fbpx
Placeholder Photo

Ernest Hemingway:
la letteratura come voce
della ribellione e della denuncia

14 minuti di lettura

«Ernest Hemingway sembrava uno di quei barcaioli narrati dai romanzi di Mark Twain: è un furfante!»

Gertrude Stein

BRAND_FYI_BSFC_116472_SFM_000_2997_15_20140905_001_HD_768x432-16x9

Ernest Hemingway ha contribuito alla letteratura del Novecento con uno stile e un rigore legato alla capacità di dare risonanza mitica all’esperienza del singolo, senza perdere il contatto con gli elementi della realtà che la fondano. L’asciuttezza della sua scrittura ha affascinato scrittori come Elio Vittorini e Cesare Pavese ed è frutto di una rigorosa adesione alla semplicità sintattica del parlato, della scelta di un sermo quotidiano e di una aggettivazione ridotta al minimo.

Hemingway (Oak Park, 1899 – Ketchum, 1961) venne iniziato fin da piccolo dal padre alla caccia e alla pesca, le primissime esperienze di un rapporto formativo e iniziatico con la natura, che si sarebbe riverberato nei suoi migliori racconti. La sua vita è stata certamente formidabile e sono state proprio le sue “avventure” come la Grande Guerra, i ruggenti anni Venti vissuti a Parigi, la rivoluzione in Spagna, le corride, i safari alla scoperta dell’Africa, a ispirarlo per le sue opere. Subito dopo il diploma venne assunto come cronista dal Kansas City Star, una professione che non avrebbe mai abbandonato e che avrebbe influenzato la sua carriera di scrittore. Sull’onda dell’idealistico entusiasmo dovuto all’entrata in guerra degli Stati Uniti, nel 1917 si arruolò come autista volontario di autoambulanze e venne inviato sul fronte italiano: ferito a Fossalta di Piave, dopo un periodo di cure a Milano ritornò al fronte. L’orrore delle trincee lasciò un segno evidente nello sviluppo della sua personalità e le esperienze di guerra costituirono la base per uno dei suoi romanzi più celebre, Addio alle armi. Composto febbrilmente tra il 1928 e il 1929, l’opera tratta secondo un’articolazione particolare i temi della guerra, dell’amore e della morte: il protagonista, l’americano Frederic Henry, durante il primo conflitto mondiale presta servizio come conducente delle ambulanze e scopre così che il vero volto della guerra è molto meno affascinante di quello che aveva immaginato. La sua vita si intreccia inevitabilmente con quella di un’infermiera scozzese, Catherine Barkley, e da una relazione che sembra dapprima occasionale nasce un rapporto intenso e passionale. Nel frattempo, però, coglie i segni della stanchezza e della sfiducia tra i suoi commilitoni italiani: la guerra va avanti da due anni, innumerevoli soldati sono morti e la vittoria è più che lontana. Pochi mesi dopo, il 24 Ottobre 1917, il fronte italiano crolla a Caporetto e il gruppo di ambulanze di Frederic viene travolto da una massa di soldati che si ritirano caoticamente, tanto che abbandonano le automobili:

«Come si sente, tenente?» Disse Piani.
«Bene».
«Io sono stanco di questa marcia».
«Be’, ora non possiamo far altro che marciare. Non dobbiamo preoccuparci».
«Bonello è stato uno scemo. Che cosa gli farà, tenente?»
«Non lo so».
«Non potrebbe dichiararlo catturato dal nemico? Capisce, se la guerra continua, possono dare dei fastidi alla famiglia».
«La guerra non continua», disse un soldato. «Stiamo andando a casa. La guerra è finita».
«Stiamo tutti andando a casa».

(Addio alle armi)

Dopo aver disertato, riesce, con molteplici avventure, a raggiungere l’amata a Stresa, sul Lago Maggiore, ma i due devono programmare la loro fuga dall’Italia, poiché la polizia militare è sulle tracce di Frederic con l’intento di arrestarlo.

Il tema primario dell’opera è quello della guerra, verso cui la maggior parte dei personaggi di Hemingway intrattiene un rapporto ambiguo: pur provando sdegno per le sue devastanti e terribili conseguenze, sono anche in un certo verso attratti dalla gloria e dalla fama che si suppone essa porti con sé. Hemingway propone così numerose e vivide descrizioni della brutalità della guerra, in primis la scena della ritirata dell’armata italiana – quando la colonna ordinata di uomini inizia a retrocedere e cominciano a crollare i nervi, la capacità di raziocinio e la morale degli uomini vacillano – che rimane uno degli echi di guerra più profondi della letteratura americana. Di contro a questo sfondo, l’autore offre ai suoi lettori una riflessione profonda sull’amore: Henry e Catherine trovano una temporanea felicità e un conforto alle sofferenze. Catherine, ancora in lutto per il suo fidanzato, inizia a sedurre Henry per distanziarsi dal dolore della sua perdita; allo stesso modo quest’ultimo, vuole dimenticare la guerra. Ma i loro sentimenti evolvono e quando Henry comprende l’intensità di ciò che prova per la bella infermiera, distrugge tutti gli ideali astratti, a partire dall’onore, abbandonando la guerra e seguendo lei.

Finito il primo conflitto mondiale Hemingway tornò negli Stati Uniti, riprendendo la sua attività da giornalista e nel 1920 fu inviato in Europa come corrispondente del Toronto Stars, a cui inviò articoli dalla Spagna, Svizzera e Francia. La sua base operativa era naturalmente Parigi, dove frequentava i circoli degli americani “espatriati” coinvolti nel vitalismo frenetico dei Roaring Twenties che copriva il disorientamento e la delusione post-bellica di quella che Gertrude Stein definì «Generazione perduta». Nella capitale francese Ezra Pound, da lui considerato come un maestro, lo aiutò a pubblicare i primi racconti e poesie su riviste letterarie. Proprio da questo ambiente trasse i personaggi e le situazioni del suo primo romanzo, Fiesta (1926). Hemingway non dimenticò mai Parigi e i ricordi di quegli anni riaffiorano nel romanzo, incompiuto e pubblicato postumo nel 1964, Festa Mobile, in cui vengono citati anche altri protagonisti dell’epoca parigina, tra cui James Joyce, John Dos Passos e Francis Scott Fitzgerald.

«Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo,
ovunque tu passerai il resto della tua vita, essa ti accompagnerà.
Perché Parigi è una festa mobile».

(Festa Mobile)

Nel 1927 tornò in America dove, finita l’età del jazz, il clima intellettuale e politico era molto mutato. Mentre lavorava a racconti di guerra e di ambientazione africana, crebbero in lui l’interesse e l’impegno per i problemi socio-politici che caratterizzavano gli anni della depressione economica: la cartina di tornasole dell’impegno fu per lui, come per molti intellettuali dell’epoca, lo scontro tra franchisti e repubblicani in Spagna. Nel 1937, infatti, lavorò come corrispondente di guerra a fianco degli anti-fascisti e questa esperienza confluì in forma narrativa in Per chi suona la campana (1940), ovvero il suo romanzo più riuscito per l’intensa epicità e per la presenza di alcuni tratti tipici dell’Hemingway ottimista, che negli ultimi anni andarono invece perduti.

per chi suona la campana
immagine tratta da: http://image.anobii.com/

Il protagonista Robert Jordan, un giovane americano che si è arruolato nell’esercito anti-franchista, si è già distinto in molte azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche e per la sua nuova missione deve prendere i contatti con un gruppo di partigiani che agiscono in una zona montuosa tra Madrid e Segovia. La banda di Pablo, per l’appunto, dovrà fornirgli la base d’operazione e il sostegno: tra i guerriglieri vi è anche la giovane Maria, dotata di tutte le virtù naturali e morali che Robert possa sognare. I due giovani consumeranno il proprio amore in meno di settanta ore, cercando di fuggire all’incombente destino di morte:

«Poi furono insieme così che mentre la lancetta si muoveva, invisibile adesso, sull’orologio, seppero che niente poteva accadere mai più a uno di loro senza che accadesse all’altro; che nient’altro poteva mai essere importante più di questo; che questo era tutto e sempre; questo era il passato, e il presente a qualunque cosa fosse per venire.  Questo non avrebbero dovuto averlo, eppure lo avevano».

(Per chi suona la campana)

Purtroppo, a causa di una spia, l’esercito franchista riuscirà a difendersi dall’attacco partigiano: Robert riesce a far saltare il ponte, ma tutto fa pensare che il sacrificio di molti non avrà un esito positivo. I critici hanno ravvisato, a differenza delle altre opere in cui la prosa è «scarnita fino all’osso, tutta frasi brevi, telegrafiche, ottenuta con il minimo impiego di parole», una cadenza distesa in cui il senso dei particolari è dato elencando degli scatti non più rapidi, bensì enumerati uno ad uno lungo il fluire della narrazione, dei dialoghi e dei monologhi interiori.

Nel 1954 ricevette il premio Nobel per la letteratura per Il vecchio e il mare, che aveva terminato nel 1952 dopo essersi trasferito a Cuba, ma non riuscì a ritirarlo di persona a Stoccolma per la cerimonia e così il premio venne ritirato dall’ambasciatore John Cabot. Si dice che quando glielo portarono lo scrittore abbia commentato con: «Troppo tardi».

Hemingway Il vecchio e il mare

Purtroppo, dal 1957 fino agli ultimi giorni di vita l’ombra della depressione calò sulla vita di Ernest Hemingway, sfociando nel 1960 in una crisi maniaco-depressiva. Egli, oltre a scrivere di meno, aveva iniziato a essere ipercritico verso le sue opere e a vedere intorno a sé ogni tipo di complotto. Si decise di intervenire e di farlo ricoverare nella clinica Mayo in Minnesota, dove gli fu diagnosticata una emocromatosi e venne sottoposto a oltre venti sedute di elettroschock che causarono ingenti lacune nella sua memoria. Il 26 giugno 1961 venne poi dimesso dalla clinica e ritornò a casa, ma la situazione non sembrava affatto migliorata: la mattina del 2 luglio la moglie Mary fu svegliata da un forte colpo, Hemingway si era ucciso puntandosi la canna del fucile in bocca.

Fernanda Pivano, che si occupò della resa in italiano delle opere dello scrittore e che ebbe la fortuna di conoscerlo di persona, in un’intervista affermò che qualche giorno prima di darsi la morte Hemingway l’aveva chiamata e le aveva detto: «Non posso più bere, non posso più mangiare, non posso più andare a caccia, non posso più fare l’amore. Non posso più scrivere». La morte di cui Hemingway aveva condensato la tragedia della sua vita aveva fatto visualizzare i molti piccoli preavvisi e le impalpabili previsioni a chi lo aveva conosciuto; ma il dolore, l’orrore e lo spavento per il vuoto in cui aveva fatto sprofondare tutti, li aveva colti lo stesso di sorpresa.

Nicole Erbetti

hemingway1

[jigoshop_category slug=”cartaceo” per_page=”8″ columns=”4″ pagination=”yes”]

[jigoshop_category slug=”pdf” per_page=”8″ columns=”4″ pagination=”yes”]

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

2 Comments

  1. […] MILANO – In occasione di “Ispirati dagli archivi”, iniziativa promossa dall’ANAI, i documenti e i testi conservati presso i fondi archivistici della Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori, il Laboratorio Formentini di Milano promuove un’iniziativa unica: una passeggiata alla scoperta del rapporto fra Milano e uno dei più grandi scrittori di sempre, Ernest Hemingway. […]

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.