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Freud e l’introduzione del narcisismo in psicanalisi

13 minuti di lettura

Tratto di personalità, di carattere, disturbo, dimensione dell’umano. Centrale o ancillare. Buono, cattivo, sano, insano, benigno o malvagio. Di vita, di morte. Tratto culturale generale, esploso con il libro La cultura del narcisismo di Christopher Lasch, fonte d’ispirazione, persino, dell’ultimo Foucault. Caratteristica di genere, ora femminile, ora maschile. Un vero ospite inquietante: tra le altre cose, il Novecento è stato il secolo del narcisismo. E dopo averne parlato a proposito del Presidente Schreiber, Sigmund Freud, in Introduzione al narcisismo, pubblicato nel 1914, ne dà una breve trattazione sistematica, portandolo a gamba tesa nel campo di sapere aperto dalla psicoanalisi. È uno spostamento freudiano: dal regime della psichiatria, alla psiche di tutti: il maestro del sospetto ha iniettato un altro virus. È un libro ricco, denso, complesso, nonostante la limpidezza dello stile.

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Innanzitutto, la genesi del concetto, esposto alla prima pagina: Freud riporta la teorizzazione di Paul Näcke del 1899, secondo cui il narcisismo consiste nel trattare il proprio corpo come oggetto sessuale. Non a caso, è derubricato nell’ambito della perversione. Bisogna tenere a mente il periodo storico, stando almeno alla lettura di Foucault: la psichiatria ha ormai scoperto o inventato la perversione, la donna isterica è un personaggio affermato, la masturbazione è, letteralmente, l’ossessione di fine secolo. L’igienizzazione e immunizzazione del corpo, processo di secolarizzazione del rapporto cristiano tra l’uomo-peccatore e la carne, è in atto.

Già alla seconda pagina Freud abbatte la barriera: il narcisismo «può rivendicare un posto nel normale decorso dello sviluppo sessuale degli uomini», ed è «complemento libidico dell’egoismo della pulsione di autoconservazione». Ma allora, come porre il problema clinico? Cosa accade nelle psicosi, in particolare nella schizofrenia? C’è ritiro della libido dagli oggetti del mondo esterno, dalle persone e dalle cose, senza che questi siano compensati da oggetti fantasmatici, come nella nevrosi. In altre parole, il nevrotico vive in bilico, e spesso in crisi, tra fantasmi (inconsci e infantili) e realtà. Nella schizofrenia, invece, la libido ricade sull’Io, portando al delirio o a un senso di onnipotenza dei pensieri. In questa fase della sua teorizzazione, Freud giunge così a postulare due concetti: la libido dell’Io, rivolta all’individuo stesso, e la libido oggettuale, rivolta agli oggetti. Al potenziarsi di una, si impoverisce l’altra.

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Da questo assunto, punto di svolta del libro, nel secondo capitolo Freud imbastisce una valanga: nella malattia organica, persino in un semplice mal di denti, non si è forse più concentrati su sé stessi che sul mondo esterno? Così per il sonno e l’ipocondria. C’è uno spostamento teorico sottile, ma spesso dimenticato: l’idea che «l’erogenicità è una caratteristica generale di tutti gli organi», ovvero che ogni organo è una potenziale zona erogena. Da qui l’ipocondria, come alterazione degli investimenti di libido dell’Io a seguito dell’erogenicità di uno o più organi, quelli a cui l’ipocondriaco presta ossessiva attenzione. Ne conviene che eccitabilità, erogenicità non equivale a piacere. Il problema è la soglia. Oltre una certa soglia, il piacere si rovescia in dispiacere. Oltre una certa soglia, non potendosi scaricare, gli eccitamenti frustrati provocano “ingorgo”. Perché un ingorgo di libido dell’Io dovrebbe provocare dispiacere?

La risposta è leggibile nei termini immunitari così come teorizzati dal filosofo italiano Roberto Esposito:

l’immunizzazione contro la malattia, come nell’ipocondria, oltre una certa soglia, diventa essa stessa una forma di malattia. Il problema è l’ammontare libidico “in più”: proprio nel proteggersene, nel cercare di liquidarlo, ci si può ammalare. Il delirio di grandezza è già un tentativo di controllo di questo “in più”, come nel caso del Presidente Schreiber. Nella nevrosi, accade qualcosa di simile, ma con la libido oggettuale. Profondo scandalo freudiano: in ciò che ti fa soffrire, c’è qualcosa che ti tiene in piedi. 

L’ultimo capolavoro del secondo capitolo è l’amore: in Freud, si sa, l’amore non è un pranzo di gala né una cena romantica. Forza terribile di impoverimento, ricerca e scacco dell’unità bramata. All’inizio, non essendoci un Io definito, libido dell’Io e libido oggettuale non sono ben distinte. È il “narcisismo primario”, chiusura auto-erotica su di sé: le pulsioni sessuali sono al servizio delle pulsioni dell’Io, vi si “appoggiano”. Il bambino si soddisfa delle proprie sensazioni corporee connesse alle funzioni vitali. Solo secondariamente, per Freud, sorge l’interesse per il mondo esterno, in particolare per chi si cura del bambino, la madre, cioè per chi garantisce l’autoconservazione. Qui è il modello per le successive scelte oggettuali.

Ma v’è un altro tipo di scelta possibile: prendere come modello sé stessi. Terrificante desacralizzazione, perdita radicale di poesia: si sceglie l’oggetto d’amore o “appoggiandosi” ai primi oggetti infantili, o sul modello di sé stessi, con le dovute sfumature. Persino qui, per Freud, c’è differenza tra uomini e donne, per quanto non così netta: l’amore oggettuale è più sul lato maschile, quello narcisistico sul lato femminile. Le notazioni sono interessanti per capire come Freud cerchi spesso di intrecciare società e psiche individuale. Per lui le donne, per sopperire ai sacrifici imposti dalla società nella scelta d’oggetto, si concentrano più sull’amore diretto a sé stesse, privilegiando il farsi amare all’amare, un ostentato sottrarsi al darsi. L’amore oggettuale può traboccare, invece, alla maternità. Ma non c’è una regola, specifica Freud.

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Ricordiamo quanto detto sopra: aumenta la libido oggettuale, si impoverisce quella dell’Io. In amore, l’emorragia libidica verso l’oggetto porta a una sua sopravvalutazione, idealizzazione, e insieme un impoverimento di sé. È il fascino di ciò che è “narcisistico”: un’aura di autosufficienza, auto-consistenza, auto-soddisfazione. Bastare a sé stessi, non mancare di nulla. Ecco, in un riassunto da lui stesso costruito, l’amore freudiano: si può amare sé stessi, quel che si era, quel che si vorrebbe essere, la persona che fu parte del proprio sé: scelta oggettuale narcisistica. Si può amare la donna nutrice o l’uomo protettivo o chi ne fa le veci: scelta oggettuale “per appoggio”. Insomma, l’amore disinteressato è una pia illusione. Persino quello dei genitori non lo è: il bambino è caricato della libido dei genitori, gli si attribuisce ogni qualità, si vogliono riscattati, attraverso di lui, sogni e desideri frustrati. Il narcisismo a cui si è rinunciato da tempo, eccolo tornare proprio sotto la forma dell’amore oggettuale.

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Il terzo e ultimo capitolo è dedicato al concetto fondamentale di Ideale dell’Io, qui introdotto per la prima volta. E ancora puntualizzazioni sull’amore. Il problema è capire dove e come collocare psichicamente questo narcisismo ordinario. Viene in aiuto l’Ideale dell’Io: un ideale di sé rispetto a cui ci si misura. In questo testo, Ideale dell’Io e Io ideale sono confusi, come metterà in luce Lacan. Questo Io ideale-Ideale dell’Io è quell’immagine di sé che veicola il narcisismo primario perduto, quella pienezza di libido originaria, quello stato di perfezione infantile, che non ci si stancherebbe di recuperare nella vita. Un Ideale che è condizione della sublimazione e amplifica la rimozione, poiché non tutto ciò che arriva alla coscienza, all’Io, gli può corrispondere. Si postula così quell’istanza tremenda, inflessibile, che più tardi prenderà il nome di Super-io: censore, occhio onnipresente, vigilante, coscienza morale, erede interno delle critiche e degli ordini dei genitori e della società, che veglia sulla distanza o meno tra Io attuale e Io ideale. Istanza crudele, persecutoria, a cielo aperto nei paranoici. Il problema si pone, dunque, a livello della rimozione. Senza troppa rimozione, l’amore è un’attività dell’Io come le altre. È messa in chiaro la formula cardine del libro:

L’amare di per sé, come anelito e privazione, deprime il sentimento di sé; l’essere amati, venire ricambiati del proprio amore, possedere l’oggetto amato, lo reinnalza.

 «Amor c’ha nullo amato, amor perdona», si direbbe. In presenza di troppa rimozione, questo movimento di emorragia e recupero diventa gravoso, e il sentimento di sé diventa difficile da ripristinare. Si può riassumere, quindi, che l’Io, abbandonato il narcisismo primario, prende contemporaneamente due strade: investe l’Ideale dell’Io e investe gli oggetti. Si arricchirà se si soddisferà in relazione agli oggetti e al raggiungimento di questo Ideale. Proposito non facile, perché marcato da un’ impossibilità radicale: il censore interno è sempre all’erta, così come le frustrazioni esterne. Ed ecco formalizzato un ultimo, sferzante colpo che Freud assesta all’amore:

Nel caso in cui al soddisfacimento narcisistico si frappongano ostacoli reali, l’ideale sessuale può essere usato come soddisfacimento sostitutivo. L’individuo in questione amerà allora secondo il tipo narcisistico di scelta oggettuale […] Viene amato l’oggetto che possiede le prerogative che mancano all’Io per raggiungere il suo ideale.

È un curarsi attraverso l’amore. Impoveriti di libido, tutta presa da investimenti oggettuali rimossi, si ama nell’altro quel che si era e non si è più, quel che si vorrebbe essere e non si è. Lo si può chiedere persino alla persona del medico. Riprendere sentimento di sé attraverso l’altro: l’amore non è, propriamente, una cosa semplice.

Note:
[1] S. Freud, Introduzione al narcisismo, traduzione di Renata Colorni, Torino, Bollati Boringhieri, 1976. p. 16
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 32
[4] Ivi, p. 57 
[5] Ivi, p. 59.

Immagine in evidenza: La metamorfosi di Narciso, Salvador Dalí

Mattia Giordano

Classe '95, milanese, laurea magistrale in Psicologia, appassionato di psicoanalisi, filosofia, teoria critica, letteratura per lo più italiana e francese. Anche di cinema e teatro, perché ci sono, e ci saranno sempre, film e spettacoli belli. Musicista e scrittore a tempo perso, si spera un giorno a tempo pieno. Ha fatto un po' di tutto, quindi, probabilmente, niente.

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