A volte i progressi in ambito legislativo sanciscono il lecito e l’illecito in campo morale. Si può dire che scolpisca la morale di un popolo, l’esistenza di una legge che sanziona un determinato comportamento? Può esserci un confine così labile, da essere continuamente ridisegnato dall’instabile speculazione filosofica dell’uomo?
Il reato di produzione e possesso di materiale pedopornografico non può che far discutere sulle diverse sfaccettature che il singolo caso può presentare. Il minore era consenziente? Qual è la sua età? Quali parti del corpo risultano scoperte? A quale uso è stato poi adibito il materiale? Incerto è il confine tra innocenza e colpevolezza e difficile è irregimentare situazioni che anche solo a menzionarle fanno scattare la disgustata condanna dei più. Ma c’era un tempo in cui ancora non si discuteva e neppure si pensava alla potenziale sussistenza di tali sudice tematiche. Allora i fotografi potevano permettersi di ritrarre giovani affascinanti fanciulle, in pose quantomeno liminari.
Alice fuori dal paese delle meraviglie
Charles Lutwidge Dodgson era un reverendo, e per scrivere Alice nel paese delle meraviglie scelse lo pseudonimo di Lewis Carroll. La sua fotografia dilettantesca si inquadra in seno al movimento del pittorialismo, che tentava ai tempi di regalare alla disciplina la dignità delle altre arti, mutuando tecniche e linguaggi dalle “arti maggiori”. Il reverendo passava molto tempo con le giovani ragazzine, e le pose e gli sguardi che strappava loro erano delicati, a tratti sottilmente erotici.
Era l’epoca vittoriana, e con frequenza i fotografi di allora ritraevano giovani fanciulle. Dodgson le frequentava spesso, assieme alle rispettive famiglie. Le sue vicende amorose erano travagliate, e attraversate da donne più e meno mature. Al tempo non esisteva il reato di “possesso di materiale pedopornografico”, e famiglie e bambine erano perfettamente coscienti e consenzienti dell’attività di quello che oggi, forse, sarebbe additato come prete pedofilo.
Giochi di parole e foto di zingarelle
Approfittando della fama raggiunta come scrittore, Lewis Carroll adescava le sue bambine, passando sempre per il tramite dei genitori. Offriva loro la compagnia di una persona istruita, e continuamente le stuzzicava con giochi di parole e indovinelli, non risultando mai, a loro occhi, troppo più vecchio di loro. Scriveva loro delle lettere, che viaggiavano in fantasia, ma poi si chiudevano, morbose, inquietanti, sulla gelosia e sul desiderio di possesso.
Nelle fotografie i suoi soggetti erano vestiti con abitini speciali, da zingarella o da cappuccetto rosso, in atto di preghiera o sorridenti, serie o imbronciate. Le collezionava, e spesso senza pudore chiedeva immagini di bambine anche ad altri fotografi.
Le atmosfere surreali dei bambini senza emozione
Ragazzini e giovani dominano indiscussi anche i ritratti di Loretta Lux, fotografa di Dresda, classe 1969. Lo sfondo che li incornicia è surreale, quasi il limbo di una posa, di un momento, che in questa realtà non si può. Ritornano i tratti della pittura, che qualche decennio dopo non possono che combinarsi con la manipolazione digitale. Si respira un’aria leggera, su ambientazioni scolorite, quasi rubate a un libro di illustrazioni per l’infanzia. Perfettamente aggiustate sono le geometrie, i colori, la messa in scena.
Le scene stinte sono abitate da bimbi bloccati in gesti senza tempo, apparentemente candidi e innocenti. Gli sguardi vitrei trascinano in dimensioni inesplorate, in ambientazioni artefatte, dai toni inquietanti e soprannaturali. L’impatto con lo spettatore è potente, ambiguo, peccaminoso, legati come si è dalla fascinazione accattivante di quei volti, di quei corpi, persi in paesaggi impossibili. Restituiscono lo sguardo calzoni corti e abiti in stile Novecento, capelli impeccabili e occhi grandi e seri, a cui non scappa emozione.