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«Loro», Lui e Noi

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Il topic del film che aleggiava sui giornali da ormai un anno, un trailer misterioso capace di riassumere a posteriori l’intera anima della pellicola, quanto di negarla, ed infine una locandina avvolta in un nero opaco su cui svetta solo un titolo dorato: Loro. La genesi commerciale dell’ultimo lavoro del premio oscar italiano, Paolo Sorrentino, è forse essa stessa l’anticipazione di un mistero che il film, con la sua divisione in due parti distribuite a distanza di pochi giorni, vuole puntellare come a sostegno emotivo di una storia accennata sullo schermo e completata nella nostra personale immaginazione di spettatori. Un film che dunque, avvisiamo, potrà deludere, quanto sorprendere, proprio perché costruito sulla nostra idea, sulla nostra aspettativa, sulla nostra attesa per un Lui che arriverà forse troppo tardi, o a questo punto troppo presto.

Il lupo di Wall Street rinasce a Taranto

Lo spunto narrativo non è però Silvio Berlusconi, e soprattutto non è il Berlusconi di Forza Italia. Partiamo da questa fondamentale considerazione. Perché affermata l’esistenza di Loro come film di prospettive, dobbiamo sciacquare la mente dai pregiudizi che potrebbero porci in maniera distorta verso un film che fa discutere la politica senza che questo se ne sia mai occupato. Qui la politica non c’è, o meglio, c’è, ma quella più profonda e nascosta, plasmata attorno a felici (o malinconiche) feste di arrampicatori sociali e serate all’insegna di pasticche e prostitute. Dunque se vogliamo una politica più complottista, prendendo ad esempio l’ammiccamento ad un massone chiamato “Dio” al di sopra d’ogni cosa, o cinematograficamente accattivante, cosa ovvia nelle perfette forme delle immagini Sorrentiniane, ma di sicuro non istituzionale. Non ci sono giochi politici, nessun House of Cards, quanto invece più un’eco che conduce al Wolf of Wall street di Scorsese. Il centro è quindi così un’Italia, ovvero una delle possibili, obliqua e palese, in cui questo lupo, che in Loro acquista il nome di Sergio ed è interpretato da Scamarcio, corre per un sogno lungo una striscia che spera di tirar su con un centone prima, ed un assegno dopo. Meglio se questo strappato ad un vecchio ministro minacciato.

Così Sergio, uscito dalla piccola realtà di Taranto, corre, raccoglie droga, raccoglie soldi e prostitute, ma non sono per lui stesso, non tutte. Lui vuole di più. Vuole vedere la forma che diffonde la propria ombra sull’intero stivale, vuole parlare con la fonte dell’eco delle sue fantasie, vuole vedere la sua Italia negli occhi: vuole Lui. Ma Lui, come nelle migliori storie Fantasy, non esiste, almeno non prima di una lunga ora di film che parlando di Loro, quelli che contano, racconta Noi, quelli che li immaginano.

La grande bellezza 2?

Loro è quindi un film di attesa, costruito affinché si possa godere quanto scorre sullo schermo solo mentre si pensa a quello che ancora non è apparso. In questo è Sorrentino a sorprendere come cineasta e regista ancor prima che come fine studioso di una realtà storica ricomposta secondo la sua sensibilità. I movimenti di camera ripercorrono infatti l’ormai conosciuta poetica del regista, ed è quindi nel loro spezzarsi e ricomporsi a seconda della velocità della scena, andando proprio a braccetto con quest’attesa sino in fondo mai realmente esaurita, a soddisfare a pieno e a permetterci di credere, forse solo per poco, che questa in fondo non sia un’altra Grande Bellezza, quanto più un nuovo tassello. La velocità delle azioni, siano esse scene di sesso poste in raccordo a momenti di festa e a loro volta a momenti liberi ed anti-narrativi, si amalgama alla perfezione ad una certa riflessione sulla vita che corre inesorabilmente verso una fine, verso quella malinconia che già Youth, penultima pellicola del regista, poneva al centro della propria storia. Ed è propria questa, la fine, e se vogliamo la vecchiaia, la vera tematica che sembra legare le azioni del nostro Lupo, Sergio, impegnato a non farsi scappare la ricchezza prima che sia troppo tardi, e Lui, l’ombra, Berlusconi, apparentemente in decadenza, ma impegnato come non mai a combattere contro quell’età che ripete allo sfinimento per ricordarci che, alla fine, non conta proprio nulla.

Già visto, già vissuto

È così che i piani sequenza lenti, riflessivi e anti-narrativi si scontrano con un montaggio serrato, ritmicamente vicino alle recenti esperienze pubblicitarie del regista e dunque sicuramente utile a mostrare una realtà che da sempre si nasconde in vetrina. Un film stratificato e superficialmente semplice, grande e ripetitivo come un negozio di giocattoli, in cui la storia è immaginata e completata nel reale solo nella nostra mente; il tutto confuso, seppur geometricamente composto, in un folklore che è la fauna che Sorrentino più ama, e che forse ci consegna il senso di già visto che permea intere sequenze. Capire se il déjà vu nasca dalla conoscenza del cinema del regista o, come forse esso stesso sembra suggerirci, dalla particolare stranezza del periodo, e del Paese, in cui i presunti scandali avvengono (mai legati direttamente a Lui, quanto invece a Loro, coloro che lo circondano), sta allo spettatore e al valore che vuol dare ad una pellicola alle cui domande forse vedremo rispondere solo nella seconda parte. Perché quello che accade l’abbiamo già visto, in altri film, in altre storie, in altre realtà più o meno documentate; non c’è scandalo in quanto proiettato su schermo, neppure se ammantato dei movimenti estetizzanti di un cineasta come Sorrentino. Non è un film che segna per il suo coraggio, è un film su una realtà, possibile e reale, ma nulla più: tutto documentato, tutto arbitrario.

E Berlusconi?

Berlusconi c’è, arriva, forse proprio quando stavamo per appassionarci alla punta d’iceberg di un’Italia che sogna, corre e non arriva mai. È Servillo il Berlusconi di Sorrentino, capace dopo un’ora di attesa di riassumere in sé le molteplici forme che nella prima ora si erano composte, confuse, immaginate senza mai realmente apparire; strati di trucco nella maschera-volto indossata da un Servillo che confonde lasciando il dubbio su cosa sia la parodia rispetto ad un personaggio conosciuto forse solo nelle forme mitologiche che questa prima parte si impegna a moltiplicare come i volti di un Hydra moderno.

Ma proprio come i personaggi di Pirandello scompaiono apparendo, allo stesso modo, Berlusconi, inteso come l’idea fluida e salvifica costruita e lasciata costruire da quei Loro protagonisti, sembra cessare d’esistere, fermare, e diventare così la semplice rappresentazione di ciò che da sempre Sorrentino dice di andare cercando: l’uomo. Un po’ politico, un po’ amante, un po’ strano e un po’ nulla. Figura caricaturale non più però immaginata, si realizza in scena in una mezz’ora che si lascia alle spalle quanto accaduto sino a prima, trascinandosi dietro i dubbi sul senso di un’operazione che in questa prima parte fatica a far capire il centro della propria indagine.

Un film che esiste in uno strato sottilissimo, infilato sotto pelle di chi decide che questo è vero e quello no, questo è fantasy, quello è dramma. Loro, e Loro, non esiste, Noi non esistiamo; ma il film c’è e trovarselo davanti può toccare quanto lasciare indifferenti. E sì, è questa forse la cifra tutta del cinema Sorrentiniano; pesantemente anti-narrativo, fortemente immaginifico, fondamentalmente nullo. Fuffa la potrebbero chiamare i detrattori, ma forse quest’ultimi mancano solo della volontà di farsi narrare qualcosa che pur esistendo, nelle forme, nei volti, nell’immaginario, nei nomi e nei luoghi, è assieme sia vero che falso. Ancora una volta, «tutto documentato, tutto arbitrario».

 

Alessandro Cavaggioni

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia, amo il silenzio dopo una proiezione e la confusione di parole che esplode da lì a poche ore.
Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube e pagina instagram.

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