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Il diritto del concepito e le conseguenze sul diritto all’aborto

Seguendo il pensiero del filosofo e giurista Ronald Dworking, un'analisi delle principali argomentazioni utilizzate dai gruppi pro-vita contro al diritto all'aborto. E del perché non reggono.

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10 minuti di lettura

Quando si parla di questioni di bioetica si fa riferimento a quell’area di ricerca che attraverso un metodo interdisciplinare, si occupa delle conseguenze morali derivanti da alcune pratiche mediche che incidono sull’inizio e sul fine vita. In questo articolo ci occuperemo del dibattito intorno alla pratica dell’aborto, usando un approccio critico che ha come fonte i contribuiti del filosofo e giurista Ronald Dworking. Prendendo in esame lo scenario politico italiano, analizzeremo una delle principali argomentazioni utilizzate dai gruppi pro-vita e in generale dai conservatori per regolamentare l’aborto. L’idea che il feto, in quanto essere umano, abbia interessi e diritti. Dworking definisce questa argomentazione derivative objection[1]. Chi accetta questa obiezione, ritiene che l’aborto debba essere vietato o fortemente limitato poiché essendo il feto un essere umano ne deriva la responsabilità di proteggere i suoi interessi e diritti. Una responsabilità che in questo caso appartiene allo Stato.

Argomenti bioetici

Sull’argomentazione derivata poggia la recente proposta di legge di FdI per modificare l’art.1 del Codice civile attribuendo soggettività giuridica al concepito. Nella presentazione della proposta di legge il ministro Menia spiega che «si tratta di riconoscere anche nell’ambito giuridico che embrione, feto, neonato, bambino, adolescente, giovane, adulto, anziano sono nomi diversi con cui si indica un’identica realtà, un identico soggetto, lo stesso essere personale, lo stesso uomo». Tralasciando per il momento l’ironia dell’uso del maschile universale per riferirsi a chi possiede diritti, affermare che il feto dal momento del suo concepimento sia un soggetto giuridico, significa definirlo come un individuo con la possibilità di essere centro di interessi e titolare di diritti, tra questi, quello a vivere.

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Anche se il diritto all’aborto non viene citato direttamente, una legge di questo tipo produce inevitabilmente delle ripercussioni sulla sua tutela. Se il concepito è una persona, abortire significa ucciderlo. Se si presuppone che esso sia la stessa «identica realtà» di un giovane o un adulto, l’interruzione di gravidanza assume il significato di omicidio e chi si sottopone ad essa diventa consequenzialmente un criminale punibile penalmente. Probabilmente anche lo stesso ministro Menia non sarebbe d’accordo con questa conclusione, soprattutto perché la presidente del suo partito ha sempre sostenuto di non voler mettere mano alla legge 194 che tutela il diritto all’IVG. Il problema è che la retorica dietro all’identificazione del concepito con il soggetto giuridico, non può sfuggire alla conseguente identificazione dell’aborto con l’omicidio e non può essere sostenuta coerentemente se non si intende punire chi lo pratica.

Dworkin definisce la derivative objection come un’argomentazione molto fragile, non solo perché difficilmente le democrazie moderne definirebbero l’aborto come un crimine punibile penalmente, ma anche perché esistono delle eccezioni per le quali quasi tutti ritengono accettabile la sua esecuzione. La maggior parte delle persone ritiene che esistano dei casi specifici, come l’incesto o se necessario a salvare la vita della madre, in cui non sia sbagliato abortire. Se una bambina di tredici anni rimanesse incita a seguito di una violenza perpetrata dallo zio, nessuno metterebbe in discussione la sua scelta di abortire. Tuttavia, se le eccezioni sono permesse e abortire non significa in tutti casi uccidere qualcuno, allora il concepito non può essere definito come una persona con diritti.

Frustrare l’investimento umano

Nei casi sopra citati, sembra che il diritto del concepito passi in secondo piano rispetto al diritto della donna incinta a vivere dignitosamente. Ciò avviene perché la frustrazione dell’investimento umano di chi è già nato, appare a tutti più tangibile rispetto a quello potenziale di chi non si è ancora formato. Ogni individuo ha un progetto o un senso di progettualità, con investimento umano si intende il processo per la sua realizzazione. Quando gli attivisti lanciano la vernice (lavabile) contro un’opera d’arte, chi prova disgusto per quell’atto non viene mosso solo dal pensiero della perdita dell’opera in sè, ma anche per la frustrazione del processo creativo portato avanti dall’artista, per lo spreco dell’investimento umano che l’artista ha posto in quel quadro.

Allo stesso modo, se prendiamo una ragazza che vive in grave povertà e che per cambiare la sua condizione di giorno fa due lavori e la notte studia per completare l’università, se questa ragazza dovesse rimanere incinta, obbligarla a portare avanti una gravidanza non significherebbe frustrare qualsiasi investimento lei abbia posto nella sua vita, non sarebbe svilente come veder distruggere un’opera d’arte nel pieno del suo compimento? Non solo questo. Far nascere un bambino nonostante le condizioni di vita precarie che gli aspettano, sarebbe invece una scelta nell’interesse del concepito?  

Il diritto di scegliere

Ritorniamo per un attimo alla descrizione del concepito come «identica realtà» con l’adulto e aggiungiamo che generalmente in questo argomento è sotteso il concetto di potenzialità. Il concepito è in potenza una persona. L’aborto dunque sarebbe una pratica contraria ai suoi interessi poiché l’embrione, anche se non lo è ancora, si svilupperà e diventerà un uomo. Tuttavia, nessuna persona razionale sosterebbe che i metodi contraccettivi usati dalle donne violino i diritti di qualche creatura o che il ciclo mestruale sia contro l’interesse degli ovuli. Se il feto fosse sufficientemente sviluppato da poter provar dolore, l’interruzione della gravidanza sarebbe un’azione contro i suoi interessi. Per questo motivo anche i gruppi pro-scelta sostengono che un aborto eccessivamente tardivo non è giustificabile.

Tuttavia, l’attività cerebrale nel sistema nervoso sorge intorno alla settima settimana dopo il concepimento, inoltre non è possibile suppore che il feto provi dolore prima della connessione tra il talamo e la corteccia cerebrale che avviene intorno alla 23-24 settimana di gestazione[2]. Non si può parlare di interessi e diritti del concepito in funzione del fatto che diventerà un adulto o che è «la stessa identica realtà» di un adulto, che l’aborto sia contro gli interessi del concepito dipende solo dal fatto che esso abbia interessi al momento in cui l’aborto viene eseguito, non se gli interessi si svilupperanno nel caso non avvenisse alcun aborto. Dworkin ci dice che è nell’interesse di tutti essere in vita in questo momento e che, ad esempio, la terra non sia esplosa milioni di anni fa, ma questo non significa che sarebbe stato contro gli interessi degli esseri umani se al contrario fosse esplosa, perché non ci sarebbero stati essere umani.

Infine, bisogna ricordare che attribuendo al concepito il titolo di soggetto giuridico verrebbe vincolato il diritto delle donne all’autodeterminazione[3]. Questa proposta di legge compromette e non tiene conto della libertà individuale della donna sostenuta dalla Carta Costituzionale e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Autodeterminazione significa libertà di scegliere tra una molteplicità di opzioni disponibili, essere indipendenti nella decisione ma anche sostenuti dall’insieme delle condizioni per il suo concretizzarsi. Significa che il primato sul giudizio riguardante la propria vita spetta all’individuo che quella vita la conduce. Nessuna donna abortisce con leggerezza, anche chi sceglie di abortire in seguito a un rapporto sessuale volontario vivrà un’esperienza complessa, ma affermare il principio di autodeterminazione significa difendere la scelta in sé, non questa o quella scelta per il suo contenuto. Obbligare una donna a portare avanti una gravidanza significa ledere la sua autodeterminazione in quanto diritto morale a scegliere e seguire il proprio progetto di vita.

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[1] Ronald Dworkin, Life’s Dominion: An argument about abortion, euthanasia, and individual freedom, Vintage Books: New York, 1994.

[2] Stuart W.G. Derbyshire, Foetal pain?, Best Practice & Research Clinical Obstetrics & Gynaecology, Volume 24, Issue 5, 2010, Pages 647-655.

[3] art. 13 Costituzione italiana

Immagine in evidenza: Lorie Shaull

Rachele Scardamaglia

Sono Rachele Scardamaglia, ho 23 anni e sono nata a Palermo. Ho conseguito la laurea triennale in filosofia all'Alma Mater di Bologna, poi ho scelto in modo un po' inusuale di tornare a Palermo per laurearmi in Scienze filosofiche e storiche. Durante la magistrale, ho approfondito il tema dei gender studies e mi sono avvicinata al mondo dell'attivismo transfemminista. Adesso sto scrivendo un progetto di ricerca per partecipare al dottorato in Studi di genere promosso dall'università di Palermo. Amo la mia terra e non voglio scappare.

2 Comments

  1. Bellissima riflessione, ma soprattutto penso che sia leggitimo dare voce e libertà alla donna senza condannare e giudicare.

  2. Abbiamo bisogno di persone libere e dal pensiero libero come il tuo. Ottima riflessione, ottimo lavoro. Grazie

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