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Marx ecologia

La natura del capitalismo. Su marxismo ed ecologia

Nel mondo contemporaneo risultano evidenti i problemi legati all’impatto delle attività umane sull’ambiente; e il pensiero di Marx, nonostante la distanza storica, mostra di aver colto alcuni dei temi fondamentali della prassi ecologista.

11 minuti di lettura

È possibile individuare una componente ecologista nel pensiero marxista? Per buona parte della critica, almeno sino alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, questa domanda avrebbe creato non poche contrarietà. Prontamente, si sarebbe portata l’attenzione sul cosiddetto prometeismo di Marx ed Engels, indicando con questa formula la fiducia con cui i due pensatori guardavano all’illimitata possibilità d’intervento dell’uomo sulla natura attraverso il ricorso alla tecnica. Un simile atteggiamento volto a suggerire una superiorità ontologica dell’uomo sulla natura, tipica del pensiero capitalista, ha indubbiamente costituito un freno; tuttavia contro un’interpretazione altrimenti parziale, occorre oggi soffermarsi sulla spiccata attenzione ai temi dell’ecologia che Marx nasconde in termini di critica al modo di produzione capitalista.

Coappartenenza uomo-natura

Contro qualsiasi pretesa di primato dell’uomo, Marx ed Engels suggeriscono una lettura dell’agire umano in costante relazione dialettica con la natura, rivendicando la piena appartenenza dell’uomo all’interno del mondo naturale e sottolineando tutta la distanza dal modo capitalista di assumere la natura al fine di dominarla. Piuttosto, in virtù dell’atto di modificazione della natura, cioè in primo luogo attraverso la lavorazione della terra, l’uomo comincia a porre secondo Marx la «condizione inalienabile della propria esistenza e della riproduzione delle generazioni future». Allora la storia umana non può essere altro che una dinamica di coevoluzione uomo-natura mediata dalla necessità del lavoro. È alla luce di questo aspetto che risulta particolarmente chiaro come, di contro, l’interdizione dell’uomo dalla natura e dal prodotto del suo lavoro (ottenuto tramite un rapporto diretto con la terra), non potesse che rendere inevitabile il fenomeno dell’estraneazione alienante. È infatti in virtù di questa separazione lavoratore-terra che Marx parlerà della contraddizione fondatrice del capitalismo e ci permette di fare collegamenti con il tema dell’ecologia.

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L’irrazionalità del modo di produzione capitalista

L’avvento del modo di produzione capitalista ha di fatto provocato una frattura in questa dinamica, definita da Marx rottura metabolica, a causa di due assunzioni di fondo strettamente interconnesse: da un lato la concezione della natura come dono a completa e indiscriminata disposizione dell’uomo; dall’altro l’accumulazione illegittima di risorse e materie come presupposto metodologico della politica imperialista.

L’occasione di riflettere su questi temi si presentò in occasione di quella che viene oggi definita seconda rivoluzione agricola, espressione con cui ci si riferisce ad una fase di profonda crisi di produzione agricola contraddistinta da una pressoché trasversale infertilità dei suoli a cavallo tra il 1830 e il 1880. Schierandosi apertamente contro le teorie degli economisti classici che attribuivano le ragioni dell’improduttività del terreno a fattori indipendenti dall’intervento umano, Marx insiste sulle cause storiche e scientifiche alla radice della crisi di impoverimento dei suoli e, attraverso il confronto serrato con i contributi del chimico Justus von Liebig, dimostrò che le ragioni della crisi fossero dovute all’irrazionalità insita nel modo di produzione e sfruttamento delle risorse naturali propria del sistema capitalista. L’incremento esponenziale della domanda di beni alimentari su un mercato ormai globale non teneva conto del livello degli elementi nutritivi presenti nel suolo essenziali per garantirne la produttività, rendendo i terreni progressivamente sempre più sterili. La pratica dello sfruttamento intensivo finiva così per impedire il ripristino delle condizioni di fertilità del suolo ora in totale contraddizione con le leggi del mercato capitalista.

In continuità con il fenomeno originale dell’accumulazione primitiva, cioè di saccheggio e presa di possesso indiscriminata e autolegittimata di risorse e beni materiali, i paesi più industrializzati per sopperire a simili carenze depauperarono intere regioni ricche di materiali fertilizzanti. Veniva così violato quello che qualche anno più tardi Liebig avrebbe definito il principio di restituzione, imprescindibile per qualsiasi economia a base razionale. In altri termini, non provvedendo a concedere al terreno tempo e condizioni necessarie per il ripristino della fertilità, ma limitandosi a consumare di volta in volta le risorse naturali di differenti aree geografiche, l’uomo operava una frattura del metabolismo; le leggi del mercato entravano così in aperta rotta di collisione con le leggi immanenti della natura.

Il cortocircuito logico risultante permise a Marx di elaborare in quegli anni una doppia critica dell’agricoltura e dell’industria a trazione capitalista, entrambe passibili di consumare sino all’esaurimento rispettivamente la forza produttiva della natura e dei lavoratori. Marx mostrava così, in tutta la sua evidenza, l’irrazionalità sottesa all’intera produzione economica, incentrata sullo sfruttamento di terreni locali e delle risorse provenienti da altre aree, nonché totalmente incurante riguardo al tema dell’ecologia della sostenibilità per le generazioni future e della qualità delle condizioni lavorative tanto dell’operaio quanto del contadino. In altri termini, era evidente che l’espansione del modello capitalista riposava sull’appropriazione di forze naturali alienate.

Capitalismo come civiltà della frontiera

Si situa in questo quadro l’interpretazione del capitalismo come civiltà della frontiera. La transizione dall’era feudale e quella del capitale rispondeva di fatto ad un cambiamento della legge del valore: non era più la produttività della terra, ma la produttività del lavoro a fungere da criterio di ricchezza e potere. Questa trasformazione storica – e in questo consiste l’abilità del capitalismo – era però resa possibile dalla svalutazione d’ingenti quantità delle cosiddette nature a buon mercato, vale a dire del contributo di nature umane (donne, bambini, schiavi) ed extra-umane (enti naturali, animali) non rientranti nella categoria di forza lavoro retribuita, quindi direttamente sfruttate e a completo titolo gratuito. Naturalmente, una simile teoria del valore non può che reggersi, da un lato, sull’assunzione già ampiamente analizzata dal pensiero marxista della natura come materia inerte e dell’uomo come suo dominatore, dall’altro, sul principio (o teologia) dell’infinita sostituibilità, interpretabile come una specie di contromodello rispetto al principio di restituzione descritto da Liebig.

Il capitalismo si configura in questo senso come sistema d’inesauribile riproduzione e delocalizzazione delle nature a buon mercato, o con maggiore precisione, dell’appropriazione cumulativa e del conseguente sfruttamento delle stesse. Ma data la storicità, dunque la costitutiva limitatezza delle risorse umane ed extra-umane, una nuova ondata di produzione capitalistica delle merci apre un orizzonte di possibilità ogni volta storicamente determinato, datato (si pensi al passaggio dall’era del carbone a quella del petrolio). Lo sfruttamento intensivo di lavoro sociale non-retribuito umano ed extra-umano porta quindi con sé l’inevitabile tendenza all’esaurimento, solitamente registrata dall’aumento dei prezzi delle materie prime.

Nella capacità di reinventarsi oltrepassando il limite dell’esauribilità delle nature a buon mercato, quindi nella capacità di sostituirle indefinitamente, il capitalismo dà ragione del suo trionfo e della sua longevità, tutt’altro che prevista da Marx ed Engels. Alla devastazione delle risorse di una determinata area, il modo di produzione capitalista fa fronte contrapponendo la sua capacità di trovarne di nuove, di sostituirle impiegando i migliori frutti del suo apparato organizzativo, razionalizzante e tecnologico.

Esattamente come avvenne nel caso della seconda rivoluzione agricola, la possibilità di superare le crisi di produzione è sempre data dalla possibilità d‘espandere le zone di appropriazione prima della stagnazione delle (sempre già datate) zone di sfruttamento del lavoro. È in funzione di questa dinamica che la quantità di lavoro non-retribuito si mantiene sufficientemente alta da permettere un abbassamento generale dei costi, aspetto senza cui il sistema capitalista non potrebbe sussistere. Se poi la devastazione d’intere regioni, nonché della forza lavoro, quindi l’argomento generale dell’ecologia e della sostenibilità per le nuove generazioni, non vengono posti come vincoli operativi, è perfettamente comprensibile in che senso il capitalismo faccia sistema con la definizione di civiltà della frontiera sostenuta da Marx.

Non considerare il modo di produzione capitalista come principale attore della crisi non permetterebbe di comprenderne la specificità e di conseguenza, di trovare delle soluzioni concrete per far fronte all’emergenza ecologica. In altri termini, solo assumendo il capitalismo come forma specifica di appropriazione e deterioramento della natura e del lavoro è possibile non cadere nel rischio d’ignorare i rapporti dialettici e storici in gioco. In questo senso, il contributo offerto da Marx ed Engels risulta tutt’ora prezioso, in quanto costituisce storicamente il primo modello sistematico di critica al modo di produzione capitalista in riferimento all’ecologia e alla sostenibilità per le generazioni future.

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Lorenzo De Benedictis

24 anni, da Siracusa. Da ingegnere fallito a studioso di filosofia incallito il passo è breve. L'unica cosa certa è che invecchierò pescando in un'isola greca sperduta

2 Comments

  1. Grazie per condividere questa eccezionale riflessione! Apprezzerei moltissimo una bibliografia per approfondire l’argomento.

  2. Ciao, grazie davvero per quello che dici. Scusa il ritardo, ecco qui qualche spunto. Buona lettura!
    Su ecologia e marxismo:
    Burkett, Paul, Marx and Nature: A Red and Green Perspective (1998).
    Engels, Friedrich, Dialettica della natura (1883).
    Foster, John Bellamy, Marx ecologista (2009).
    Foster, John Bellamy, Marx’s Ecology: Materialism and Nature (2000).
    Marx, Karl, Le Capital, Libro III (1894).
    Marx, Karl, Engels, Friedrich, Collected Works (1987).
    Marx, Karl et Engels, Friedrich, Manifesto del Partito comunista (1848).
    Moore, Jason W., Antropocene o Capitalocene?: Natura, Storia e Crisi del Capitalismo (2016).

    Sul rapporto seconda rivoluzione agricola-marxismo:
    Liebig, Justus Von, Organic Chemistry in its Application to Agriculture and Physiology (1840).
    Skaggs, J. M., The Great Guano Rush, St. Martin’s Press: New York (1994).
    Ricardo, David, Principles of Political Economy and Taxation (1951).

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