La Morte di Cleopatra (1660) di Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna, 1601 – Vienna, 1663) è conservato alla Pinacoteca di Brera di Milano dal luglio 1960, quando Alberto Saibene, allora vicepresidente degli “Amici di Brera”, decide di donarlo alla Pinacoteca dalla Collezione Spiridon di Roma. L’opera non ha mancato di stupire anche gli appassionati d’oltreoceano che hanno potuto ammirarla nel 2017 all’Istituto Italiano di Cultura di New York e ora al Cincinnati Art Museum, grazie alla collaborazione con la Foundation for Italian Art & Culture (FIAC).

Il dipinto ritrae la regina Cleopatra al momento del suicidio, dopo il morso dell’aspide, arrampicato qui sul bracciolo della seduta. Cagnacci è uno dei più eccentrici pittori del barocco italiano e Cleopatra è una delle donne più note della Storia, amante di Antonio, luogotenente di Giulio Cesare, è sensuale e bellissima, descritta da Shakespeare come colei che «affama quanto più soddisfa: / Le cose più vili, in lei, diventano bellezza» (William Shakespeare, Antonio e Cleopatra, Atto II scena II).
Il deciso chiaroscuro di Cagnacci sottolinea qui la dimensione eterna di questa indimenticata icona della storia, mettendo in luce l’intensa sensualità di una donna che è personificazione di un soggetto di tema antico e allo stesso tempo estremamente moderno. La semplicità delle forme e della composizione non nuoce alla resa realistica dei tessuti e dei materiali che fa di Cleopatra un donna vera, dai seni turgidi e rosei.
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Rispetto alla sua produzione precedente, Cagnacci tiene qui a evidenziare una dimensione più intima e interiore che si dipana nel solenne e silenzioso dialogo tra corpo e anima. La totale assenza di azione colloca la scena in un tempo sospeso e non ben definito, come se la giovane si fosse ritirata in un dolce letargo, abbandonata, in solitudine, su una seduta in velluto rosso con borchie lumeggiate in ocra gialla. Il contrasto netto e quasi teatrale di luci e ombre rimanda a un sensuale naturalismo caravaggesco insieme a una formazione da autodidatta, che l’artista coltiva dipingendo dal vero, lavorando direttamente sulla tela senza alcuna forma di disegno preparatorio.
La modella qui raffigurata è probabilmente Maddalena Fontanafredda da Cesena, vicina al pittore a Venezia, tra il 1648 e il 1658, e a Vienna, tra il 1660 e il 1662.