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Un’altra strage a Gaza. L’attacco israeliano scatena l’escalation

Un'altra strage a Gaza: l’Operazione Arco e Freccia condotta dalle forze militari israeliane contro la Striscia di Gaza dal 9 al 13 maggio si è conclusa con almeno trentatré vittime nella Striscia e due in Israele.

9 minuti di lettura

L’Operazione Arco e Freccia condotta dalle forze militari israeliane contro la Striscia di Gaza dal 9 al 13 maggio 2023 si è conclusa con almeno trentatré vittime nella Striscia e due in Israele (una donna israeliana di Rehevot e un lavoratore palestinese a Shokeda). Secondo l’OCHA, i feriti israeliani sono oltre quaranta, quelli gazawi centonovanta e gli sfollati nella Striscia ammontano a oltre novecento.

Il cessate il fuoco, negoziato attraverso la mediazione dell’Egitto, è entrato in vigore venerdì scorso alle 22:00 (ora locale) e ha posto fine allo scambio di fuoco tra Israele e il movimento di resistenza armata palestinese Islamic Jihad.

L’attacco israeliano è cominciato nella notte tra l’8 e il 9 maggio uccidendo 3 militanti del PIJ e 10 civili mentre dormivano nelle loro case, tra cui quattro bambini. Nel corso delle successive giornate di intensi bombardamenti le morti nella Striscia sono aumentate e le condizioni umanitarie si sono drammaticamente deteriorate, complice la chiusura totale degli accessi alla Striscia che in quei giorni ha impedito anche di far entrare aiuti umanitari e dispositivi medici, lasciando la popolazione palestinese del territorio senza rifugio né possibilità di fuga, in un lembo di terra posto sotto assedio da sedici anni e in cui da diciotto mesi il blocco impediva l’importazione di materiale medico, portando gli ospedali al collasso durante l’operazione militare.

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La risposta armata da Gaza è iniziata nel pomeriggio del 10 maggio, dopo un giorno e mezzo di intensi bombardamenti dell’IDF sulla Striscia. Durante questi cinque giorni di violenze, i razzi partiti dalla Striscia si sono diretti non solo verso il sud di Israele ma anche nella zona meridionale di Gerusalemme e negli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania, oltre che a Tel Aviv. La maggior parte sono stati intercettati dal sistema anti-missile israeliano Iron Dome. Alcuni razzi sono partiti anche appena dopo il cessate il fuoco di venerdì, ma secondo Hamas, il movimento politico che governa la Striscia, si è trattato di un errore tecnico e non di un tentativo di far proseguire gli scontri.

Israele e gli attacchi “mirati”

Il governo israeliano di destra, formato dalla coalizione del partito Likud del premier Benjamin Netanyahu e i partiti religiosi estremisti, ha presentato l’operazione come un attacco al movimento armato palestinese, rivendicando la pratica delle uccisioni extra-giudiziali “mirate” dei leader della resistenza palestinese operante a Gaza. Proprio sulla condizione posta dall’Islamic Jihad riguardo lo stop ai cosiddetti “attacchi target”, a cui il governo israeliano si opponeva, si erano arenati i colloqui per il raggiungimento di un cessate il fuoco durante i primi giorni di bombardamenti. Le bombe israeliane hanno colpito la Striscia in lungo e in largo durante questi cinque giorni di mattanza: Beit Lahia e Beit Hanoun nell’estremo nord della Striscia, la capitale Gaza City, Khan Younis e Deir al Balah al centro e Rafah a sud. I cosiddetti “attacchi mirati” hanno ucciso, ferito e lasciato senza casa decisamente più civili che miliziani, seguendo la tattica di terrorizzare la popolazione per smorzare la resistenza locale.

Prima dell’attacco: Khader Adnan, prigioniero politico morto nelle carceri israeliane

Altra condizione posta dall’Islamic Jihad palestinese per la tregua è stata la restituzione del corpo del membro della resistenza in West Bank Khader Adnan.

L’operazione contro la Striscia è stata infatti lanciata una settimana dopo la morte di Khader Adnan, intellettuale e membro dell’ala non armata della Palestinian Islamic Jihad in Cisgiordania, a seguito di 87 giorni di sciopero della fame con cui il palestinese protestava contro la misura di detenzione amministrativa a cui era sottoposto dal febbraio 2023 per l’accusa mai formalizzata di “incitamento alla violenza”. La detenzione amministrativa consiste nella reclusione nelle carceri israeliane senza processo né imputazioni per periodi rinnovabili di sei mesi. Khader Adnan è stato il primo morto palestinese per sciopero della fame dal 1992: le autorità israeliane gli avevano negato l’accesso a cure mediche in un ospedale civile, dopo averlo sottoposto per l’ennesima volta a reclusione arbitraria. Il prigioniero politico era infatti stato recluso tredici volte dal 2004 per la sua attività di opposizione all’apartheid israeliana nei territori palestinesi occupati.

Gaza sotto assedio

L’operazione Arco e Freccia è il settimo attacco consistente in bombardamenti su vasta scala condotto dall’IDF contro la Striscia di Gaza dalla vittoria alle elezioni locali di Hamas e l’inizio del blocco. Dopo gli attacchi efferati contro milizie e civili nel 2008, 2009, 2012, 2014, 2021, 2022 e 2023, la popolazione gazawa continua a fare i conti con un’economia al collasso, sindrome da stress post-traumatico che affligge i residenti di tutte le età e i bambini in primis e una prospettiva di violenza senza fine imminente. La condizione a cui i più piccoli sono sottoposti è tra le più vulnerabili. A testimoniarlo drammaticamente è la morte per arresto cardiaco di Tamim Daoud, bambino di quattro anni, provocato da un attacco di panico prolungato dopo che i missili israeliani avevano colpito una casa vicinissima alla sua a Gaza City.

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La resistenza in West Bank

Nel frattempo anche la situazione in Cisgiordania si infiamma. Si sono infatti intensificati enormemente in quest’ultima settimana gli attacchi “mirati” da parte delle forze militari israeliane, condotti sistematicamente attraverso raid dell’IDF nei campi profughi e nelle città della West Bank, in particolare nel nord: a Jenin e nel vicino campo di Tulkarem e a Nablus. In questa seconda città la resistenza armata palestinese è cresciuta, a dimostrarlo la formazione di nuovi gruppi armati soprattutto a Nablus, dove nel luglio 2022 è stata fondata la Fossa dei Leoni, in prima linea negli scontri a fuoco con cui i locali tentano di impedire l’accesso ai soldati israeliani in città. Non è solo l’esercito a condurre operazioni violente nei confronti dei palestinesi dei territori occupati, ma anche la popolazione di coloni israeliani che risiede negli insediamenti. L’esempio più lampante è quello che raccontava Il Manifesto a fine febbraio di quest’anno: dopo un raid dell’esercito a Nablus finito con la morte di 11 abitanti locali, la reazione di un palestinese armato non identificato è stata l’uccisione con arma da fuoco di due coloni, la risposta degli abitanti degli insediamenti è stato un pogrom in cui hanno letteralmente dato fuoco al villaggio palestinese di Huwara, vicino a Nablus.

Dopo il 2022, che veniva già definito come l’anno con più morti palestinesi dalla Seconda Intifada, il 2023 si prospetta come decisamente peggiore: secondo l’ONU da gennaio al 1 maggio 2023 i morti palestinesi per mano israeliana sono stati almeno 94, oltre il doppio rispetto allo stesso periodo l’anno scorso, in cui le vittime erano state 43.

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Le violenze delle ultime settimane non hanno fatto che rendere ancora più tragiche queste statistiche, già di per sé insufficienti a dare l’idea della sofferenza della popolazione palestinese, i cui membri sono tutt’altro che riducibili a numeri.

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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