Nel suo ultimo romanzo La felicità dell’attesa (2015), Carmine Abate ripercorre la storia dell’emigrazione della sua famiglia negli Stati Uniti, partendo dall’immaginaria cittadina arberëshe – ovvero di antica origine albanese – di Hora (identificabile con Carfizzi, in provincia di Crotone).
Il primo a partire agli inizi del Novecento alla volta di New York è Carmine Leto, il nonno paterno del protagonista, ma tornerà presto in Italia con la sua fidanzata americana, deluso da un mondo che aveva idealizzato ma che la dura e sofferente realtà della vita dei migranti aveva sempre di più disilluso.
La felicità dell’attesa assume le tinte calde dell’amore quando il figlio Jon, a metà del secolo, è costretto a partire anche lui, attratto da quel miracolo economico e sfavillante che era l’America nell’immaginario comune: avrà successo nel campo della ristorazione e si innamorerà della bella Norma Jeane, con gli occhi brillanti e ansiosi di successo, lo stesso che la rese il mito Marilyn Monroe e che la travolse come uno tsunami. Questo amore giovanile tormenterà con la sua assenza sempre Jon, anche una volta tornato a Hora e formata una famiglia, tanto che spererà sempre di rivederla, anche dopo la sua morte. La saga familiare si conclude con Carmine (alter-ego dell’autore), che tra i suoi viaggi dall’Italia alla Germania ricostruirà, raccogliendo varie testimonianze di amici e parenti, le vicende familiari.
La felicità dell’attesa è una storia di emigrazione, sempre attuale, che rende omaggio agli italiani che hanno sopportato condizioni di lavoro e di vita difficili senza mai arrendersi, con la speranza di un futuro radioso. A far da sfondo a queste vicende trionfa l’America nel suo periodo d’oro, con il boom economico e il mondo sfavillante di Hollywood, cui Carmine Abate dà vita con una narrazione fluida e caratterizzata da un pastiche linguistico molto vivace che rende indelebili nella mente del lettore i personaggi e i luoghi del romanzo.
Nicole Erbetti
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