Il regista Emanuele Crialese è nato a Roma nel 1965, ha studiato negli Stati Uniti, precisamente a New York, ma i suoi film più significativi sono profondamente legati alle proprie radici siciliane, ambientati nelle isole di Linosa e Lampedusa, gioielli unici ed ancora incontaminati che conservano uno spirito arcaico ed affascinante. Così come i suoi personaggi, nel momento di lasciare l’Italia per la prestigiosa Tisch School of the Arts della New York University Crialese ha vissuto in prima persona il dramma del viaggio, del distacco e di quel terribile conflitto interiore che conduce ad interrogarci sul nostro futuro: «troverò una vita migliore?».
A New York, come accade al protagonista del suo primo lungometraggio Once we were strangers (1997), il giovane Emanuele Crialese si adatta a svolgere diversi lavori tra cui il cameriere in un ristorante italiano, per continuare a studiare e a credere nel cosiddetto “sogno americano”. Grazie ai soldi messi da parte e alla vendita di un prezioso paio di orecchini di famiglia ereditati dalla nonna, Crialese racimola i fondi necessari per realizzare i suoi primi progetti. Nel 1998 l’inaspettata chiamata al Sundance Film Festival – importante rassegna della cinematografia indipendente che ha in Robert Redford il suo mecenate – ne fa il primo italiano a partecipare alla sezione competitiva e gli apre finalmente le porte del cinema che conta.
Il sogno di una nuova vita, quindi, comincia sempre dal mare, è un passaggio necessario, un salto nel vuoto che oggi il regista è grato di aver affrontato e che lo ha portato a diventare un punto di riferimento fondamentale della produzione cinematografica italiana. Se Respiro (2002) vince il Grand Prix al Festival di Cannes, un David di Donatello e il Nastro d’argento andato a Valeria Golino come miglior attrice protagonista, Terraferma (2011) guadagna un David per la miglior colonna sonora e il Leone d’Argento – Gran Premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia. Oltre a vincere tre David di Donatello nel 2007, Nuovomondo (2006) si aggiudica anche un inaspettato Leone d’Argento Rivelazione, sempre a Venezia, istituito appositamente per il film del regista romano.
Caratteristica della sua poetica di regista dall’incredibile sensibilità umana è l’indagine del rapporto con l’altro, con ciò che è diverso e straniero e che alla fine si rivela più vicino di quanto ci potessimo aspettare. Anticipata da Once we were strangers, la notevole trilogia composta da Respiro, Mondonuovo e Terraferma confronta diversi tempi e tecniche narrative mettendo in evidenza, però, la condivisione dei destini, dei sentimenti e dei desideri di chi si lascia alle spalle il proprio passato alla ricerca di un futuro migliore.
È un cinema fatto di approdi, tante speranze e poche certezze, che va esplorare le dinamiche fra chi resta, chi arriva e chi parte. La condizione di migrante, nonostante ne cambino le caratteristiche e dimensioni nel tempo e nello spazio, non solo è il leitmotiv che lega passato e futuro, ma è simbolo di una profonda consapevolezza capace di unire e far dialogare le generazioni, le culture e le speranze di molti. L’obiettivo di Crialese è porre in primo piano la forza e la purezza dei rapporti umani contrapposta a una società estranea e ipocrita, come la piccola comunità di pescatori di Lampedusa in Respiro o la terribile Ellis Island di Mondonuovo.
Lo stesso ordine con cui sono stati prodotti i film sembra far riferimento a un progetto più alto, di ampio respiro, che vuole raccontare allo spettatore una storia ancor più importante e significativa.
Respiro è ambientato sull’isola di Lampedusa, dove una strepitosa Valeria Golino, nel ruolo di Grazia, è stata affiancata da una schiera di attori non professionisti, scelta artistica che ritroveremo anche nei successivi film di Crialese. Grazia è una donna vitale, fuori dagli schemi, fin troppo originale e spontanea per il marito e la ottusa comunità di pescatori dell’isola. L’unica persona di cui la donna sembra fidarsi è il figlio quindicenne Pasquale. Il diverso modo di sentire e vivere la vita porterà gli isolani a vedere Grazia come una “malata”, una pazza da curare in qualche sterile clinica nel Nord Italia. Il senso di ribellione porta la donna a fuggire e a rifugiarsi presso una grotta vicino alla scogliera, a contatto con l’amore di una vita: il mare. Una religiosità pagana pervade tutto il film in un climax ascendente che porta al potente lirismo della scena finale dove non è più possibile distinguere il confine tra sacro e profano, tra terra e mare, tra sogno e realtà.
Respiro è intriso dal senso di sconforto, di sentirsi “altro” rispetto alla realtà in cui si vive: racconta il bisogno della fuga, della ricerca di una dimensione propria altrove. La necessità di ritrovare se stessi passa sempre attraverso il mare, la pellicola è costellata di veri e propri bagni “purificatori”, quasi nuovi “battesimi” in cui il corpo ritrova la libertà.
Questo film dà il via al complesso e personalissimo percorso dell’abbandono e della ricerca che sembra proseguire in Nuovomondo. Lontano da qualsiasi generalizzazione e sentimentalismo, Crialese dipinge con originalità la difficile storia dei milioni di italiani in fuga verso gli Stati Uniti all’inizio del 1900. La realtà inospitale di Ellis Island, punto di raccolta per chi arriva da oltreoceano, i test di salute e intelligenza che selezionano gli immigrati, sono narrati attraverso gli occhi di Salvatore Mancuso da Petralia Sottana, e dall’improbabile incontro con Lucy, acuta e emancipata ragazza inglese che si ritrova inspiegabilmente a dover viaggiare con gli italiani: due realtà coeve estremamente diverse e lontane tra loro. Il candido fiume di latte in cui i due protagonisti sognano di potersi immergere è l’immagine che più di tutto esemplifica cosa rappresentasse per gli italiani l’utopia dell’America. Ed anche qui, il tema dell’acqua è fil rouge del percorso di crescita dell’uomo.
Se Nuovomondo sembra già indurre lo spettatore a una scomoda riflessione sull’essere italiani ieri e sulle responsabilità degli italiani di oggi, Terraferma (2011) è un esplicita condanna dell’indifferenza. In questo film che rappresenta l’ultimo approdo (la “terra ferma”, appunto) di un’immaginaria trilogia del viaggio Crialese ci proietta al giorno d’oggi, in un’attualità arida e tagliente che conosciamo molto bene. Le riprese sono le stesse che scorrono davanti ai nostri occhi tutti i giorni alla televisione: barconi rovesciati, famiglie disperate, bambini, donne incinte, turisti alla ricerca di divertimento e onde assassine a cui è difficile sottrarsi.
Terraferma è, in fin dei conti, l’incontro di tre mondi che si conoscono per la prima volta: i turisti, i cittadini locali e gli immigrati. Col procedere della narrazione le differenze economiche, sociali e culturali sembrano assottigliarsi sempre di più. Ci si libera del mondo terrestre e superficiale a cui si è ancorati, ci si lascia alle spalle qualcosa di passato, ci si spoglia di tutto ciò che si possiede (o non si possiede) per riscoprirsi uguali: corpi nudi fatti di sangue e carne, fragili e impotenti, tutti figli dell’acqua, che si buttano in mare per dimenticare e per cercare ciò di cui hanno bisogno, animati da un comune e intrinseco attaccamento alla vita.
Nella poetica di Crialese, quindi, vero protagonista è il mare, un tuffo verso l’ignoto, un mistero a cui sentiamo di dover affidare le nostre speranze. È l’origine della vita che per molti si rivela luogo di morte e distruzione.
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