Ci si districa tra rovi e spine per emergere in un fiato più profondo del bosco. Ci suono luoghi chiusi che sbarrano dentro l’abbandono, e spazi invasi dall’aria che comunque si corrompono e vanno a male. Sono a pezzi, in rovina, o ancora perfettamente intatti, conservati come un pugno nell’occhio di un passato che ci si aggrappa alla faccia. Ma se questi relitti pieni di reliquie vengono prima o poi trovati da drogati e writer e vandali, per marchiare e marchiarsi, ce n’è qualcuno ancora intatto, dove solo il tempo ha lasciato le sue cartacce. Se si arriva prima del prima o poi, prima che il vaso sia schiuso, si trova nell’aria tutta un’altra pienezza.
C’è una Colonia, vicino a Firenze, ancora intoccata. Vi sono stipati letti e materassi, ma nelle posizioni originarie, pronti per essere riusati da un legittimo abitante. I giochi dei bambini sono sparsi sui pavimenti a giocare con la polvere, e tra le camere vuote c’è una stanza vestita a chiesa, su cui pesano i libri, e le panche sacre. Ha chiuso le porte nel 2014 e qualche sito ancora non lo sa: ce ne sono sul web che la pubblicizzano come vivace meta di vacanze.
C’è un’aberrante discoteca Paradiso un po’ in tutte le città. Anche a Rimini era un ristorante e dancing club nel 1957, aperto da Tina Mirti Fabbri e che nel 1970 diventò il cuore delle notti sulla Riviera. Le piante si mangiano tutto, i tavoli, il gazebo, ogni reliquia di passata umanità. Sono passati i ladri di rame, ma le bottiglie di champagne sono intatte, in fila, alle pareti, con tutta la paccottiglia che produce il normale andamento di una serata: biglietti d’ingresso e gettoni d’uscita, cartellini dei tavoli e gadget, flut. Divani di design impattano la vista, stagliati su un fondo patinato.
Nell’Ex Zuccherificio Sfir si lavoravano barbabietole da zucchero e si produceva melassa. Fu chiuso tra il 2009 e il 2010 e buona parte dei locali fu rasa al suolo. Rimangono un capannone, la mensa e gli uffici. Accanto a questa parte morta ci sono degli organi vivi, che ancora funzionano, appartengono anche oggi al gruppo Sfir.
Ci sono edifici che nascono per dare spazio alla morte, e per scandire un tempo di abbandono. Così i cimiteri, che sono doppiamente abbandonati quando anche i vivi si dimenticano dei loro morti. Tra Dovadola e Predappio si trova un cimitero sperduto, spostandosi dalla Casa del Portuale alla Ex Aeronautica Caproni. È un cimitero con vista, che sbalza su campi aperti.
Tra i monopoli di stato, l’Ex Colonia Montecatini è un incastrarsi di spazi diversi, molteplici: cinque, sei o sette piani montati uno sull’altro, incorniciati da giardini, minigolf, megasaloni, stanze, depositi e perfino una chiesetta. Il complesso è agibile, e sorprendentemente abitabile: molte delle stanze sono state ristrutturate negli anni novanta, con bagni con impianti elettrici completamente nuovi. Dopo il 1994 non ci sono più marcatempo, o segnali di qualsiasi genere, che ne rilevino l’utilizzo. Nella casa del custode, che dà sulla strada che porta al centro di Milano Marittima, ci sono ancora piatti, coperte, e qualche residuo di dispensa. Bollette e solleciti di pagamento della Telecom sono affastellati sulle scrivanie degli uffici, e ancora mobili, telefoni e vestiti.
Sulle pareti di Villa Manzuta si legge il passaggio di writer e artisti più o meno definibili tali. Un’effigie rischiata, che ha lasciato un marchio tanto più apprezzabile quanto più azzardato: il tetto è crollato e il secondo piano inagibile, e pericolante. Sono le forme tondeggianti di strani extraterrestri che popolano questi muri graffiati dal tempo. Guardano dritto verso uno spettatore assente, facendo cadere troppe domande nell’abbandono. «Chi siamo da dove veniamo dove andiamo».