In una notte buia e tempestosa echeggia uno sparo. Un uomo corre sotto ad una pioggia scrosciante, nella foresta, e viene fermato da due poliziotti ad un posto di blocco. Deciso a proseguire la sua corsa disperata, li aggredisce tentando di fuggire. Purtroppo il tentativo non va a buon fine e viene portato dagli agenti in commissariato. Qui incontra un commissario molto particolare, con cui passerà una lunga notte, forse la notte più importante della sua vita. Ma chi è costui? E da cosa fuggiva? È proprio attorno a questi interrogativi che si dipana la trama di Una pura formalità, adattamento teatrale di Glauco Mauri dell’omonimo film di Giuseppe Tornatore, in scena al Teatro Carcano di Milano dal 15 al 26 aprile 2015. Glauco Mauri , oltre ad aver curato la versione teatrale e la regia, interpreta magistralmente il commissario che si trova ad interrogare il vagabondo, in realtà un famoso scrittore di nome Onoff, molto ammirato dal commissario. Onoff, interpretato da Roberto Sturno è anche l’unico personaggio ad avere un nome proprio, e questo è uno degli indizi che ci porta a pensare quanto quella stazione di polizia sia un luogo a metà tra realtà e finzione, dove gli orologi non hanno lancette e le penne non lasciano segni sui fogli e dove le domande poste dal commissario sono uno spunto per Onoff, che si ritrova a rispondere ad interrogativi decisivi sulla sua vita e sulla vita stessa.
Si scopre infatti che il suo vero nome non è Onoff, bensì Biagio Febbraio e che deve il suo pseudonimo ed il primo successo letterario ad un enigmatico barbone, suo maestro ed amico. Rievoca poi la burrascosa giornata precedente, dove ha avuto una lite con Paola, sua segretaria e amante e rivela inoltre la crisi artistica che gli ha impedito di scrivere nuovi libri, culminata col desiderio di essere dimenticato da tutti. Confessa dunque la verità, che il commissario sembrava aver già intuito o addirittura conoscere dall’inizio: l’uomo ucciso dallo sparo nella notte è egli stesso, suicida. Onoff ora comprende perché non funzionava la linea telefonica con la quale voleva avvisare Paola, e perché le penne con cui aveva provato a scrivere non avevano inchiostro: quel posto non è del mondo terreno. Alle prime luci dell’alba e senza opporre più resistenza, Onoff viene portato via dalla caserma a bordo di una camionetta non prima di essersi accomiato cordialmente con il commissario, il quale gli confida di avere iniziato a leggere il manoscritto del suo ultimo racconto inedito, trovato a casa sua, e di averlo trovato eccelso. Questo dialogo ha ovviamente senso se inquadrato in una logica terrena, visto che è molto probabile che Onoff sia già a conoscenza di ciò. L’atmosfera da thriller psicologico tiene lo spettatore attaccato alla poltrona, ansioso di scoprire il bandolo della questione. In realtà molti quesiti restano insoluti, primo fra tutti la destinazione di Onoff, ma ancor più il percorso che dovrà compiere per giungervi, simboleggiato dal gioco di luci e ombre sulle scenografie, quasi a volerci far intuire che a certe domande nemmeno la morte può rappresentare una risposta. L’allestimento scenografico minimale permette allo spettatore di concentrarsi sui dialoghi tra il commissario e Onoff, giudice e imputato, due facce della stessa sdrucciolevole medaglia: un “IO” travagliato da dubbi e timori nel quale ognuno di noi può trovare una qualche similitudine.
Di Susanna Causarano
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