In Microfisica del potere, Michel Foucault descrive come
Il potere, lungi dall’impedire il sapere, lo produce. Se si è potuto costituire un sapere sul corpo, è stato attraverso un insieme di discipline militari e scolastiche. È solo a partire da un potere sul corpo che un sapere fisiologico, organico era possibile.
L’Università Alma Mater Studiorum di Bologna- ridancianamente ma non troppo rinominata Alma Manganelli Studiorum dopo gli agghiaccianti fatti della giornata di ieri, giovedì 9 febbraio – nella persona del rettore Francesco Ubertini e del questore Ignazio Coccia, decide di porre dei tornelli simil-carcerari all’ingresso di una delle biblioteche più frequentate della zona universitaria, il 36 di via Zamboni.
Quale sia lo scopo dei suddetti tornelli è argomento di lite fra amici di vecchia data: qualcuno, pratico, li invoca come necessari a limitare i furti; qualcuno, altrettanto pratico, se ne lamenta perché lo spaccio sarà ora vagamente più complesso; qualcun altro, filosofico, parla dell’intento, camuffato da provvedimento democratico e disciplinare, di normalizzare un ambiente storico, di scambio, pluralità e cultura. Comunque, un’altra istituzione universitaria bolognese, il Collettivo universitario autonomo, protagonista di cronache cittadine ed esilaranti scritte sulle porte dei bagni pubblici (“questo è il ballo del CUACUA”), dopo la petizione per togliere i tornelli, caduta miseramente nel silenzio nonostante il gran numero di firme, decide di agire con ironia e muscoli delle braccia. I tornelli vengono divelti e depositati davanti al rettorato, in una sorta di simbolica, provocatoria e chiassosa resa al mittente. In tutta risposta, la biblioteca viene sbarrata, e poi occupata e autogestita. Ed è qui, in un tranquillo pomeriggio di studio che, come in un film di Lars Von Trier, qualcosa squarcia tutto e il caos regna. Celere alla celere e studenti (principalmente assorti e pacifici) nella polvere.
C’è chi parla delle biblioteche universitarie come luogo “meticcio e solidale”(qualunque cosa voglia dire). Di sicuro la contaminazione è necessaria ed è quanto abbiamo a disposizione, come studenti in particolare e come membri della società civile in generale, per sfuggire all’indottrinamento istituzionale e normalizzante promosso come “ordine”. Cosa significa “ordine”, in fondo, a parte “resistere alla devianza”? E se confrontarsi con la devianza fosse qualcosa di necessario, di igienizzante e di umanizzante? Cosa significa ordine, in questo caso, se non soffocare con la violenza?
L’università diventa una barriera, di censo oltre che sociale: ci si asserraglia nelle sue mura, schifando il confronto con chi non vi è iscritto. Affrontare una questione sociale non è certo confinare gli studenti dentro e lasciare il resto fuori. E, tra l’altro, qualsiasi persona non iscritta all’università ha tutto il diritto di entrare ed uscire liberamente, trascorrere ore in biblioteca per consultarne i libri, andare lì a leggere un libro di piacere e non studiare. La biblioteca è un servizio alla cittadinanza, è un patrimonio pubblico: i finanziamenti pubblici agli atenei provengono dalle tasche di tutti gli italiani, anche di chi non vi studia. Governi di varie bandiere, ma sempre schierati contro chi non ha nulla e non può vincere, si sono, negli anni, coalizzati per una ristrutturazione egemonica anche dei luoghi della cultura, che è stata, è e continuerà ad essere preda di ogni tipo di privatizzazioni.
Il triste epilogo di questa faccenda, triste, tristissimo, addirittura più triste della faccenda stessa, è una petizione “dagli studenti per gli studenti”: si esprime sostegno alle istituzioni e le si invita a prendere provvedimento contro il Cua, brutti, cattivi e responsabili. Insomma, una guerra tra poveri, dopo gli immigrati negli hotel a 5 stelle a 35 euro al giorno (o a 35 stelle a 5 euro al giorno, com’era?).
Le cronache ciattadine, persino quelle più di parte (governativa), raccontano di una maggioranza di studenti del tutto estranea ai collettivi caricata in maniera indiscriminata. È difficile che non salti alla mente un’altra scuola, nelle cronache di circa sedici anni fa: la Diaz. La polizia, la celere in biblioteca. Forza bruta in assetto antisommossa, tavoli e libri rovesciati e/o distrutti, studenti caricati, violenza gratuita. Anzi, probabilmente violenza ben retribuita, poiché istituzionalizzata.
Immagine di copertina da Facebook
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