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L’occhio sociologico di David Foster Wallace

Come può una nave da crociera rappresentare la società in cui viviamo? Ce lo spiega David Foster Wallace in «Una cosa divertente che non farò mai più»

6 minuti di lettura

Sulla base dei concetti fondamentali della sociologia, il saggio di David Foster Wallace Una cosa divertente che non farò mai più può essere considerato a tutti gli effetti come una “autoetnografia”. In ambito sociologico un’etnografia è una «rappresentazione scritta delle forme di vita sociale e culturale di gruppi umani» (Treccani). Il testo di Wallace, dunque, non è solo un libro divertente e ironico, ma è un’acuta indagine sociologica che esamina il contesto socioculturale in cui viviamo.

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David Foster Wallace. Fonte: Flickr

I protagonisti dello studio sociologico: ruoli e norme sociali

Alla base di ogni società ci sono gli individui che la compongono e tra di essi esiste un’intricata rete di interazioni. Il tutto è regolato da ruoli e norme sociali. Il compito della sociologia è proprio quello di comprendere e interpretare i cosiddetti “fatti sociali”, tenendo in considerazione le strutture che governano l’ordine sociale.

Il ruolo è quel concetto sociologico che racchiude in sé l’insieme dei comportamenti attesi (sulla base della posizione che ognuno di noi ricopre all’interno del tessuto sociale) ed è caratterizzato da obblighi e benefici (cosa devo o posso fare). Il comportamento è regolato dalla presenza di norme sociali, le quali sono definite dal sociologo Luciano Gallino come proposizioni articolate e codificate, che prescrivono ad un individuo o ad una collettività la condotta più appropriata.

È proprio tenendo in considerazione la funzione sociale dei ruoli e delle norme, che Wallace conduce la sua analisi.

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«Una cosa divertente che non farò mai più»

Ne Una cosa divertente che non farà mai più, l’autore racconta la sua vacanza su una crociera extralusso. Inizialmente doveva essere una sorta di reportage di viaggio, commissionatogli dalla rivista Harper’s Magazine. Tuttavia, in seguito è diventato un vero e proprio saggio, pubblicato per la prima volta in Italia dalla Minimum Fax nel 1998. 

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Edizione del 2012

A bordo della nave Zenit, soprannominata ironicamente Nadir dallo stesso Wallace, esiste un ecosistema sociale dotato di norme sociali implicite e una gerarchia di ruoli che ne regolano la convivenza. Il tutto può essere considerato una sorta di campo sociale: definito dal sociologo francese Pierre Bourdieu, un “campo” è un microcosmo sociale, dotato di regole proprie che generano un intreccio di relazioni fra individui, i quali occupano ruoli diversi e agiscono in base ad un fine comune. 

Il libro gioca anche attorno all’idea che spesso le norme sociali (e quindi i comportamenti attesi degli individui), soprattutto quelle implicite, sono arbitrarie e possono entrare in conflitto tra loro.

Un altro aspetto che viene analizzato da Wallace è la gerarchia sociale che vige all’interno della nave, la quale assomiglia in modo inquietante ad un modellino dell’intera società: ai vertici esiste una élite di soci benestanti che possiede il comando della nave, sotto di essi una piramide di lavoratori apparentemente sempre felici e con stampato in faccia il cosiddetto “Sorriso Professionale”. A svelare il segreto è Wallace stesso, mostrandoci i retroscena della favola. Ne emerge un ambiente di sfruttamento, in cui individui sottopagati sono costretti a vivere «nel più completo terrore» (pag. 22).

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Wallace offre un punto di vista interno che analizza e critica ciò che accade sulle crociere extralusso, ma più ampiamente anche ciò che rappresentano, ovvero il turismo di lusso e la cultura del consumo che permeano la società. La crociera, dunque, diviene un esempio che espone quelle che sono le disuguaglianze, l’alienazione e la continua ricerca del piacere che caratterizzano la vita moderna.

Dal punto di vista sociologico, l’autore sottolinea la tensione tra individuo e cultura di massa: siamo costantemente bombardati da promesse di relax e divertimento, da servizi che hanno l’obiettivo di viziarci. Tutto ciò, in realtà, non fa che aumentare la solitudine e l’insoddisfazione che pervade la vita di tutti i giorni, quel sentimento che Wallace definisce così:

Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore o angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. E viene voglia di buttarsi giù dalla nave.

(pag. 14)

Carola Greco

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Bibliografia:
D. F. Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più, Roma, Minimum Fax, 2012

Redazione

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