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Russia

La mossa di Putin. Kiev trema, ma il Donbass è perso

Il parlamento russo ha approvato il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk come autonome. Cosa accadrà ora nella complicata vicenda ucraina? E quali sono i veri obiettivi di Putin?

11 minuti di lettura

Come previsto, la Duma, ovvero il parlamento della Russia, ieri ha approvato il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk come repubbliche autonome ed indipendenti dall’Ucraina. Si trattava di una decisione scontata, di cui il presidente russo Vladimir Putin ha approfittato per tenere un discorso a tratti delirante, ma intriso di un realismo di cui l’occidente non sembra tener conto.

L’Ucraina è stata definita come un non-stato, come a sottolineare il fatto che, da parte russa, non se ne sentirebbe la mancanza se dovesse scomparire tornando sotto la madrepatria dalla quale si è staccata, solo momentaneamente, e solo a causa di una sfortunata catena di eventi. Alle parole sono subito seguiti i fatti, con pacekeeper” russi che hanno varcato il confine, questa volta in modo ufficiale, e alla luce del sole. Mosca ha alzato la tensione ancora una volta e non tornerà indietro. I fatti accaduti in Georgia ed in Crimea sono lì a dimostrarlo.

Crisi in Ucraina: gli obiettivi della Russia di Vladimir Putin

Le cause della crisi sono molteplici e dal punto di vista del Kremlino vanno risolte una volta per tutte, altrimenti sarà solo questione di tempo. Sul tavolo del presidente russo ci sono una serie di obiettivi, più o meno realisticamente raggiungibili, tra i quali certamente figurano: ristabilire una zona cuscinetto tra i paesi della NATO e il territorio nazionale, non essere più guardato dall’alto in basso dall’amministrazione americana di turno e ridiscutere, una volta per tutte, gli assetti securitari europei.

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L’ultimo, in particolare, può essere visto come l’obiettivo principale, anche se è certamente il più complesso. Le chiavi attraverso cui raggiungere questi fini sono dividere gli europei dagli Stati Uniti e sottolineare le faglie che già corrono internamente all’Europa stessa.

Per quanto riguarda il ristabilire un cuscinetto sufficientemente ampio, questo implicherebbe l’annessione di tutta l’Ucraina. Si tratta di un obiettivo complesso, che prosciugherebbe le risorse russe e non sembra essere visto come prioritario nemmeno dalla popolazione russa. È evidente che le due repubbliche secessioniste non costituiscano una garanzia abbastanza ampia da questo punto di vista. Sono utili, però, per alzare ulteriormente la posta in gioco, da qui l’invasione di questa notte che, per il futuro, implicherà una recrudescenza dei combattimenti nella zona.

La posizione di Kiev

Kiev è sorniona, teme l’ingombrante vicino ed infatti è l’unica che non ha mai amplificato le voci provenienti dagli USA che prevedevano un’invasione completa ed imminente. Questo anche perché dai partner occidentali ha percepito che nessuno vuole davvero combattere sul campo per sostenerla in caso di conflitto aperto. Opporrà, però, resistenza di fronte ad un altro sfregio alla sua statualità, in modo più o meno diretto. L’obiettivo di tornare al tavolo delle grandi potenze sembra essere, invece, raggiunto, con il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che ha declinato la possibilità imminente di un incontro a quattr’occhi con l’amministrazione americana. Questo perché il Kremlino è ora in una posizione di forza che la diplomazia russa non conosceva da decenni.

Parata militare ucraina
Parata militare ucraina

Atteggiamenti e reazioni europee davanti alla crisi tra Russia e Ucraina

L’obiettivo principale resta, però, ridiscutere gli assetti securitari dell’intera Europa, il che implica un discorso che non si limiterebbe alla sola Ucraina, ma vedrebbe coinvolte anche le repubbliche baltiche e probabilmente la Polonia, con la Finlandia a lato. Si tratta, quindi, una prospettiva remota, le cui possibilità di successo sono estremamente ridotte, se non inesistenti.

Alzare la posta, però, aiuta nei negoziati, soprattutto se l’interlocutore va nel panico, ed è quello che, a tratti, sta succedendo nelle cancellerie europee. Con l’esclusione della Francia, Italia e Germania sono vulnerabili, economicamente e dal punto di vista energetico. La Gran Bretagna, invece, anche a causa delle scelte post-Brexit, è appiattita sulla posizione americana. I paesi dell’Est sono spaventati, quelli dell’Europa meridionale disinteressati.

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Le sanzioni contro la Russia

La dimostrazione di ciò sta nelle possibili sanzioni, di cui si parla da mesi ma che non hanno ancora visto la luce. L’esclusione dal sistema internazionale di pagamenti elettronici SWIFT resta ancora sul tavolo, così come espedienti mirati, che colpiscano settori e personaggi chiave, sulla scia di quanto visto per Huawei. L’UE importa soprattutto energia dalla Russia, ma Mario Draghi si è affrettato a escludere il gas dai pacchetti oggetti di sanzioni. I tedeschi evitano di menzionare Nordstream 2 in qualsiasi modo, tanto che nel vertice tra Joe Biden e Olaf Scholz il cancelliere tedesco ha glissato apertamente sul tema. Emmanuel Macron ha una campagna elettorale da vincere e, visto quanto si sta spendendo per la diplomazia, un fallimento intaccherebbe la sua credibilità interna.

Colloquio tra Vladimir Putin e Olaf Scholz  - 15/02/2022
Colloquio tra Vladimir Putin e Olaf Scholz – 15/02/2022

Sul lato delle sanzioni, poi, è importante capire chi è disposto a soffrire maggiormente, da questo punto di vista potrebbero essere un pericoloso boomerang nel campo occidentale. Non saranno senza conseguenze e l’Europa, per innumerevoli motivi, non sembra essere in grado di stringere la cinghia al bisogno.

I rapporti Russia e Cina

Una dichiarazione che invece non deve aver fatto piacere alla Russia è stata quella di Wang Yi, il ministro degli esteri cinese, che ha sottolineato l’importanza dell’integrità territoriale di uno stato, con l’Ucraina che non fa eccezione. Non si tratta di una dichiarazione casuale, come raramente accade per la diplomazia cinese quando si muove. Con queste parole, Pechino sottolinea quali sono i rapporti di forza nello strano rapporto sino-russo, con Mosca che mai si esporrebbe a dichiarazioni tali nei confronti della questione riguardante Formosa. L’”amicizia senza confini” resta quindi tale, non si tratta per ora di un’alleanza. Si tratta di un altro difficile equilibrismo sul quale Mosca sa di dover fare il minor affidamento possibile.

Sembra quindi, in conclusione, che siamo di fronte alla prima mossa di una difficile e lunga partita. La guerra aperta probabilmente non ci sarà ed è stupido, oltreché inutile, cercare somiglianze con la conferenza di Monaco del 1938. Putin non è un pazzo suicida e troppe cose sono diverse, ma le tensioni potrebbero salire ulteriormente. Il presidente russo si è messo in un angolo dal quale deve uscire con qualcosa in mano. Resta da vedere fino a dove gli USA sono disposti ad arrivare, nella triste consapevolezza che l’Europa come istituzione, per come è ora, si dimostra poco più che inutile.

Aggiornamento del 24 febbraio 2022

L’invasione invece c’è stata. Di notte, violenta ed inaspettata. In pochi infatti credevano alla concreta possibilità che l’artiglieria russa si potesse spingersi a colpire città ucraine al di fuori delle regioni contese e recentemente annesse de facto alla Federazione. Ma è successo. Resta da capire cosa il presidente russo intenda con “demilitarizzare e denazificare” il paese, ma data la svolta ora persino un inguaribile ottimista avrebbe ragione di lasciarsi trasportare dalle previsioni più cupe.

Il bluff di Putin si è rivelato spaventosamente reale, la diplomazia ha fallito nella sua forma ideale e sta continuando, per citare Von Clausewitz, sotto forma di bombe. Nessuno in Europa era pronto a questo, la storia sta riprendendo il suo posto nel cuore del continente più bellicoso del globo tra lo sgomento di chi non lo riteneva possibile, o almeno non in questa forma.

È tuttavia ancora da capire e valutare nel complesso la portata di ciò che è accaduto questa notte. Non è chiaro se i russi apriranno ad un’occupazione su larga scala o si limiteranno ad un “regime change” che a questo punto diventa la conseguenza più logica. Forse invece il presidente russo deciderà di spaccare il paese del tutto ed instaurare un governo fantoccio, spingendosi fino alla linea ideale che congiunge Odessa e Kiev. Una cosa è certa, la guerra nel cuore dell’Europa, financo per procura, fa paura. Nessuno vi era più abituato ed i sacrifici che implica potrebbero sembrare fuori portata.

Il tema dei profughi ucraini potrebbe essere il prossimo a finire sul tavolo dei leader europei, insieme a decine di altre questioni spinose e dalle conseguenze potenzialmente brutali.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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