato e presente e la percezione di ciò che era prima. Questo passaggio di storie, di transizione, può essere capito nello struggente capolavoro di Susan Abulhawa.

Pensavamo che fossero solo in cerca di un rifugio, dei poveracci che volevano solo vivere, invece hanno ammassato armi per cacciarci dalle nostre case

Cosa è cambiato dal 1941 in poi? Prima che gli eventi annientassero passato e presente? Cosa è successo dopo i primi sbarchi dei coloni? E dove è finita la leggerezza degli anni precedenti? Quella serenità, quella spensieratezza che arrivava l’attimo prima della raccolta delle olive o delle feste musulmane, si è smarrita nel momento in cui sono sbarcati gli ospiti indesiderati.

Sono tanti i sentimenti rilevanti nel racconto di Susan Abulhawa: l’amore per i tempi felici delle vecchie generazioni, la paura di perdere cari e averi più grandi, la rabbia dell’impotenza e della fragilità, l’abbandono delle terre e delle case, la nostalgia di ricordi vissuti ma anche di quelli che non si vivranno mai. Per non parlare del nazionalismo che prevale in tutte le generazioni e la catastrofe interiore ed esteriore di tutti quelli che portano il peso di essere palestinesi.

Il romanzo di Susan Abulhawa e l’IO prevalente

La bellezza del romanzo del 2006 scritto dall’autrice palestinese, anch’essa emigrata in America, sta nella narrazione dell’IO israeliano e palestinese che si intreccia dalle prime pagine del libro fino alla fine. L’ossimoro Palestina/Israele, musulmano/ebreo arriva all’apice della sua essenza risultando un masochismo profondo con Isma’il e David che rappresentano due facce della stessa medaglia, due estremità contrapposte, due varianti lancinanti nel petto di coloro che vivono e che hanno vissuto questa realtà. Susan Abulhawa crea una storia incredibile, sceglie un modo particolare di raccontare israeliani e palestinesi ed il loro conflitto, lasciando il lettore senza fiato e con uno stupore che non ha eguali. Infatti, la protagonista, una donna palestinese di Jenin, perde suo figlio durante una protesta contro gli insediamenti israeliani. Il bambino viene rapito da un soldato israeliano che non può avere figli e lo fa crescere dalla moglie.

Dalla politica all’arte, due popoli, due metà, due storie che si somigliano dai Pogrom a Gaza cosa è cambiato? La vittima è diventata carnefice.

Mi basta morire sulla mia terra, essere sepolta in essa, sciogliermi e svanire nel suo suolo per poi germogliare come un fiore.

Fadwa Tuqan

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Alessandra Ferrara

Nata nella provincia di Caserta e laureata in lingue straniere all'università Orientale e cultrice dei diritti umani presso La Sapienza. Sostenitrice della libertà e protezione dei più deboli, amo viaggiare scrivere e leggere e nel tempo libero sono una serie tv addicted.

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