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Filosofia del virtuale: pensare 4.0

Quale filosofia per il presente? Quali i temi e quali le urgenze?

8 minuti di lettura

Una filosofia per il presente: interrogativi aperti

Quale filosofia per il presente? Se lo chiede il filosofo italiano Elio Franzini in Filosofia per il presente: Simboli e Dissidi della modernità (2022), volume recentemente pubblicato per Morcellanea. E la risposta non tarda ad arrivare:

Un pensiero che non ceda alla contingenza, alla attualità, che non dimentichi le proprie tradizioni, che sia consapevole della funzione critica del pensiero stesso e che non applichi modelli restaurativi assoluti e definitori.

Se metodologicamente la questione appare complessivamente chiara, quali i temi e quali le urgenze dell’agenda setting filosofica 4.0?

Il web 4.0: per una filosofia tra reale e virtuale

Ma cosa indica l’acronimo 4.0? Si potrebbe partire da qui.

Il web 4.0 è la nuova frontiera di Internet, esito in via di definizione di un processo di evoluzione trentennale, che ha raggiunto la sua quarta generazione. Con il web 4.0 Realtà Aumentata e Big Data giocheranno un ruolo fondamentale nella costruzione di una relazione tutto da scoprire tra reale e virtuale, mondi fisici e multiversi, utenti e corrispettivi alter-ego virtuali (avatar), per impostare la questione in termini binari. Il web 4.0 è in buona sostanza l’IoT (Internet of Things).

Ma cosa può dirci la filosofia a proposito della relazione tra virtuale e reale? Come suggerisce Franzini, una filosofia per il presente:

deve esplorare i nodi simbolici […] per indagare il senso dell’esperienza. Deve […] esplorare lo spazio, i tempi e le immagini del presente per comprenderne il senso veritativo.

Ma se la posta in palio è la comprensione del presente, allora riflettere sulla relazione reale-virtuale diventa un obbligo per una filosofia che voglia adempiere al proprio beruf.

Ergo. Serve una filosofia del virtuale.

Filosofia del virtuale e direttive inconciliabili

Del virtuale la filosofia si è occupata e continua ad occuparsi, prendendo a riferimento le due direttive intellettuali inconciliabili di Jean Baudrillard e Pierre Levy, filosofo dell’apocalisse il primo, filosofo dell’intelligenza collettiva il secondo.

Se ci sceglie di partire da qui, prendendo a carico la loro eredità, è per una ragione ben precisa.

Tra Baudrillard e Levy può essere tracciato un iato netto, che radicalizzato – la radicalizzazione è l’unica via del pensiero, secondo Baudrillard –, dischiude una serie di indicazioni di metodo e di visione, epistemicamente significative.

Baudrillard vs Levy: indicazioni di metodo

Essenzialmente, per Baudrillard, tra reale e virtuale si dà opposizione senza sintesi possibile. Il virtuale produce necessariamente un dematerializzazione del reale – nel lessico dell’autore iper-realizzazione – per cui la realtà, continuamente reduplicata di medium in medium, perde irrimediabilmente di concretezza e significanza. Il dominio del virtuale corrisponde per Baudrillard al terzo ordine simulacrale, retto da codici binari senza referente, la simulazione. Certificata la morte dell’originale, di cui sono simbolo ora la pop art di Andy Warhol, ora le Torri Gemelle, non resta che la simulazione.

La direttrice tracciata da Levy è invece ben differente sin dalle premesse, e certamente negli esiti. Tra reale e virtuale non si dà opposizione, ma continuità. E in secondo luogo, la virtualizzazione – l’attenzione di Levy è posta deleuzianamente sul divenir-virtuale, e non sul virtuale in sé – non produce una perdita di realtà. Virtualizzazione non è sinonimo di de-realizzazione, e qui il riferimento polemico alla vena apocalittica di Baudrillard è ben evidente, ed intenzionale. La virtualizzazione è un processo già da sempre in gioco, che tra i propri tratti fondamentali, individua la de-territorializzazione o esodo dal -ci, e l’inversione interno-esterno. Virtualizzazione del corpo, del testo e dell’economia. Intelligenza collettiva. Il pensiero di Levy vuole farsi guida per una ricognizione critica che non condanni il virtuale in quanto tale, ma che lo ripensi e risignifichi, per trovare un terreno comune. Nel suo volume Il Virtuale Levy intende tracciare un ponte tra dominio filosofico e dominio tech.

Per un’eterogenesi dell’umano: prospettive

Ma che ne è dell’uomo? Si può parlare di un’eterogenesi dell’umano, come suggerisce Levy?

Il digitale rivoluziona le pratiche quotidiane in maniera sempre più pervasiva. Allestisce ambienti immersivi, predispone setting aumentati, amplifica ed aggrega il flusso informazionale. Costruisce tessuti connettivi aggirando i limiti spazio-temporali in una maniera che non era lontanamente immaginabile ai tempi dell’analogico, se non per i romanzi di science-fiction. Si veda il Neuromante di William Gibson. Ma in tutto ciò, che ne è dell’uomo? Dispositivi IR e AR, e applicativi intelligenti AI sembrano spingersi ben oltre la prospettiva dell’intelligenza collettiva di Levy, semmai adeguata alla caratteristiche del web 2.0. Il 4.0 trascende la messa in rete di spazi collaborativi, e vira verso multiversi immersivi abitati da avatar su misura, personalizzati dagli utenti. Il Metaverso, lanciato da Meta, nel 2021, è in via di costruzione, mentre le chatbox AI formano intrecci di mercato sempre più fitti, difficilmente decifrabili dai prosumer.

Ma allora, si deve forse richiamare alla memoria il celebre adagio del fumettista Stan Lee. «Da un grande potere derivano grandi responsabilità».

Una chiusa: responsabilità molteplici e questioni aperte

Serve un uomo, riprendendo la definizione di Franzini, che:

non ceda alla contingenza, alla attualità, che non dimentichi le proprie tradizioni, che sia consapevole della funzione critica del pensiero stesso e che non applichi modelli restaurativi assoluti e definitori.

Ergo – si diceva – serve una filosofia del virtuale. Ma non ci illuda. Le responsabilità della filosofia restano molteplici, come le questioni aperte nel panorama frastagliato del post-moderno. Il cambiamento climatico va inserito tra le priorità dell’agenda setting filosofica, perché si commetterebbe una grande ingenuità se si ritenesse sufficiente agire soltanto sul fronte economico.

Serve accelerare anche sul fronte culturale, mettendo a sistema il sapere filosofico con i contributi delle scienze naturali e delle scienze umane. Tra cui certamente l’antropologia ambientale, per contenere l’età dell’ebollizione globale. Si veda l’appello del segretario generale dell’Onu, António Gutteres.

Serve una filosofia per il presente.

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Alexia Buondioli

Laureata in Filosofia Teoretica ed iscritta alla magistrale di Scienze Filosofiche presso Unimi, individuo nella scrittura e nel viaggio le mie frontiere esistenziali. Mi nutro di attività sportiva, relazioni interpersonali e caos creativo.

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