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Il corpo in letteratura. Eros Thanatos e conflitto

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6 minuti di lettura

Impareggiabile strumento diagnostico, il corpo domina le narrazioni novecentesche ponendosi come asse di sconfinamenti di genere, raffinato e sapiente tramite con varie aree disciplinari. C’è, nel suo uso strategico, una tensione all’infrazione, alla rottura degli schemi come sabotaggio del normale –fine senz’altro indagato, oggi, dalla migliore critica, tesa a costruire, finalmente, una riflessione teorica su tale tema, prendendo le mosse dai modelli francesi di Bataille, Genet e Foucault [1].

Corpi parlanti

Il lavoro sui segni – siano essi particolari fisici o complessive, visibili, deformità – costituisce il nerbo argomentativo di una geldra di acuti scrittori, diversi per metodi e approccio eppure accomunati (nonostante i frequenti e durissimi scontri fra loro) da una sfida obliqua al potere, alla normatività sociale come istituto livellante.

Corpi che parlano di Marco Antonio Bazzocchi parte, non a caso, dal celebre discorso dei capelli di Pasolini (1973)[2], paradigmatica attestazione del metodo «semiologico-visivo»[3] dell’intellettuale nonché emblema dello studio sui tratti, costato al poeta ferocissime critiche eppure, ad oggi, lucidissima analisi sul potere rivelatorio dei corpi.

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Sull’equivalenza corpo-società

il corpo
Fotogramma da La noia di Damiano Damiani (1963)

La capacità di ravvisare in questi un linguaggio apre le porte, dunque, a un’osservazione mediata dei mutamenti sociali, resi evidenti – e feroci – dal contatto ustorio con le peculiarità dei personaggi, siano esse nudità esibite o menomazioni tra il freak e il fetish.

È ancora Bazzocchi a menzionare la Cecilia moraviana, inquieta giovane al centro de La noia (1960), simbolo di una perversione che è ambiguità intrinseca – specchio di un personaggio (Dino) che riassume l’inafferrabile senso della realtà odierna, sospesa tra desiderio e disincanto, pulsioni al limite tra  Eros e Thanatos.

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Pasolini e Sanguineti

Così anche per i corpi smembrati di Sanguineti, che in Capriccio italiano (1963) affida al frammento il ruolo di una rappresentazione impossibile, condotta mediante l’assenza di nessi logico-temporali, chiaro riflesso di un oggi sfuggente, in cui anche il racconto di una gravidanza – mediato dal sogno – si fa espressione di un’umanità inintelligibile.

In siffatta panoramica è ancora Pasolini a rivestire un ruolo centrale, sviluppando in ogni opera – in quello che oggi chiameremmo, tra l’altro, approccio multimediale – un discorso programmaticamente inesauribile, dove ogni carattere si fa tratto sovvertitore, osservatorio privilegiato del «genocidio borghese», afferrabile – solo – attraverso un approccio sempre più estremo, costantemente in bilico tra atto sessuale e sacrificio, esposizione del corpo ed «esperienza cosmica».

Il corpo “oggi”

il corpo
da Drifting, serie del fotografo Oliver Valsecchi

Sono tali padri (e madri, ovviamente – si pensi a Masino e Ortese) a segnare il passaggio al Terzo Millennio, a quella narrativa che recupera uno sguardo critico sul presente attraverso il ricorso a generi pop come il noir e il neonoir [4]. Qui, nella narrazione di corpi spesso anatomici, si riverbera il deperimento delle relazioni, l’impermanenza di certi affetti che sovente provocano l’annientamento, la degradazione fisica e/o morale di personaggi specchio dell’odierno reale.

Basti un solo esempio – riportato da Monica Storini – , ovvero la raccolta In tutti i sensi come l’amore di Simona Vinci. Qui, accanto alla narrazione dell’amore «per le cose che ti disgustano, per l’orribile, il deforme, il malato», troviamo un linguaggio materico fatto di organi, sangue, ossa.

Il caso Simona Vinci

Tutti i racconti fanno del corpo un elemento totale, ingombrante perché divenuto simulacro della società attuale, oggetto di culto e dunque – di riflesso – delle peggiori torture (auto)inflitte. Come scrive Storini, l’opera contempla «deformazione corporea (tema di Fotografie); […] l’abbuffata che finisce nel water (per la bulimica protagonista de La donna della scogliera) […]; gusto per il gioco erotico estremo che non si dà pace fintantoché non trovi qualcuno con cui condividere le proprie macabre passioni […]»[5].

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È il corpo il motore centrale del desiderio e del rifiuto, lo strumento di un controllo indotto o imposto, straordinario – e lacerante – osservatorio privilegiato su una realtà che impone il conflitto.

Note

[1] Si veda a tal proposito M. A. Bazzocchi, Corpi che parlano. Il nudo nella letteratura italiana del Novecento, Milano, Mondadori, 2005.
[2] P. P. Pasolini, Contro i capelli lunghi, in “Corriere della Sera”, 7 gennaio 1973, poi con il titolo Il «discorso» dei capelli, in Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975.
[3] M. Belpoliti, Settanta, Torino, Einaudi, 2010, p. 398.
[4] M. C. Storini, Il secchio di Duchamp. Usi e riusi della scrittura femminile in Italia dalla fine dell’Ottocento al Terzo Millennio, Pisa, Pacini, 2016, p. 145.
[5] Ivi, pp. 153-154.

 


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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).