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Le Revolverate di Gian Pietro Lucini: la satira sociale

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Capelli folti e barba intonsa e bruna;
ampia fronte; occhio chiaro e scrutatore;
sopra alle rosse labra si raduna
coll’ironia sarcasmo sprezzatore.

Parlar breve: commetto alla fortuna
del Tempo – e Gloria incalzo – il mio valore;
ed alla solitudine opportuna
corpo deforme e sereno dolore.

Col riso schietto suscito diane
allegre ed in silenzio m’appostillo;
sdegno le pigre bugie cotidiane.

Fiero, iracondo, tenace, cortese:
il Bene e il Male abburatto e distillo;
più che amicizia eleggo odio palese.

Così si autoritrae Gian Pietro Lucini (Milano, 1867 – Breglia, 1914), autore di nascita milanese, nel componimento Autologia, presente nella sua opera più nota, Revolverate e Nuove Revolverate. Il volume nasce dalla delusione per i drammatici eventi storico-sociali occorsi a Milano nel maggio 1898 e, in particolare, l’8 maggio 1898, giorno in cui il generale Bava Beccaris dà ordine di sparare sulla folla con i cannoni ad alzo zero. I morti sono molti, probabilmente più di trecento, e i feriti un migliaio.

Gian Pietro Lucini

La dura repressione dei moti segna in Lucini un punto di non ritorno: rimanendo isolato nel palazzo di Breglia, da quel momento in poi si orienterà verso un impiego sistematico delle armi del sarcasmo e dell’ironia. Proprio dall’impegno in una violenta polemica civile nascono le Revolverate, il cui titolo originale era Canzoni amare: pubblicate fin dal 1899 sulla rivista repubblicana La Educazione Politica, le poesie vengono successivamente stampate in volume nel 1909 per le edizioni futuriste di Poesia. Le poesie inedite di Nuove Revolverate vengono invece raccolte e integrate solo nel 1913.

Revolverate e Nuove Revolverate

Entrambe le raccolte, riunite in un unico volume da Edoardo Sanguineti nel 1975, sono suddivise in tre sezioni disposte secondo una climax ascendente: gli Scherzi presentano dei monologhi drammatici con tono leggero, i Sarcasmi inscenano le figure d’odio con tono medio e le Commemorazioni celebrano alcune figure del Risorgimento italiano, innalzandosi al tono celebrativo. Tutte e tre, con gradi differenti, sono la risposta agli eventi del 1898, modulata con le armi dell’indignatio, della rabbia polemica e dell’invettiva. Una poesia che attinge al registro della satira per adeguarsi all’emergenza dei tempi. Una satira che è l’ultimo espediente letterario dello scrittore per esprimere il suo eterno “Humorismo”, per ristabilire le sue distanze da tutto e da tutti. È Lucini stesso a dichiarare, nell’Introibo alle Nuove Revolverate, di voler emulare Giovenale:

Nel comporre e nel raccogliere tali satire determinate all’antica, quand’anche in versi liberi, fui e sono animato da un orgoglio luciferino. Mi propongo niente di meno che di emulare e sorpassare Giovenale. Un Giovenale modernissimo ed istessamente crudele […]

Lucini, dunque, si ritaglia una parte da moralizzatore, da fustigatore dei costumi dell’Italia giolittiana e sabauda dei primi del Novecento, prendendo di mira quelle che a suo parere sono le istituzioni della repressione: la milizia, il trono e l’altare.

Il Mistagogo, Lucini

La tecnica adottata è quella simbolista della maschera, ricorrente in tutta l’opera luciniana, ma che nelle Revolverate giunge alla sua ultima trasformazione. Le maschere delle Revolverate sono personaggi funzionalmente simili a quelli di Brecht, maschere senza maschere, teatranti senza teatro e testimoni della contemporaneità storico-sociale. Con le maschere della rappresentazione sociale, l’arte di Lucini acquista allora un profondo realismo e, nella finzione del discorso riferito, agisce come uno specchio deformante: il punto di vista di chi guarda è infatti estraneo alla classe rappresentata e mette in atto un meccanismo di straniamento, che ha il compito di smascherare la maschera. Il risultato è una serie di maschere mostruose e grottesche, che si esprimono in prima persona, rivelando la propria corruzione e la propria falsa coscienza politica e morale. Il Giovane Eroe e il Giovane Signore, la Cortigianetta, l’Eroe sfortunato, il tisico che lamenta l’“imberciatura” subita, mettono in scena i rispettivi difetti in maniera plateale, quasi sempre iperbolica, divagando sulle caratteristiche personali più note, puntualmente rovesciate dalle azioni tipiche del comportamento ipocrita. L’Eroe è dunque un vigliacco, il Signore un borghese arricchito, gli amanti rivelano i propri interessi imperialistici o la malattia venerea; mentre la prostituta d’alto bordo e il brigante punito denunciano la depravazione e l’ingiustizia della società che li ha espressi.

Gian Pietro Lucini II

La novità di Lucini è quindi la dissacrante costruzione di una forma “comica” della moralità, attraverso una poesia che tende all’antisublime e che si scontra con gli aurei paradigmi formali di Gabriele D’Annunzio e con la ricerca marinettiana di una forma tragica. Continua e arriva al suo apice nelle Revolverate quella poetica, già iniziata con i precedenti Drami delle Maschere, dell’antigrazioso per cui Lucini può essere considerato, come voleva Sanguineti, il primo dei moderni. Lucini è infatti il primo a ferire il paradigma della grazia tipico della tradizione letteraria italiana, che nasce, con l’accezione di Malebolge, già con i Siciliani, si sviluppa con gli stilnovisti e trova in Francesco Petrarca il modello supremo ed eterno. Risulta quindi inutile cercare nelle Canzoni amare dei “bei versi”, perché la satira luciniana introduce nella poesia il male etico, che può essere rappresentato solo attraverso il brutto estetico.

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I modelli di questa tradizione anticonvenzionale sono innanzitutto il Carducci di Giambi ed Epodi, il Leopardi della Ginestra, il Foscolo di Didimo Chierico, il Boccaccio del Decameron e il Dante di Malebolge. Accanto a questa stirpe ufficialmente riconosciuta, si colloca anche la cosiddetta «linea lombarda», con i nomi di Parini, Porta, Rovani, Quaglino, Valera, Dossi, e, infine, le personalità di Tarchetti, Praga e Stecchetti.

Il male rappresentato da Lucini attraverso le maschere grottesche delle Revolverate è il male sociale: egli assegna una vera e propria investitura sociale alla sua poesia, che trova, in Revolverate, il momento in cui l’egotismo anarchico di Lucini tenta di organizzare la più completa omologia tra ragione civile e ragione poetica. Così il volume, se da un lato registra la convergenza di tutte le componenti della cultura dell’autore, sintetizzabili nelle tre linee lombarda, risorgimentale e simbolista, dall’altro privilegia essenzialmente un contenuto civile, in cui riemerge la sua formazione democratica, con tutte le giovanili ascendenze garibaldine e scapigliate.

La denuncia sociale delle Revolverate non è però circoscritta agli spazi marginali della satira, ma si accompagna a un percorso etico. Esprimere la condizione e le istanze degli sfruttati, farsi portavoce di chi non riceve diritto di parola dall’ordine costituito, rappresenta infatti per l’autore un aspetto primario dell’attività culturale.

Chiara Zanotta

Autografo Lucini

 


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