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«Necessità di poesia», ovvero ricordare Paul Valéry

6 minuti di lettura

Pubblicato da Spider&Fish per la collana “Dolomedes”, Necessità di poesia è un viaggio nell’arte liminare e inquieta di Paul Valéry. Pensato come un compendio di scritti – qui offerti per la prima volta al lettore italiano – l’agile volume curato da Paolo Imperio si pone nel solco di una riscoperta lenta, tanto più interessante giacché rivolta al Valéry saggista, autore di pagine tormentate e “urgenti”, intrise di acume e di un’intensa modernità.

Il lavoro di ri-lettura discende – in parte – dall’operazione condotta da Maria Teresa Giavieri per “I Meridiani” Mondadori, laddove le Opere scelte andavano disponendosi in sei sezioni (Poesia, Prosa poetica, Modelli e strumenti del pensiero, Dialoghi, Teatro, Saggi), ciascuna volta a restituire un’immagine viva, un guizzo urticante della poetica dell’autore. In quest’ottica la curatela di Imperio fa un passo ulteriore, sottraendo all’algido canone l’intera postura intellettuale, evocata – con lucida discrezione – per mezzo di cenni introduttivi, poi destinati a compiersi nell’agone dei testi. E di lotta si tratta quando Valéry ragiona di “poesia” e “pratica”, di “ordine” e “disordine”. Il cesello asettico del suo verso, quell’emendatio pur evocata nella teoria letteraria, cede il passo a un modello coerentemente disomogeneo, segnato – persino nella forma – dalla tensione fra “idea” e “creazione”, bagliore e «algebra».

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Non che la prosa risulti sghemba, sottratta al levigato procedere, ma le intuizioni valériane si configurano come squarci, passaggi vertiginosi di un’unica grande opera. La scelta di Imperio è in tal senso significativa, giacché i testi selezionati (Sulla tecnica letteraria, A proposito della poesia, Necessità di poesia, L’invenzione estetica, Poesia e pensiero astratto: traduzioni tutte sue) appaiono uniti da un fil-rouge metodologico, in cui il discorso sulla poesia muove da suggestioni ed esperienze. È qui – nel richiamo costante al proprio “caso” – che risiede il nerbo della scrittura, così lontana dall’«esattezza» che invece affligge la versificazione. Sciolta dalla censura, dal ferreo disprezzo del quotidiano, la penna di Valéry si fa più vera, disegna percorsi dal forte impatto emotivo.

Centrale, appare ovvio, è il faro dei Cahiers (1894), che Imperio ricorda in chiusura di opera, a suggellare una “discendenza” che è poi compenetrazione. Sono i brogliacci confusi – quasi gli “scartafacci” della nostra critica delle varianti – a costruire il tesoro autoriale: una «ginnastica della mente», uno zibaldone colmo di segni. Qui, più che altrove, si trova il lascito di Valéry, quei semi dispersi nel tempo e raccolti – non a caso – segnatamente in ambito critico.

paul valéry

Imperio in Necessità di poesia non traccia genealogie, ricordando piuttosto i debiti del poeta, i modelli di Stéphane Mallarmé ed Edgar Allan Poe, al cui procedimento creativo innalza un autentico culto: «Nessuna delle sue opere racchiude più acume nell’analisi, più rigore nel logico sviluppo dei principi scoperti con l’osservazione». Il saggio in apertura, traduzione di un articolo per il “Courrier libre” mai pubblicato, focalizza gli estremi di siffatta devozione, laddove al tesoro della materia – e al fine ultimo del discorso – si sostituisce, nei versi, il governo della stessa, la lunga preparazione «all’ultimo e decisivo lampo». È infatti la «macchina» poetica più che l’“oggetto” in sé, il lavoro di composizione più che lo «stato emotivo» a interessare Valéry, ponendolo già – dopo i tormenti della notte di Genova (1892) – su un versante gnoseologico, in cui l’opera “parla” per far parlare noi stessi.

In quest’ottica, accanto ai dati ritornanti della poesia come «danza», del «pendolo» che oscilla tra due punti simmetrici («l’idea della forma poetica, della potenza del ritmo» e «l’effetto intellettuale»), il discorso di Imperio coglie un punto fondamentale: l’esprit, tradotto spesso in forma libera, che qui è sempre “mente”, «un concetto che si fa strada nella conoscenza dell’umana specie». In tale accorgimento risiede il valore dell’opera, un valore fondato sul rispetto, sulla traduzione come “servizio” – sulla voce dell’autore tramandata in altra lingua:

Paul Valéry per tutta la vita ha dedicato il proprio impegno alla ricerca dei meccanismi della mente da cui originava il pensiero […]. Tradurre il termine francese esprit diversamente da «mente» sarebbe una scelta di modello espressivo del traduttore che di sicuro ignora l’essenza del Valéry. […] È nella mente (esprit) non nello spirito (Weltanshauung) la costante e ininterrotta ricerca.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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