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Elogio della ragione, ovvero della stupidità

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Dopo il mare di libri pubblicato negli ultimi anni, Piergiorgio Odifreddi ha voluto deliziare i suoi lettori con un’altra perla letteraria. Il Dizionario della stupidità, pubblicato da Rizzoli ormai un anno fa, è un elenco – in ordine alfabetico, almeno questo – di cose stupide, che comprende le voci “Dante Alighieri”, “Dio”, “Superstizione” e tante altre stupidaggini o giudizi stupidi o convinzioni stupide ritenute tali dal professor Odifreddi. Ad esempio, è stupido, si legge alla voce “Dante Alighieri”, pensare che Dante abbia scritto gli ultimi tredici canti della Divina Commedia. Come racconta Boccaccio, infatti, alla morte di Dante la Commedia era incompiuta e soltanto i figli Iacopo e Pietro vi avrebbero aggiunto le parti mancanti, miracolosamente ritrovate nascoste dietro ad un muro grazie alle indicazioni ricevute dal defunto padre, apparso in sogno ai due fratelli. Fortunati loro e fortunati noi, e per fortuna che Odifreddi ha chiarito definitivamente la verità della tesi di Boccaccio riportata nel Trattatello in laude di Dante, per altro fra le uniche testimonianze dell’avventuroso episodio.

In ogni caso, ben prima di Odifreddi, anche se non spesso, qualcuno si è posto il problema di definire cosa realmente significhi la parola “stupidità”. Tra questi, ad esempio, c’è Robert Musil, l’autore da tutti ricordato per il capolavoro L’uomo senza qualità.

Scrittore austriaco nato nel 1880, Musil dedicò nel 1937 una conferenza alla questione tanto sfuggevole e, con le sue parole, «indifferibile» della stupidità. E Musil, nella sua raffinatezza, non sfiora nemmeno problemi ritenuti cruciali da Odifreddi (come Dio, la religione ecc.), ma si preoccupa, con l’umiltà che è dei grandi, di ammettere la sua impotenza davanti alla stupidità:

«Preferisco confessare subito il senso d’inferiorità che provo nei confronti della stupidità: non so che cosa sia».  

Lo scrittore Robert Musil

Il tentativo di tracciare i confini della stupidità umana non è un’impresa semplice e il rischio di incappare in un sciocca presunzione è sempre dietro l’angolo. Soprattutto è a sua volta stupido voler giudicare della stupidità altrui, cosicché ogni discorso sulla stupidità finisce per mordersi la sua stessa coda. L’unica soluzione, ammette Musil, è quella di individuare le forme assunte dalla stupidità nel corso della storia. Scavando nel passato dell’uomo, la stupidità fa la sua comparsa quando ai deboli tornava più utile mostrarsi stupidi di fronte ai potenti.« L’intelligenza, infatti, fa facilmente andare in bestia il potente. Viene apprezzata nei subordinati ma solo quand’è unita alla più incondizionata sottomissione». Ma nemmeno questa analisi è sufficiente: qualunque enumerazione di esempi, anche infinitamente ampia, non basta a definire la natura dell’oggetto indagato. Così, per quanto ci si ostini, la stupidità resta un non-luogo che sfugge ad ogni presa concettuale.

Tornano utili in questo contesto le parole con le quali, nelle sue Confessioni,  Agostino d’Ippona tenta di chiarire il significato di un altro fenomeno inafferrabile, il tempo. Domandandosi che cosa fosse il tempo, Agostino rispondeva che «se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so». La stupidità dunque è quella cosa dalla quale tutti si guardano, ma che nessuno sa bene indicare. L’unica certezza, nonché diretta conseguenza di quanto detto sopra, è che essa non abbia una dimora isolata dalla vita di tutti i giorni, ma piuttosto vi risieda come padrona di casa. Si chiede a questo proposito Musil in apertura al testo se «non bisogna forse attendersi, là dove si trovano il giudizio e la ragione, anche le loro sorelle e sorelline, le diverse forme della stupidità?».  Domanda, questa, che già qualche secolo prima di Musil aveva incuriosito Erasmo da Rotterdam.

Erasmo, erudito filologo e umanista fra i più importanti del XVI secolo, credeva che non di stupidità si dovesse parlare, ma di follia. Tutto ciò che valica i confini della razionalità è ricompreso nell’ampio territorio della follia, che quindi accoglie in sé quella sua forma per così dire attenuata che è la stupidità. Anzi, è la Follia in persona che chiama in causa i suoi detrattori, mostrando quanto nella vita di ogni accusatore, di ogni saggio, di ogni uomo, si nasconda un briciolo di follia, senza il quale la vita stessa non sarebbe possibile.  Leggendo l’Elogio della follia ci si presenta Follia, una donna vestita con abiti da buffone che fa il panegirico di se stessa; e a parlare di follia la fronte si spiana e gli animi ne vengono alleggeriti, un sorriso sincero illumina chi ne senta la voce… Follia esercita la sua «giurisdizione su tutte le cose di qualsiasi genere». La vita, ad esempio: a chi ne va attribuita l’origine se non a lei?

«Datemi pure uno Stoico al quadrato, al cubo o se volete, all’ennesima potenza: anche costui dovrà rinunciare, se non alla barba (emblema della sapienza, per quanto lo abbia in comune coi caproni), almeno al cipiglio, spianare la fronte, gettar via quei suoi dogmi di diamante, fare per un certo tempo lo sciocco e il pazzo».

Erasmo da Rotterdam

Follia e stupidità, se non sorelle, sono almeno intimamente legate. Concludeva Erasmo che la follia autentica è quella cristiana, predicata nel messaggio paolino, fede nella fraternità universale e una certa parte di mistica pazzia nel disporsi a seguire Cristo. Ma nonostante ciò, resta il fatto che appena la si caccia dalla porta, la stupidità rientra dalla finestra; e lungi dal volerla fuggire, talvolta è buona cosa accoglierla quale propria consigliera . Non si può dunque che mettere il punto a questo discorso con le parole che Musil usava per chiudere il suo:

«Ma con questi accenni sono ormai giunto alla fine delle mie argomentazioni […]. E con il piede sul confine dichiaro di non essere più in grado di continuare. Se facessimo anche un solo passo oltre il punto in cui mi sono fermato, uscirei dal regno della stupidità, che perfino da un punto di vista teorico è vario e interessante, ed entrerei in quello della saggezza, una regione desertica e inospitale, da cui in genere si fugge».

 

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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