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L’Artico morente annuncia la fine del mondo. Ci salverà l’immaginazione?

In collaborazione con il Festival delle Geografie, che si terrà a Villasanta (MB) dal 15 al 19 settembre.

4 minuti di lettura

Il 16 settembre alle 18.30 il Festival delle Geografie ospiterà Matteo Meschiari, autore di Artico Nero (Edizioni Exorma). Il libro è un romanzo corale, sette storie dedicate ai popoli dei ghiacci. Analisi politica e sociale, antropologia, poesia e letteratura danno vita a un romanzo-saggio, a 160 pagine di rabbia e angoscia per un Artico nero e morente.

artico nero
Matteo Meschiari, Artico Nero (Edizioni Exorma), 2016

All’autore i creatori del Festival hanno posto alcune domande e tentato di individuare un possibile spiraglio di luce.

L’Artico è stata una delle zone del mondo su cui il nostro Festival ha acceso una luce fin dalla sua prima edizione. Tematiche ambientali, questioni geopolitiche, storiche e antropologiche e, non ultimo, il fascino che i luoghi freddi esercitano ci ha spinti a dedicare sempre uno spazio specifico all’Artico, anche nel 2021. Ci è chiaro che l’idea di un luogo incontaminato, dominato dal ghiaccio e dalla natura, dalla luce o dalla tenebra senza fine, va abbandonata perché ci confrontiamo con una realtà davvero inquietante. Come scrive nell’introduzione ad Artico Nero: «è all’estremo Nord del mondo che la fine del mondo sta anticipando la fine del mondo». Affermazione letteraria o brutale realtà?

Lo stiamo vedendo in questi mesi estivi: Canada e Siberia con temperature impensabili, peggiori delle peggiori previsioni. Nell’Artico tutto sta arrivando prima e in modo violento e visibile. Nella bolla temperata, nella nicchia urbana crediamo di essere lontani e protetti, ma tutto il peggio arriverà anche qui. Guardare al Nord o al Sud del Pianeta è un modo molto efficace per fare ipotesi di previsione. Il principio di realtà sta per prenderci a schiaffi e non potremo dire di non aver visto gli indizi. 

Nell’elencare le terre dell’Artico – Jamalia, Lapponia, Groenlandia Canada artico, Alaska, Chukotka, Jacuzia – usa la definizione di terre di mezzo, zone di risonanza fra Oriente e Occidente. Contro le dicotomie. E’ un concetto a favore di una continuità fra esperienza umana e natura, fra esperienze di vita e di morte? Una differenza abissale con i canoni del pensiero occidentale e forse più simile a quelli orientali?

Anzitutto è una considerazione geografica e geopolitica: l’Artico è una vasta bioregione omogenea, a dispetto del reticolo delle frontiere. Certamente questo aspetto ha anche una carica antropologica e simbolica, perché guardare al Grande Nord è un modo ulteriore per criticare gli stereotipi spaziali, culturali, sociali. Possiamo guardare l’Artico come una cartina di tornasole del collasso climatico, e possiamo guardarlo come un modello in grado di suggerire delle alternative. Il cacciatore-raccoglitore artico ha vissuto per millenni affrontando situazioni ambientali estreme grazie al mutuo appoggio. Nei tempi bui che ci attendono solo il comportamento pro-sociale ci salverà dall’uragano che abbiamo innescato. 

Se vuoi continuare a leggere l’intervista dedicata a Matteo Meschiari clicca qui.

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Fausta Riva

Fausta Riva nasce in Brianza nel 1990.
Geografa di formazione(Geography L-6) poi specializzata in fotografia al cfp Bauer.
Oggi collabora con agenzie fotografiche e lavora come freelance nel mondo della comunicazione visiva.
Fausta Riva nasce sognatrice, esploratrice dell’ordinario. Ama le poesie, ama perdersi e lasciarsi ispirare.

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