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Ghiannis Ritsos: il tempo, il mito e la maschera

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Non è facile trovare un posto per Ghiannis Ritsos (1909-1990) all’interno del caleidoscopico panorama della letteratura neogreca post-1974 quando, dopo sette anni di regime dittatoriale di stampo militare, ritorna la democrazia. Dall’infanzia segnata dalla perdita prematura della madre e del fratello, fino alla militanza nel Fronte di Liberazione Nazionale, l’EAM, dal ’41 al ’44, nella fase cosiddetta greco-italiana della Seconda Guerra Mondiale, fino all’adesione alle formazioni dell’esercito comunista durante la guerra civile che gli costarono la deportazione in varie isole e campi di detenzione, la poetica di Ghiannis Ritsos è estremamente legata alla sua tormentata vicenda biografica.

Ritsos, che ben incarna l’emblema del poeta militante, l’intellettuale che con la propria arte dà voce alle classi subalterne, è in realtà un enkephalikòs sui generis e, nonostante buona parte della sua produzione poetica si rifaccia alla mitologia, pare che non abbia mai avuto contatto diretto coi testi originali, tranne forse Omero, ma che, anzi, abbia letto una storia della mitologia divulgativa durante la prigionia.

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Il fatto che la produzione poetica di Ghiannis Ritsos guardi al passato e all’antico non deve certamente stupire: storia e mito, nella mente dell’uomo greco moderno, si fondono in un magma indefinito, proprio perché la cultura greca moderna non è divisa in alcun modo da quella antica e costituisce con essa un continuum a livello linguistico, culturale ed etnico. Il tempo antico per i greci di oggi è come un ricordo che affiora di continuo e che si manifesta nella più banale delle azioni e nel più quotidiano dei gesti.

Il tempo è, tra l’altro, un motivo ricorrente della poesia di Ritsos: esso è labile, indefinito, alle volte persino arbitrario, investe uomini e cose senza fare distinzione e passa lasciando vecchiaia, corruzione e decadimento fisico, ossessività e ripetitività dei gesti. Ed è proprio il tempo quella Quarta Dimensione che dà il titolo alla raccolta uscita nel 1972 e che raccoglie sedici poemetti di carattere mitologico: mutuando la teoria della relatività di Einstein, Ritsos adombra nel titolo della sua opera questa quarta dimensione, interpretabile sia come entità non valutabile in termini precisi, sia come quel qualcosa di extrasensoriale che, in un certo senso, permea l’atmosfera dell’opera.

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Interessante è anche il rapporto di Ritsos con il mito, dal momento che anche sotto questo aspetto Ritsos si discosta dagli altri autori, “piegando” il mito alle sue esigenze: siamo ben lontani dal quel mythical method teorizzato da Eliot e ampliamente applicato all’Ulysses da Joyce, dove il mito fungeva da terreno comune e i suoi personaggi costituivano delle maschere fisse (Ulisse il girovago, Telemaco il figlio e così via). Anche per Ritsos il mito è in un certo senso una maschera, una prosopìa spesse volte citata e già teorizzata nel corso della sua produzione, soprattutto nel poemetto Tiresia, ma che svolge la ben precisa funzione di occultamento dalla censura.

In definitiva, Ritsos è uno degli autori certamente più interessanti della letteratura neogreca del Novecento, lontano dall’intellettualismo dotto del premio Nobel Giorgos Seferis (1900-1971) e che incarna quell’ideale di grande Grecia intesa non in termini territoriali, come avveniva in Kavafis (1863-1933), ma, piuttosto, vicino ad un visione continuativa tra antico e presente, che si mischiano e si fondono nel tempo in un mix di non risultanze definibili in maniera a sé stante, tangibile solo nei piccoli oggetti della vita quotidiana che pian piano decadono e, nei grandi personaggi che popolano la poesia di Ritsos, sfioriscono sotto il peso degli anni.

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Giulia Malighetti

23 anni, laureata a pieni voti in Lettere Classiche alla Statale di Milano, amante della grecità antica e moderna spera, un giorno, di poter coronare il suo sogno e di vivere in terra ellenica.

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