L’harem, esotico e sensuale, ha popolato per secoli le fantasie occidentali. Dall’arte alla letteratura, passando per il cinema, l’Occidente ha interpretato l’harem come luogo del desiderio e del piacere per eccellenza. Fatema Mernissi, intellettuale marocchina (1940 – 2015), ripercorre invece la vera storia dell’harem nelle sue opere La terrazza proibita (2007) e L’harem e l’Occidente (2009). Cosa si cela in un luogo solo apparentemente legato al piacere dei sensi?
L’harem, spiega Mernissi, è spazio di prigionia e rivolta, di sottomissione e presa di coscienza. Le donne dell’harem, ben lontane dalle rappresentazioni felici e passive proposte dagli artisti occidentali, sono relegate a uno spazio privato dove l’uomo può facilmente esercitare il suo controllo e imporre norme e restrizioni, isolando il genere femminile – figlie e mogli – dallo spazio pubblico. Ma proprio in questo complesso luogo di restrizione nasce la rivolta, la resistenza: se alcune donne accettano l’harem come legge inviolabile, altre sfidano ideali da tempo indiscussi per affermare la propria identità e ribellarsi.
Un harem quindi ben lontano dall’immagine sensuale proposta dall’Occidente: non si tratta di un luogo di vita intima, ma di uno spazio per separare il sesso femminile da quello maschile e creare un nucleo familiare dai confini, fisici e morali, ben definiti. Mernissi sottolinea infatti come le mura non siano indispensabili: «Una volta che si sa cosa è proibito, l’harem è qualcosa che ci si porta dentro». Uno strumento di potere ben diverso quindi dall’erotismo e dalla schiavitù sessuale immaginata dagli artisti occidentali. Nessuna danzatrice del ventre procace, nessun bordello in cui trionfa la lussuria, nessuno sguardo ammiccante o danza sensuale.
Fatema Mernissi spiega quindi che l’harem nell’immaginario occidentale è caratterizzato da due fattori fondamentali: la disponibilità delle donne e la mancanza di scambio culturale e intellettuale. Le donne dell’harem occidentale non utilizzano la comunicazione e la conoscenza come armi di seduzione, caratteristica invece ben presente nella controparte orientale. Basti pensare a Shahrazad de Le mille e una notte: una donna colta, astuta, attiva, ma interpretata dell’Occidente in modo opposto.
La loro Shahrazad mancava della più potente arma erotica che la donna possieda, il nutq, la capacità di tradurre il pensiero in linguaggio e di penetrare il cervello di un uomo iniettandovi dei termini accuratamente selezionati […] la Shahrazad orientale è puramente cerebrale e questa è l’essenza della sua attrazione sessuale. Nelle storie originale, quasi non si fa menzione dell’aspetto fisico di Shahrazad; ciò che invece viene reiteratamente sottolineata è la sua cultura.
Una Shahrazad come modello di sapienza che ha infatti reso Le mille e una notte un volume spesso osteggiato dai fondamentalisti. Mernissi aggiunge poi:
Gli occidentali si sono impadroniti dell’immagine di donna prigioniera e voluttuosamente in attesa del califfo-uomo. E soprattutto passiva. Tutto il contrario di quello che avveniva realmente negli harem, dove le schiave sapevano cantare, ballare, recitare versi. Più erano colte, più avevano la possibilità di diventare le favorite del sultano. Inoltre l’harem non ha nulla a che vedere con il piacere come si pensa in Occidente. O in America, dove tutto è basato sul denaro perché dà il potere e quindi anche il piacere.
La saggista e intellettuale punta così il dito contro un altro harem, forse ancor più subdolo: il vero harem occidentale basato sulla bellezza senza tempo, sull’esaltazione continua della gioventù e della perfetta forma fisica:
Se credete che l’harem, come forma di potere maschile, sia solo una prerogativa dell’Oriente, vi sbagliate di grosso. Cambia solo la forma dell’harem, ma la sostanza è la stessa. Nell’Islam harem è spazio; in Occidente tempo. A cosa mi riferisco? Alla bellezza della gioventù. Nella vostra società a un’attenzione quasi ossessiva all’aspetto e alla bellezza e questa è una costrizione spaventosa
Di colpo, il mistero dell’harem europeo aveva un senso. Incorniciare la giovinezza come bellezza e condannare la maturità, è l’arma usata in questa parte del mondo. Il tempo è usato contro le donne a New York allo stesso modo in cui a Teheran lo spazio è usato dagli ayatollah iraniani: per fare sentire le donne non gradite e inadeguate. L’obiettivo rimane identico in entrambe le culture: le donne occidentali che consumano il tempo, guadagnano esperienza con l’età e divengono mature, sono dichiarate brutte dai profeti della moda, proprio come le donne iraniane che consumano lo spazio pubblico.
Riferimenti:
“L’ harem e l’Occidente” – Fatema Mernissi
“Modi diversi di essere femministe. La decostruzione degli stereotipi occidentali e orientali riguardo le donne musulmane in Fatema Mernissi” – Carla Roverselli