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Fare e disfare il genere, fare e disfare il corpo

dalla newsletter n. 18 - Giugno 2022 di Frammenti Rivista

6 minuti di lettura

Il problema centrale affrontato dalla filosofia di Judith Butler è quello del genere e del tentativo, tramite gli strumenti della filosofia e della critica letteraria, di decostruirlo, ossia denaturalizzarlo, mostrare cioè come anch’esso possa essere letto come il prodotto di una specifica pratica culturale. Di che pratica? Del linguaggio. Il linguaggio, secondo Butler – come il filosofo americano Austin –, è performativo: parlare è compiere un’azione, trasformare il mondo. Così, è il linguaggio che trasforma un dato (apparentemente) naturale, la differenza di sesso cosiddetta “biologica”, in una norma sociale discriminante, quella che divide maschi e femmine. Su cosa si inscrive questa norma? Sul corpo. Il corpo, all’interno di questo sistema di norme, è sessuato da principio, e lo è in maniera binaria – maschio o femmina. Chi non si conforma a tale binarismo, naturalmente, è da considerarsi “abietto”, “mostruoso”, “anormale”. Il problema, quindi, è che all’interno del nostro sistema – di pensiero e sociale – alcuni corpi, quelli “normali”, sono protetti, altri, quelli che eccedono la norma, esclusi o puniti. La norma di genere, quindi, agisce nel mondo e traccia linee di confine tra giusto e sbagliato.  

Ora, l’idea che vi sia solo una parziale autonomia del biologico, del corpo, che anche il mondo per così dire naturale sia vincolato da rapporti di potere che hanno forma eminentemente discorsiva – è il discorso, con il suo ordine, che “crea” l’oggetto “malattia mentale”, o quello “donna isterica” – affonda le sue radici nella filosofia francese contemporanea, più in particolare in quella di Michel Foucault e Jacques Derrida. L’idea è semplice (secondo il “primo” Foucault, quello della Volontà di sapere): il linguaggio produce norme, traccia confini, esclude territori. Crea. E così, anche il genere è una creazione del linguaggio (occidentale), specialmente nella sua conformazione maschile/femminile. Derrida, invece, che ha dedicato al problema della scrittura e della “traccia” alfabetica alcuni fra i più importanti studi del Novecento, ha mostrato come ogni discorso si possa de-costruire, ossia, guardandone la struttura e la conformazione interna, rintracciarne i presupposti non fondati che lo alimentano. Ciò non significa, specifica Judith Butler, che non esista alcun tipo di differenza sessuale. Gli studi di Françoise Heritier, importante antropologa allieva di Lévi-Strauss, hanno mostrato che vi è una sorta di struttura logica intrinseca alla cultura che ordina, secondo queste bipartizioni, il dato biologico. Altro discorso, invece, è sostenere che il biologico, la corporeità, siano plasmate e rese comprensibili entro un quadro di senso, essenzialmente linguistico, che perciò ne definisce preliminarmente i caratteri, creando norme, inscrivendosi sui corpi.

E tuttavia, ecco il punto interessante, la filosofia di Judith Butler riconosce come fondamentale la presenza di norme che guidino il riconoscimento sociale. Il soggetto, secondo Butler, è ex-statico, proiettato cioè al di fuori di sé verso il riconoscimento che gli proviene dall’altro, ma sempre preso nel vincolo normativo che lo costituisce e lo informa. È la norma, quindi, che – essenziale – va trasformata criticamente, e allargata in direzione di prospettive capaci di includere quelle forme non dualistiche d’identità di genere che il binomio maschile/femminile non consente. La messa in discussione del fatto, difatti, potrà portare ad una perdita di senso, uno stato di spossessamento, e questo è propriamente quello che significa venir disfatti. Ma il movimento di critica avrà in questo modo allargato il cerchio del reale, facendo fiorire possibilità che fino a prima erano state rigettate dal paradigma imperante che imponeva rigid…

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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