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Ferzan Özpetek: il cinema come vita

4 minuti di lettura

FERZAN OZPETEKÈ la vita – quella degna di essere vissuta –  il cuore pulsante del cinema di Ferzan Özpetek. Che si tratti di sessualità, amore casto o violento, o del timido affacciarsi di un escluso in un mondo difficile, è sempre il sentimento a muovere l’obbiettivo della cinepresa di questo regista tenero e mai banale, apprezzato cantastorie di un’Italia che ha bisogno di affetto e nuove voci per poter credere ancora nel cinema d’oggi.

Nato a Istanbul cinquantasei anni fa, Özpetek (o Ozpetek, italianamente parlando) ha colto in Roma, «capitale del mondo», quell’anima bonaria e dolcemente malinconica che le tristi cronache del giorno finiscono per seppellire sotto un cumulo di rifiuti e spudorato malaffare. Da quando, nel 1976, decide di trasferirsi nell’Urbe per studiare (Storia del Cinema a La Sapienza), questa diventa il centro del suo cuore e delle sue pellicole, da cui traspare un amore sincero e devoto per Roma – oggi più che mai, come Venezia, città che muore – sfondo ideale per storie di famiglie allargate, semplici, a volte sopra le righe ma sempre assolutamente vive. Nonostante i genitori gli intimino di tornare in Turchia (arrivano persino ai fondi tagliati, tutto pur di riportare Ferzan sulla “via della ragione”), il giovane non si ferma, anche perché ha talento, e si vede. Il primo ad accorgersene è Massimo Troisi, non certo un illustre sconosciuto, che lo vuole al suo fianco come assistente e aiuto regista. Di quell’esperienza Özpetek ricorderà «il the e i biscotti portati sempre alla stessa ora» sul set di Scusate il ritardo: la merenda più fortunata della storia. Dopo la collaborazione e l’appoggio di Marco Risi, il cineasta (ormai naturalizzato italiano) esordisce alla regia con Il Bagno Turco – Hamam presentato, tra l’altro, alla cinquantesima edizione del Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Il successo di critica e pubblico è garantito, il coraggio di affrontare pubblicamente (e pudicamente) l’omosessualità è inaspettato. Nessuno dei suoi film è uno studio sul tema, ma, come dice lui stesso «essere gay comporta parecchie difficoltà, fra cui la preoccupazione di ciò che penseranno gli altri»; ecco allora fare capolino nelle pellicole lo sguardo di ghiaccio di un Riccardo Scamarcio omosessuale inaccettato (Mine Vaganti), la malinconica infelicità di un anziano signore ebreo (La finestra di fronte) e persino l’aggressione a un transessuale (Magnifica Presenza) a torto ritenuta un excursus innecessario. Ma cos’è realmente necessario in un momento in cui l’omofobia attanaglia alla gola un Paese sempre più intollerante?

Il bagno turco, 1997
Il bagno turco, 1997

Özpetek ha il coraggio di far riflettere sorridendo, capacità non da tutti e certamente derivante dal suo sguardo romantico e al contempo e realista, in grado d’insinuarsi negli angoli più intimi dell’animo umano. Questi sa cogliere aspirazioni, paure, debolezze e passioni, mettendole in scena sullo sfondo di una città che tutto ama e tutto comprende, persino l’eterna indecisione di due amanti che si contendono lo stesso uomo: è la Roma del quartiere Ostiense, quella de Le fate ignoranti che consacra Özpetek presso il grande pubblico, sdoganando Stefano Accorsi come nuova icona maschile del cinema italiano. Il gazometro che svetta imponente contro un cielo plumbeo assurge a simbolo anche di Saturno Contro che, come recita il titolo e come vorrebbe l’astrologia, comporta rotture, cambi e inversioni di rotta nella vita artistica dello stesso regista il quale, di lì a un anno, dirigerà il primo film di cui non ha firmato la sceneggiatura (Un giorno perfetto) e sposterà il set dei suoi film a Lecce, città del Barocco e delle paste di mandorla.

Allacciate le cinture, 2014
Allacciate le cinture, 2014

Ma Roma è pur sempre il vero, grande amore, che non può essere dimenticato al primo schiocco di dita. Lo spettatore la rivede, sofferente e malinconica, nei flashback incantevoli de La finestra di fronte, in cui un’ipnotica Giovanna Mezzogiorno rivive con sentimento il passato tormentato dell’anziano Simone/Davide (Massimo Girotti), omosessuale ed ebreo scampato al rastrellamento e alla deportazione del 1943. La città rivive poi nella villa di Monte Verde teneramente infestata di Magnifica Presenza, in cui Elio Germano si trova a vivere a contatto con una famiglia di attori decisamente sui generis. L’ultima fatica di Özpetek, dal titolo ingannevole Allacciate le cinture, è forse il solo vero scivolone di un artista, che ama scegliere gli attori seguendo il proprio istinto, detestando i provini e la recitazione impostata. Viene da chiedersi cosa lo abbia spinto a scritturare l’ex tronista Francesco Arca che nelle scene di tenerezza con Kasia Smutniak sembra riecheggiare le uscite programmate di Uomini e Donne. Ma un piccolo errore, a fronte di un percorso costellato di successi, a Ferzan Özpetek si potrà certo perdonare.

Il film della settimana:
La finestra di fronte

Si sente il respiro dei corpi (quelli nudi e intrecciati di Giovanna e Lorenzo) e l’odore dei dolci (quelli dell’anziano pasticciere Davide Veroli) in quest’opera di Ferzan Özpetek che appare, nelle sue imperfezioni, decisamente emozionante. Protagonista è una donna insoddisfatta della propria vita, costretta a recitare il ruolo di madre e moglie modello. Lavoratrice stanca in un’azienda di polli, Giovanna (Giovanna Mezzogiorno) sogna una vita migliore spiando Lorenzo (Raoul Bova), il ragazzo che vive nel palazzo di fronte al suo. È grazie a lui che la donna scopre l’identita di un anziano che dice di chiamarsi Simone (Massimo Girotti) il quale altro non è che un pasticciere ebreo scampato alla deportazione in cui i tedeschi porteranno via, per sempre, il suo unico amore. Costellato di flashback e accompagnato dalla splendida colonna sonora di Andrea Guerra, il film si presenta come un’unica, grande riflessione sul tema della memoria, sulla sua importanza come identità e baluardo per il futuro. Grandissima prova di Massimo Girotti e emozionante recitazione di Giovanna Mezzogiorno, che, come il papà Vittorio sa sempre più parlare con gli occhi. L’ultimo suo sguardo, che anticipa la canzone di Giorgia nei titoli di coda, provoca un sussulto improvviso, quasi liberatorio e seguire insieme lei la macchina di Lorenzo allontanarsi diventa quasi catarsi.

La finestra di fronte, 2003
La finestra di fronte, 2003

 

 

 

 

Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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