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Massimo Gramellini. Fonte: Wikipedia

Massimo Gramellini, l’«intellettuale» da salotto di cui non avevamo bisogno

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Esiste un fondo di verità nelle esclamazioni risentite provocate dalla conventicola di intellettuali televisivo/giornalistici, generalmente additata come k@sta dalla mala informazione da social network. Si tratta dell’onnipotenza autopercepita di chi, riconosciuto autorevole in una non meglio identificata disciplina umanistica a cavallo fra la scienza politica e la tuttologia, viene investito di poteri soprannaturali e chiamato a esprimersi su qualsiasi argomento di attualità. Sostenere l’importanza dell’esprimersi in qualità di esperto solo quando si è realmente competenti in materia non significa incoraggiare l’anti-intellettualismo o difendere il mito dell’uomo comune buono e puro sminuendo le conquiste di coloro che si sono eruditi. Esiste una differenza fondamentale fra la figura dell’intellettuale e la figura dell’esperto, e risiede nel suo rapporto con il potere. Tanto nei Caffè propinati quotidianamente dal Corriere della Sera quanto nella rubrica di Rai3 “Le parole della settimana”, Massimo Gramellini è un esempio di chi incarna la figura dell’intellettuale piuttosto che quella dell’esperto, risultando inevitabilmente sgradevole a causa del retrogusto moraleggiante di tutto quello che scrive o che presenta.

Con il suo Caffè del 9 ottobre 2018, Gramellini sfoggia un eloquio facile che canalizza un consenso di massa senza fornire fonti o giustificazioni per un affermazione che un qualsiasi scienziato politico sarebbe portato a trattare con cautela e dati alla mano.  Mentre racconta ai suoi lettori che «Grillo non serve più» nonostante «si sia inventato dal nulla un partito di massa»,  le frasi a effetto evitano accuratamente che qualcuno, magari più esperto seppur meno famoso, possa entrare nel merito della discussione, valutando la mancanza di matrice ideologica comune nel suddetto “partito di massa” o la sua disposizione nel tempo.

Alla figura dell’intellettuale Massimo Gramellini non sono richiesti dati o dimostrazioni: la sua autorevolezza giornalistica gli fornisce una pretesa di verità a prescindere. Se in termini strettamente logici è un errore sostenere che un’affermazione o una tesi sono vere perché lo ha detto il tale o il talaltro, il Caffè di Gramellini è un ottimo esempio di riferimento all’autorità: il linguaggio è troppo paternalista per poter dar luogo a scambi d’opinione e lo uno spazio è troppo delimitato per ospitare oggettività e competenza. Spesso i critici e i politici sfruttano il diffuso risentimento verso la competenza: ne è un esempio il Movimento Cinque Stelle, che ha fatto dell’anti intellettualismo e di “1 vale 1!” il suo grido di battaglia. È un problema ancora più incombente nel momento in cui non si mette in discussione solo la nozione di competenza, ma anche tutti gli standard di razionalità, come nel dibattito sui vaccini, su cui molti intellettuali non esperti in materia si sono espressi e si esprimono. Lo ha fatto Diego Fusaro, così come lo ha fatto Massimo Gramellini e molti altri.

Non è necessario essere in cerca di opinionismo d’attualità per beneficiare del punto di vista di Massimo Gramellini: grazie alla rubrica di Vanity Fair graziosamente denominata Vanity Stars è possibile rintracciare il caffè del buongiorno politico anche in salsa posta del cuore. A scrivere a Gramellini come ad una Natalia Aspesi con meno capelli e occhiali meno chic sono giovani fanciulle disperate, casalinghe senza un particolare amor proprio e mariti fedifraghi con una concezione decisamente personale del concetto di “monogamia” o di “fedeltà”. «Il mio fidanzato mi tradisce» scrive A. «Lascialo» risponde Gramellini. «Sono stata scaricata dalla moglie del mio amante» scrive E. «L’amore è uno specchio che rimanda l’immagine non di ciò che vogliamo, ma di ciò che siamo» ribadisce criptico Gramellini. Non siate troppo gelose, consultate un terapeuta, chi dorme non piglia pesci, chi fa da sé fa per tre: sono solo alcuni dei pratici, originali e profondi consigli elargiti dal saggio editorialista del Corriere della Sera, a cui pare che i cuori infranti di tutt’Italia non vedano l’ora di raccontare gli affari loro.

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Massimo Gramellini. Fonte: Wikipedia

Il problema del riferimento all’autorità è che la si invoca spesso in modo non rilevante: perché mai Massimo Gramellini, che ha studiato Giurisprudenza, dovrebbe essere un luminare in materia di economia, edilizia e problemi di cuore? Se la questione diventa risibile in materie come la meccanica e l’idraulica, che possono ancora essere riscattate da opportuni dati e misurazioni, è più complesso quando si tratta di chi vuole spiegarti come vivere e come essere giusti, e neanche solo da una prospettiva politica, che comunque dovrebbe suggerire coerenza rispetto a dati principi di appartenenza, non spunti oracolari a cui affidarsi ciecamente. L’uguaglianza politica non implica che la conoscenza sia condivisa e paritaria, e non sempre si può tranquillamente affermare che non esiste una storia vera ma solo varie interpretazioni della storia: un cantante pop sarà sempre meno preparato di un medico su una questione di medicina, un medico sarà sempre meno preparato di un metalmeccanico su una questione che concerne l’industria metalmeccanica. È una questione di specializzazione e di divisione del lavoro, dell’insindacabilità dell’esperienza e di pura e semplice logica.

Con le sue posizioni politiche a metà fra quelle della maestra d’asilo cattolico e quelle di un Saverio Tommasi vagamente irritato, un intellettuale come Massimo Gramellini, omaggiato come voce del pensiero di sinistra, è pericoloso per chi mira davvero a sovvertire l’ordine costituito. Un episodio sugli altri potrebbe essere preso a modello per definire l’incongruenza come principale caratteristica di una certa sinistra bohémien. Il 24 ottobre 2014 un buongiorno un po’ razzista intitolato Rom a parte sulla proposta di predisporre a Borgaro, in provincia di Torino, un bus apposito per i nomadi che vivono nel campo vicino alla strada per l’aeroporto, gli procura una denuncia all’Ordine dei Giornalisti e un esposto alla Procura di Torino per diffamazione e istigazione all’odio etnico-razziale da parte dell’Istituto di Cultura Sinta di Mantova, Sucar Drom, e dell’Osservatorio provinciale contro le discriminazioni. Si palesa la minaccia di buttare Gramellini fuori dal club del finto politically correct, proprio quando è un po’ più onesto riguardo a quello che in genere bisbiglia fra le righe: che i poveri sono brutti sporchi e fastidiosi e la loro vista non deve offendere la classe media. Se nelle intenzioni originarie una rubrica intellettuale come il Caffè aspira a mettere a nudo l’ipocrisia del pensiero dominante con un piacevole esercizio stilistico, il tono sempre accomodante verso le istituzioni e la mancanza di argomentazioni finiscono per preservare il potere sociale quanto una coercizione vera e propria.

Parlare della kasta senza nemmeno tentare di ampliare il dibattito mediatico con nuove voci  è un’altra prerogativa del giornalismo di Massimo Gramellini. Ne è un esempio l’invito a “Le parole della settimana”, programma di Rai3 à la Fabio Fazio, a Diego Fusaro. Del giovane filosofo torinese, intellettuale filogovernativo molto più bruno che rosso, si parla già fin troppo: un vero giornalismo d’opposizione non dovrebbe nemmeno pensare di fornirgli ulteriori occasioni di popolarità, o, almeno, non in spazi che dovrebbero presentare alternative. Tuttavia, se lo fa, è auspicabile che possa essere un dibattito e che venga rappresentato un conflitto e una discrepanza fra le parti, se ancora esiste. Il pensiero semplicione e buca-schermo di Fusaro proiettato con modalità squillanti nella cornice trita e ritrita dello scontro alla Vittorio Sgarbi senza nemmeno il gusto trash di Vittorio Sgarbi.

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A Fusaro viene posta una domanda sulla sua vita personale, come se fosse rilevante indagarne la vita amorosa e le abitudini sessuali per proclamare retrogrado il suo pensiero. La risposta del filosofo però non viene nemmeno ascoltata fino in fondo, causa interruzione della diretta Skype per mancanza di tempo. A causa della povertà di contenuti del dibattito e dell’incoerenza di chi invita a partecipare a una discussione qualcuno che non ha poi nemmeno intenzione di ascoltare, una vena di anti-intellettualismo finisce per pervadere persino gli spettatori di trasmissioni che potrebbero e forse dovrebbero veicolare un concetto radicalmente diverso di cultura, un’alternativa al superficiale «guarda che ho ragione io in meno di 1500 battute».

Vista la nomea della testata o del canale – in questo caso la Rai – si potrebbe pensare che permanga l’interesse verso ciò che i presunti esperti hanno da dire, sembianza accompagnata dalla vana aspettativa della parola data alla parte opposta utilizzata per il confronto e per la discussione. Quello che prevale è però la tendenza a spettacolarizzare una discussione inesistente, condendola con risatine di scherno e con i soliti termini aulico-incomprensibili con cui Diego Fusaro affermerà che è tutto un complotto per metterlo a tacere, acquistando così ancora più visibilità e un mezzo punto simpatia da parte di coloro che, pur non essendo d’accordo col filosofo torinese, si aspetterebbero, da parte della cosiddetta classe intellettuale, analisi e opinioni che ne giustifichino la fama e non ininfluenti bacchettate sulle dita.

Come giustamente nota Giorgio Fontana, il “farsi da parte” del pensatore viene spesso scambiato con un rifiuto dell’impegno. Riferire la propria opinione è consigliabile qualora capiti di averne una sensata, che contribuisca davvero al discorso. Non è possibile impiegare la stessa passione e lo stesso livello di attenzione e di studio in tutti gli argomenti soggetti a discussione pubblica, ed è qui che entra in scena la specificità.

Non è possibile avere un’opinione su tutto, o, comunque, se succede, è raro che tutte le opinioni su tutto valgano la pena di essere ascoltate.

Sofia Torre


Foto in copertina: Massimo Gramellini. Fonte: Wikipedia

Sofia Torre

Sofia Torre, classe 1991, cinismo in pillole, chiacchiere da bar e un’incontrollabile passione per lo yogurt al caffè. Mi sono laureata in Mass Media e Politica presso l’Università di Forlì, ho accuratamente predisposto un piano in dodici punti su come concludere qualcosa nella vita e poi sono andata al cinema. Scrivo, leggo, mi interesso di politica, letteratura, diritti umani e musica. La tuttologia mi dà sui nervi ma mi ci riconosco. Scrivo e collaboro al social media management del giornale online The Bottom Up, preparo campagne elettorali per partiti con meno iscritti di una bocciofila e cerco di mantenermi in maniera non sempre creativa.

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