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«Klimt e l’arte italiana» incanta al Mart di Rovereto

Lo stile inconfondibile di Klimt influenzò molti artisti italiani di inizio Novecento. Al Mart di Rovereto, fino al 18 giugno, una mostra ne ripercorre il legame

6 minuti di lettura

Eccezionalmente riuniti nelle sale del Mart, due tra i più famosi capolavori klimtiani aprono la mostra Klimt e l’arte italiana, visitabile fino al 18 giugno e curata da Beatrice Avanzi. Giuditta II e Le tre età della donna, infatti, accolgono i visitatori immergendoli sin da subito in un paesaggio onirico e prezioso che si sviluppa poi nelle sue infinite variazioni grazie all’esposizione di circa duecento opere di quaranta maestri del primo Novecento.

Klimt e l’Italia: verso il “periodo aureo”

Giuditta II e Le tre età della donna appartengono a due tra le maggiori collezioni pubbliche italiane, rispettivamente la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, a Venezia, e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

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Le opere sono entrate a far parte delle collezioni italiane in due occasioni vicine tra loro, la Biennale di Venezia del 1910 e l’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, alle quali Gustav Klimt partecipò. Il suo stile inconfondibile, già pienamente inserito nel cosiddetto “periodo aureo”, influenzò profondamente gli artisti che poterono ammirare le sue opere, portando un’intera generazione, tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, a rinnovare il proprio linguaggio artistico. Questo, in particolare, nelle zone più prossimamente influenzate dalla cultura austriaca e mitteleuropea, come Trento, Verona, Venezia e Trieste. Tali artisti, tra i quali spiccano i nomi di Vittorio Zecchin, considerato il “Klimt italiano”, Felice Casorati, Galileo Chini e Adolfo Wildt, definito “il Klimt della scultura”, seppero ognuno a proprio modo integrare la lezione del maestro austriaco e tradurla in un linguaggio strettamente personale.

Klimt mart
Klimt e l’arte italiana, Mart, Brand&Soda. Fonte: Mart

Va ricordato, inoltre, che Gustav Klimt fu a sua volta influenzato in maniera decisiva dalla tradizione artistica italiana, in particolare dalla visione, in occasione di frequenti viaggi in Italia, dei mosaici della Basilica di San Marco a Venezia e di Ravenna. Gli ori, i decori e la rigida bidimensionalità delle figure hanno affascinato l’artista a tal punto da spingerlo a rielaborare il proprio stile fino a ciò che noi tutti oggi conosciamo e riconosciamo chiaramente come “Klimt”. L’uso della foglia d’oro o di platino si intreccia in maniera elegante alla decorazione florida e floreale degli sfondi, ricchi di motivi ornamentali rivolti in particolare alla primavera, tema centrale per l’arte secessionista.

Klimt e gli italiani: l’opera d’arte totale

Gli artisti italiani, dunque, si rivelarono degni eredi, ma anche capaci innovatori, dello stile klimtiano. Questa influenza fu resa possibile e fertile dagli stimoli simbolisti che si stavano diffondendo a cavallo tra Otto e Novecento nel panorama artistico dell’Italia, in particolare settentrionale. Sempre di più, infatti, i soggetti dei quadri e delle opere in generale stavano abbandonando il reale-naturale per spostarsi verso orizzonti onirici, spirituali.

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Artisti come Vittorio Zecchin, poi, furono in grado di sviluppare quello che per la Secessione era un mito assoluto: l’opera d’arte totale. Figlio di un maestro vetraio, Vittorio Zecchin, come altri, non si dedicò solamente alla realizzazione di opere pittoriche e scultoree, quindi più tradizionali, ma si espresse anche e soprattutto attraverso le cosiddette arti minori, realizzando mobili, arazzi, pizzi, vetri, con un chiaro stampo e stile klimtiano, prezioso, floreale, vicino all’Art Déco e al Liberty, ma anche fiabesco e orientaleggiante. È così, dunque, che ci si ritrova a passeggiare per le sale espositive ammirando un attimo prima le enormi tele di Galileo Chini, passando poi a vasi, arazzi e mobili. Il tutto senza soluzione di continuità, in maniera molto naturale.

Un’esposizione all’insegna del sogno e dello stupore

Sin dalla sala iniziale, quasi monumentale con il soffitto alto e le pareti dipinte di oro e blu intenso, la mostra Klimt e l’arte italiana immerge il visitatore in uno spazio-altro, accompagnandolo alla scoperta di un mondo passato fatto di influenze inaspettate, collegamenti stretti e rivisitazioni sapienti. L’impatto iniziale con i due capolavori del maestro austriaco lascia infatti senza parole e invita ognuno ad avvicinarsi per ammirare meglio i dettagli straordinari di quelle opere uniche. Avendo negli occhi queste, è possibile poi cogliere con facilità i rimandi negli altri artisti proseguendo la visita.

Le opere esposte sono, soprattutto all’inizio, molto grandi e scenografiche. È innegabile il fatto che il Mart ormai ci ha abituati alla grandiosità e alla bellezza, oltre che delle opere esposte anche dell’allestimento, ma non per questo non si rivela ogni volta in grado di stupire.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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