A fine 2020 è uscita la tanto attesa seconda antologia della collana Nuova poesia americana, edita da Black Coffee.
Ma facciamo un passo indietro. Black Coffee è una giovane casa editrice specializzata in letteratura nordamericana contemporanea. In particolare,
ospita autori esordienti. Voci fuori dal coro e opere inedite o ingiustamente dimenticate con particolare attenzione alle realtà indipendenti più coraggiose.
Fra gli “autori ingiustamente dimenticati” basti segnalare, ad esempio, l’opera di Joy Williams – autrice celebrata, fra gli altri, da Chuck Palahniuk nel recente Tieni presente che (Mondadori, 2020). Comunque sia, il catalogo in continua evoluzione offre spunti di lettura incredibilmente interessanti.
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Nel dicembre del 2019, però, la Black Coffee decide di cimentarsi in un progetto decisamente ambizioso. Accantonando per un attimo la prosa, sceglie di pubblicare una collana dedicata alla poesia americana degli ultimi decenni. Il primo volume si propone di dare spazio a diverse poesie di sei autori, inediti in Italia. Nonostante alcuni nomi non siano immediatamente riconoscibili al lettore, si tratta di scrittori pluripremiati negli Stati Uniti e che hanno riscosso un notevole successo a livello mondiale. A leggere l’introduzione e le varie biografie, è lecito domandarsi perché abbiamo dovuto aspettare così tanto prima di vedere questi autori pubblicati.
La Black Coffee, poi, per la scelta degli autori e dei testi si avvale di due intellettuali di prim’ordine. Da una parte abbiamo John Freeman, critico letterario, scrittore e direttore della rivista Freeman’s. La rivista – arrivata al terzo numero – è edita in Italia sempre dalla Black Coffee. Dall’altra parte, invece, c’è Damiano Abeni, epidemiologo e fra i massimi traduttori italiani di poesia americana. Fra i tanti poeti tradotti da Abeni, si ricorda: Ashbery, Bidart, Ferlinghetti, Lerner, Wright e Strand. Con quest’ultimo, poi, Abeni aveva già curato un’emozionante antologia poetica, West of your city (Minimum fax, 2003). Oltre a questo progetto risalante a quasi vent’anni fa, tuttavia, il nostro Paese non si può dire estraneo a questo tipo di iniziative. Basti segnalare Poeti americani 1900-1956 (Feltrinelli, 1958), a cura del di Sanesi, che contiene componimenti di Merwin, Stevens, Frost, Roethke, Patchen ecc.; oppure Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli, 1964), antologia della Pivano che raccoglie poesie di Kerouac, Ginsberg, Corso, Kaufman, Lamantia ecc.
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Vediamo, dunque, come l’idea della Black Coffee si inserisca nel progetto di diffusione della poesia nordamericana e si dimostri una degna erede di questa tradizione. Però, come anticipato, la sua idea va oltre. Come si evince nella lettura del primo volume, l’intento è quello di pubblicare un’antologia ogni anno che conterrà sei nuovi autori. Le premesse sono allettanti e il piano ambizioso. E tornando a noi, ecco che nel dicembre del 2020 è uscito il secondo volume di Nuova poesia americana, il quale si è perfino aggiudicato una menzione per la migliore traduzione secondo L’indiscreto.
Ogni volume della Nuova poesia americana (acquista), dunque, raccoglie alcune poesie di sei autori. Il primo ospita Robert L. Hass, Natalie Diaz, Tracy K. Smith, Terrance Hayes, Robin Coste Lewis, Layli Long Soldier. Mentre il secondo contiene i versi di Kim Addonizio, Garrett Hongo, Lawrence Joseph, Kay Ryan, Aracelis Girmay e Kevin Young. Autori più o meno giovani che donano composizioni a volte spietate, a volte lievi, ma pur sempre dotate di una speciale forza in grado di commuovere. Ad esempio, Addonizio – ideale successore dei poeti italoamericani – nella sua rocambolesca ricerca dell’amore è capace di partorire parole di una delicatezza encomiabile. Long Soldier incide nelle sue pagine la tragedia e l’orgoglio dei nativi americani. Garrett Hongo, hawaiano di origine giapponese, riesce a sintetizzare le sue diverse influenze culturali in una poetica travolgente; l’omaggio alla tomba di Gramsci al Cimitero Acattolico di Roma, ad esempio, è un pezzo di rara e irraggiungibile bravura. Oppure Terrence Hayes che con la sua lirica ponderata è capace di immortalare in maniera originale le diverse realtà, fra tutte quella afroamericana.
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Gli esempi sarebbero innumerevoli e ogni lettore potrà coltivare la sua predilezione per un autore o per un altro. Tra i due, non esiste un volume migliore. Sono entrambi meritevoli di attenzione. Sono libri che si completano e ognuno di essi – a modo suo – conferisce uno sguardo inedito verso paesi fisici e metafisici ancora inesplorati per la maggior parte dei lettori italiani. Come scrive Freeman nell’introduzione al primo volume di Nuova poesia americana: «Io e Damiano Abeni non abbiamo dubbi: ogni nuovo volume di questa collana sarà una specie di piccolo evento». Ed è proprio vero. Non possiamo fare altro che stupirci e ammettere di essere dinanzi a un lavoro unico che ci auguriamo possa continuare ancora per molti anni.
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